Interviste

Pruzzo: «Ranieri per un’altra stagione»

Intervista esclusiva all'ex bomber: «I 70 anni? Non ho rimpianti. La mia Roma qualcuno. Farei una raccolta firme per far restare Claudio in panchina»

(AS ROMA)

PUBBLICATO DA Iacopo Savelli
06 Aprile 2025 - 10:03

Roberto Pruzzo, il Bomber, o’ Rey di Crocefieschi: da ragazzo è stato il mio unico vero idolo, se la Roma vinceva senza almeno un suo gol, mi mancava qualcosa. L’ho seguito, incitato, ho cantato per lui “Lode a te” insieme a migliaia di amici dello stadio. Ho avuto una sua foto appesa sopra il letto per anni ma non ho mai avuto l’occasione di incontrarlo o parlarci, nemmeno professionalmente. Oggi tra tifoso e giornalista si chiude un cerchio ed è una grande emozione.                                                                                                                       

Ciao Roberto, questo giornale esce a qualche giorno dal tuo settantesimo compleanno così è anche l’occasione per farti ancora gli auguri a nome di tutti i tifosi della Roma. Vuoi fare un bilancio della tua vita? Sei contento di quello che hai fatto o ti manca qualcosa? 

«Grazie per gli auguri, davvero grazie. No, no, è tutto a posto: quello che abbiamo avuto e abbiamo dato va bene, non ho rimpianti».

Te la saresti immaginata una carriera così? 

«No, perché non puoi prevedere quello che succederà, però strada facendo ho capito che magari andava in una certa direzione». 

Nessuno dice mai che il primo gol da professionista lo hai segnato a settembre del ’74 alla Lazio in Coppa Italia, te lo ricordi? 

«No, ma mi ricordo perfettamente che il primo e l’ultimo in Serie A li ho fatti alla Roma. Quindi questo è quello che contraddistingue la mia storia calcistica che è nata a Genova, è passata per Roma ed è finita a Firenze: aver realizzato tanti gol con quella che per dieci anni è stata la mia squadra alla quale però ho segnato il primo e l’ultimo della mia carriera».

Quel giorno che hai segnato a Perugia con la Fiorentina alla Roma, hai esultato. Oggi da ex non lo fa più nessuno.

«Ma io ho esultato anche sotto la curva rossoblù quando dopo pochi mesi sono tornato a Genova con la Roma, sotto questo aspetto non mi sono fatto mancare niente».

Dovbyk dovrebbe imparare un po’ da te nell’esultanza? Tu manifestavi una gioia incredibile dopo i gol, questo ragazzo invece è così trattenuto.

«Non credo siano consigli da dare, ognuno ha le proprie caratteristiche, personalità, identità. Quindi non è il caso, ognuno reagisce a modo suo».

I gol si contano ma si pesano anche: tu ne hai segnati tanti nelle partite importanti. 

«Sì, quasi sempre. Devo dire che sotto quell’aspetto ero un giocatore che difficilmente falliva i grandi appuntamenti. Non è una cosa che si può insegnare ed imparare, è così e basta. Poi certo l’esperienza ti aiuta ad affrontare determinate partite sempre con più sicurezza rispetto ai primi tempi quando magari si è un po’ condizionati dall’età».

Ti volevano Juve e Milan e invece sei venuto alla Roma: ha contato qualcosa la tua volontà? 

«Zero, in quegli anni il calciatore non decideva niente. Meglio così perché abbiamo vissuto almeno cinque stagioni a grandissimo livello. Abbiamo vinto quello che abbiamo potuto, c’è poco da recriminare e da guardarsi dietro». 

Uno scudetto, secondi e terzi posti, due Coppe Italia e la finale di Coppa dei Campioni: sei stato il simbolo di un ciclo che ad oggi non si è mai più ripetuto, ma anche sul gol di Turone non c’è da recriminare?

«Il calcio è cambiato anche sotto questo aspetto, una volta ti prendevi il pacchetto con tutto quello che c’era. Adesso ci sono regole differenti che probabilmente ci avrebbero dato qualcosa in più. O forse tanto in più».

Immagino tu stia parlando della Var, ti piace?

«No, non mi piace, perché mi sembra vada veramente contro quello che dovrebbe essere l’utilizzo della tecnologia».

Hai fatto undici gol all’Inter, la tua vittima preferita, compresa una tripletta a San Siro. Quello è stato uno dei giorni più importanti della tua carriera? 

«Non lo so se è stato più importante di altre situazioni ed altri momenti. Certo l’Inter è stata sempre nel mio DNA. Le nostre partite in quegli anni erano belle, ben giocate, con tante reti. Di là c’era Spillo Altobelli che era mio avversario ma anche mio compagno nella Nazionale Militare. Insomma, sono state delle gran partite».

Il gol più bello è stato la rovesciata alla Juve? 

«Non so se è il più bello, sicuro è quello che tutti ricordano perché l’ho segnato alla Juventus, se lo avessi fatto ad un’altra squadra probabilmente se ne sarebbe parlato di meno. Senza dubbio quello a cui sono più legato è il gol in Roma-Atalanta nel mio primo anno. Un gol che poi ci ha permesso di arrivare dove siamo arrivati».

Sei stato tre volte capocannoniere nell’era Platini e non sei andato ai Mondiali né nell’82, né nell’86 quando avevi segnato 17 gol nel girone di ritorno. Questa cosa ti è rimasta dentro?

«Mi è rimasta relativamente a quello che pensavo mi spettasse, per il resto non ho altro da obiettare. Meritavo due mondiali, non ne ho fatto neanche uno: è andata così. Bearzot non mi ha mai spiegato perché, ma non gliel’ho neanche mai chiesto».

Se non ti fossi fatto male la finale con Liverpool sarebbe andata diversamente?

«Nessuno lo può dire, non abbiamo le controprove. E comunque anche in questo caso è andata così». 

Dopo Roma-Lecce, diecimila tifosi vi seguirono a Como: te lo saresti mai immaginato? 

«Sì, perché avevo capito quant’è grande la passione per questa squadra da parte della gente, soprattutto nei momenti più difficili non ci ha mai abbandonato. È stata una enorme dimostrazione d’amore, ma ne ho vissute tante altre».

Bruno Conti ha raccontato mille volte di quante volte vi siete baciati, di quanti gol avete costruito insieme, c’è qualche altro compagno della Roma al quale sei rimasto particolarmente legato? 

«Con Bruno abbiamo un rapporto diverso perché ci conoscevamo già prima, siamo cresciuti insieme calcisticamente a Genova e in Nazionale Militare. Con tutti gli altri sono stato bene, non voglio fare distinzioni, ancora adesso li sento e li vedo con grande piacere».

Mi vuoi dire qualcosa di Dino Viola? 

«Tutto il bene possibile: aveva una visione lungimirante, pensava cose fuori dal comune e aveva capito che si poteva fare qualcosa di clamoroso come competere con le grandi squadre del nord. Ma non dimentico che chi mi ha preso è stato il presidente Anzalone: l’idea di poter portare a Roma un calciatore del mio livello è stata sua, un po’ come aveva fatto il Napoli qualche anno prima con Beppe Savoldi». 

Il giorno di Roma-Verona, la tua ultima partita in giallorosso, tutti dicevano che saresti andato in Svizzera e invece passasti alla Fiorentina. 

«L’occasione di andare in Svizzera c’era stata qualche tempo prima e poi non si è concretizzata, alla Fiorentina volevo andare perché mi piaceva l’idea di fare casa e bottega. Ho giocato poco ma è stato un anno positivo perché ho trovato degli amici e un ambiente che mi piaceva: mi sono trovato bene anche lì».

Ricordi l’Olimpico tutto per te, i cartelli con il 106 volte grazie anche se di gol con la Roma ne hai fatti molti di più considerando anche le coppe.

«Come no, bellissimo e avevo segnato anche quel giorno: la palla era entrata di mezzo metro ma non se ne sono accorti. Nella mia carriera di gol così me ne hanno fregati almeno altri dieci».  

Con la tecnologia attuale te li avrebbero dati.

«Resto della mia idea, non mi piace».

Quella dell’83 è stata la tua Roma più forte?

«Sì, assolutamente, però ci tengo a dire che dall’80 all’85 siamo stati fortissimi. Certo quando vinci è meglio, ma il gruppo in quegli anni è stato sempre straordinario».

Che mi dici di Claudio Ranieri, te l’aspettavi?

«Ne ero sicuro: lui sta facendo delle cose eccezionali, io una raccolta firme per sperare di poterlo trattenere almeno un altro anno, perché è una guida che dà sicurezza e fiducia a tutto l’ambiente».

Non dovesse essere lui hai una preferenza?

«No, perché punto ancora molto sul fatto che possa cambiare idea».

Il girone di ritorno che sta facendo la Roma ti ha fatto rivalutare la rosa o pensi che la squadra stia andando oltre i propri limiti?

«Secondo me sta facendo quello che le compete, poi c’è sempre una via di mezzo tra un inizio disastroso e un momento in cui funziona tutto. Per fortuna Ranieri è arrivato in tempo e ha rimesso le cose a posto: la Roma è una buona squadra che si sta esprimendo al livello delle altre che sono in corsa per arrivare il più alto possibile in classifica».

Cosa serve l’anno prossimo per essere competitivi dalla prima giornata?

«Certamente il non partire con tutte queste incertezze che hanno condizionato molto l’inizio del campionato, quando sei dietro e devi rincorrere non ti puoi permettere nessun errore e diventa tutto molto più difficile».

Che pensi di quello che è successo in Turchia tra Okan Buruk e Mourinho?

«Ho visto Mou fare una carezza ad un attore consumato e resto un suo assoluto sostenitore. Ho apprezzato molto l’impatto che ha avuto sull’ambiente Roma, quello che ha trasmesso a tutti e come la gente lo abbia seguito ed amato».

Anche se il suo calcio è all’opposto di quello di Liedholm?

«Assolutamente, poi sul Barone non posso aggiungere altro rispetto a tutto il bene che ho detto di lui per tutte le cose che ha fatto per la mia carriera. Ma devo dire che non ho avuto problemi con nessuno dei miei allenatori: mi facevano giocare sempre».

Senti, sei burbero tu o è burbera la Liguria che secondo me è terra di fatica?

«Il carattere un po’ chiuso fa parte del DNA dei genovesi che non riescono a esprimere i loro pensieri. Spesso non lo vogliono neanche fare: meno rotture di scatole hanno, meglio è».

C’è una canzone di Ivano Fossati che dice che già da Pavia e da Novara si sente il mare: a Crocefieschi si sentiva?

«Assolutamente no e siccome io non sono per niente amante del mare, ne ho fatto volentieri a meno».

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