Interviste

Gigi Di Biagio: «Forza Roma, torna in alto»

Il tecnico dell'Arabia Saudita Under 21: «Il club merita di stare tra le prime. Il derby? Lo soffrivo da tifoso e avrei voluto segnare»

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Iacopo Savelli
05 Gennaio 2025 - 08:00

Appuntamento con Gigi Di Biagio sotto le feste di Natale in uno dei suoi ritorni a Roma dall’Arabia Saudita dove è il Tecnico dell’Under 21. «Sono molto soddisfatto, sto vedendo un altro mondo, altre culture, altre abitudini - racconta -. Serve ad ampliare la mente, guardare cose che non pensavi neanche potessero esistere: alimentazione, cultura, religione, modo di vivere diversi. Bisogna adattarsi, capire le cose da cambiare e quelle che non si possono assolutamente toccare. Hanno un potenziale incredibile, ovviamente c’è da lavorare ma dal punto di vista organizzativo ci sono cose che noi neanche immaginiamo. Sono sulla strada giusta anche perché ascoltano molto. Quando parlo, quando spiego in federazione agli allenatori o ai collaboratori asiatici, sono attenti, vogliosi di imparare e capire. Il futuro è dalla loro parte per tante ragioni, una su tutte: il Mondiale del 2034 si giocherà lì».

Gigi, torniamo in Italia, anzi a Roma: cos’è il derby?

«Il derby è tanto, ma voglio dirti subito una cosa: ricordatevi tutti che quando vado a vedere Roma-Lazio io tifo Roma, va bene? Siccome questa è la domanda del secolo non mi chiedete più per chi tifo: io tifo Roma e basta». 

Ne hai giocati nove senza mai vincerne nemmeno uno…                                                                       

«Una cosa che mi è rimasta dentro anche perché non riuscivo mai a giocarli bene, con questa bugia che fossi laziale facevo una fatica enorme. La verità è che tengo molto più io alla Roma che tanti altri che si vantano di esserne tifosi. Ti sto dicendo qualcosa di importante che mi pesa tantissimo, perché avrei voluto dimostrare molto di più soprattutto nei derby, cosa che non mi è riuscita. A Milano dove non li sentivo nella stessa maniera, ho giocato bene e fatto diversi gol. La Lazio è la squadra alla quale nella mia carriera ho segnato di più, se le avessi fatto tre gol nel derby sarei stato l’uomo più felice al mondo. La speranza è che stavolta si possa ripartire tutti insieme e ritrovare quell’entusiasmo che meritano i tifosi, la Roma deve tornare almeno tra le prime sei, così non va bene».

Perché nel 2019 si è chiuso il rapporto con la nazionale Under 21?

«Ho deciso io, dopo non avere centrato l’obiettivo minimo della semifinale europea ho preferito togliere il disturbo. Però penso di aver fatto un ottimo lavoro perché quell’edizione aveva una formula assurda: tre gironi da quattro dove si qualificava soltanto la prima. Sono uscito con sei punti per un gol e dei risultati in altri gironi non molto simpatici, mettiamola così. In Italia se vinci sei bravo, se perdi sei scarso, nessuno sa che in quegli anni abbiamo giocato il più bel calcio a livello Under 21 e che ho sempre chiamato ragazzi sotto età di tre o quattro anni: da Tonali a Zaniolo, a Locatelli, Donnarumma, Bastoni. Sicuramente potevo arrivare in fondo, dovevo arrivare in fondo, ma tanti non sapevano chi fossero Sessegnon, Foden, Ceballos, Asensio, Saúl, io sì. Detto questo eravamo forti e sono orgoglioso di quello che ho fatto e hanno fatto i ragazzi, sedici di loro sono diventati campioni d’Europa nel 2021».

Non hai nominato Lorenzo Pellegrini.

«Quello che sta succedendo a Lorenzo mi colpisce al cuore perché lui praticamente è mio figlio. Io dico che c’è un problema di comunicazione e valutazione nei suoi confronti, ma lui può e deve fare molto di più. Per me è una mezzala, ma è talmente intelligente e forte che può giocare dietro la punta, davanti, in mezzo al campo. Perché parlo di un problema di comunicazione? Perché il rapporto con la tifoseria in realtà non è mai sbocciato, non so per quali motivi, ma se fai dieci partite bene e non vieni mai valorizzato e una male e vieni fischiato alla prima palla che tocchi, c’è qualcosa che non torna a livello empatico. Togliendo questa stagione, Pellegrini ha fatto 45 gol e 35 assist in quattro anni, ma ogni giocata negativa diventa un caso. Per dire, a Como è entrato sullo 0-1 a venti minuti alla fine, ha provato a fare una filtrante, è arrivato il secondo gol e sembra che la Roma abbia perso per colpa sua. Per me bisognerebbe proteggere un po’ di più i giocatori, Ranieri ha talmente tanta esperienza che sicuramente sta cercando di fare del suo meglio. Un allenatore vive di sensazioni e di situazioni proprio al minuto, nessuno sa come si allena Pellegrini, cosa si sono detti con Claudio. Però so quanto Lorenzo tenga alla Roma e so quello che ha fatto per non andare via quando in momenti migliori lo volevano tante squadre. Quali? Le più forti d’Europa, ti dico solo questo e mi fermo. Poi, ripeto, deve dare di più e non cercare scusanti perché è il capitano della Roma, un riferimento importante per tutti e ha delle responsabilità. Mi permetto di dire queste cose perché Lorenzo sa che rapporto abbiamo, il bene che gli voglio e quello che penso di lui».

C’è qualcosa che Daniele De Rossi ha sbagliato da allenatore della Roma?

«Ho parlato con Daniele, qualcosa mi ha raccontato, qualcosa no e certe cose ce le teniamo per noi. Penso che alla fine i risultati facciano sempre la differenza. Forse ha pagato che tra l’anno scorso e questo, le cose non stessero andando troppo bene, ma la domanda è: perché tre anni di contratto? Forse ha detto qualcosa che ha infastidito i Friedkin, forse pesavano la sua personalità e il legame con i tifosi, non so. Evidentemente c’è qualcosa che sfugge a tutti quanti, qualcosa che non sappiamo».

Mancini può essere l’uomo giusto l’anno prossimo?

«Roberto lo vedo bene in tante situazioni, l’ho sentito in questi giorni ed è sempre carico, ottimista, visionario. Quando parla di alcune squadre ha il sole negli occhi, Roma compresa perché è una squadra forte che può fare molto meglio, sicuramente giocare un buon calcio. Potrebbe esserne l’allenatore ideale, me lo auguro per tanti motivi».

Se ti dico Totti, cosa rispondi?

«Che è il stato calciatore italiano più completo con cui abbia giocato. Tra i più forti secondo me insieme a Baggio, Del Piero, Vieri, ma Francesco è stato il prototipo del giocatore moderno vent’anni prima. Ecco, mettiamola così: a livello di assist-man, bomber, personalità, carisma, probabilmente è stato il numero uno».

Ma si dice che non fosse un leader.

«In campo lo era assolutamente, ragazzi non scherziamo. In partita aveva una leadership impressionante senza parlare, sapevi che c’era, aveva carisma, voleva la palla, non aveva paura di niente. Anche Pirlo fuori dal campo non diceva una parola, non ti accorgevi nemmeno che ci fosse, ma se mi chiedi se lui e Totti sono stati dei leader la risposta è assolutamente sì».

Ronaldo o Cuper?

«Ronaldo, però Cuper è un grande allenatore e una grande persona. Tutti parlano della sconfitta con la Lazio del 5 maggio, ma nessuno ricorda che in mezzo al campo giocavamo io, Cristiano e Javier Zanetti, Guglielminpietro e davanti Ventola e Kallon, non Ronaldo, Maradona e Pelé. Il miracolo è essere arrivati là, poi è vero che abbiamo buttato via uno scudetto. Purtroppo, ho avuto tre o quattro situazioni così nella mia vita: potevo diventare campione d’Italia, d’Europa e del Mondo. Invece nel ‘98 ho sbagliato il rigore, nel 2000 sono uscito con la Francia a dieci minuti dalla fine e abbiamo preso il pareggio al golden goal. A volte sono stato nei posti giusti nei momenti sbagliati, ma la mia carriera la rifarei tutta. Non si sottolinea che ho fatto 60 gol soltanto in Serie A e che sono il centrocampista che negli ultimi trent’anni ha segnato di più. Sono andato, ho fatto bene, ho lasciato il segno ma si ricorda solo che non ho vinto nulla. Funziona così, ne sono consapevole».

Altro “giù dalla torre”, Baggio o Lippi?

«Cavolo, questa è complicata. Diciamo che non si sono presi molto, ma credimi non so proprio rispondere. Forse in quel momento, sottolineo in quel momento, Lippi. Roby era a fine carriera, aveva problemi al ginocchio, la sua presenza era ingombrante, anche se non giocava. Un po’ come Totti nell’ultimo anno con Spalletti. Però poi ci penso e mi dico: di cosa stiamo parlando? Totti era Totti».

Capello ha provato a fermarti quando sei andato all’Inter?

«Il primo mese sembravo suo figlio, mi diceva: “Aiutami con Candela che vuole andare via, aiutami perché faremo una grande squadra”. Considera che io e Delvecchio stavamo andando al Chelsea da Vialli e che anche Aldair era in parola con l’Inter, ma ho fatto quello che mi chiedeva. Poi di giovedì sera, il sabato iniziava il campionato, mi chiama Lele Oriali che già mi voleva portare al Bologna due anni prima e mi dice: «Verresti all’Inter?»   Cado dalle nuvole, gli chiedo perché mi stia facendo questa domanda e lui mi risponde “Perché so che sei sul mercato”. Te la faccio breve, il venerdì sera sono a Milano, mi hanno venduto senza nemmeno farmi una telefonata, né Capello, né Sensi. Dicevo a mia moglie: ma è possibile che stia andando a Milano? È la prima volta che racconto questa storia, ho sofferto tantissimo perché non volevo andare via e invece… alla seconda di campionato c’è Roma-Inter e tutto lo stadio mi fischia dandomi del traditore. Nessuno dalla Roma si è sentito in dovere di avvisarmi, zero assoluto. Mamma mia, è stata una cosa orrenda».

Mi dai il podio dei tuoi allenatori?

«Zeman è quello che per primo mi ha insegnato tante cose, certo avrebbe dovuto migliorare alcune dinamiche, smussare alcune cose del suo modo di gestire la squadra, trovare un po’ più di equilibrio difensivo, ma anche qui farei io una domanda: è meglio arrivare quarti, quinti e sesti con Zeman o quarti, quinti e sesti con altri allenatori con cui non fai un tiro in porta? Tutti vogliono vincere, se arrivi allo scudetto con Capello che era molto pragmatico nel suo modo di giocare, tanto di cappello. Ma se invece arrivi quinto, sesto, settimo, con altri allenatori, io da tifoso voglio vedere una squadra che tiri in porta. Lippi è stato il mix giusto tra quelli che ho avuto, perché per me l’allenatore bravo non è quello che tatticamente vale dieci, a livello gestionale quattro e per conoscenze sei. Il migliore è quello che vale sei e mezzo/sette in ogni ambito e Lippi in questo era il top. Anche Mazzone mi ha dato tanto, sul podio ci metto anche lui».

Un compagno che non ha reso per quello che avrebbe potuto fare?

«A livello giovanile Oberdan Biagioni: pensavo potesse arrivare tranquillamente in Nazionale per quanto fosse forte. Tra i professionisti Dalmat quando stavo all’Inter e Vagner alla Roma.  È passato come un bidone perché qui, come in tante altre grandi piazze, se sbagli due o tre partite vieni bollato e fai fatica ad uscirne fuori. A me stava succedendo la stessa cosa poi è passata. Se non hai una grande forza mentale, psicologica e di carattere, diventa veramente dura. Mi ha aiutato il rigore della vittoria contro l’Inter al termine del mio primo anno in giallorosso, una delle partite che ricordo più volentieri insieme al 5-0 al Milan del ’98 quando feci una doppietta». 

Gigi, grazie, è stato un piacere.                                                                                                                          

«Oh, mi raccomando ancora, non mi domandate più per chi tifo quando vado a vedere Roma-Lazio. Tifo Roma e basta».

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