Repice: "Nella Roma solo Dybala è 'diverso'. Juric sta cercando di estraniarsi"
Le parole a Radio Romanista: "La squadra della stagione 2005-06 era qualcosa di impressionante. Friedkin? Nella Capitale non si può andare avanti con gli algoritmi..."
Il radiocronista Francesco Repice è intervenuto questa mattina sulle frequenze di Radio Romanista, nel corso della trasmissione "Unico", per parlare della Roma del 2005-06 e del momento attraversato dalla squadra di Juric. Ecco le sue dichiarazioni.
Quella di quel 4-2-3-1 a fine 2005 è stata la Roma più bella?
"Probabilmente sì. Arrivava ai risutati in una maniera spettacolare. La Roma di Eriksson ti prendeva per i fianchi e ti stritolava, ti soffocava. La Roma di Spalletti, invece, rubava l'occhio, faceva vedere trame meravigliose. Ricordo un Sampdoria-Roma in cui si fanno male tutti, anche Mancini. E Totti doveva giocare centravanti. Sembrava a un certo punto che non si potesse giocare senza il 4-2-3-1, come oggi col 3-5-2. Quel 4-2-3-1 portato da quella Roma sembrava dovesse essere l'unico sistema di gioco plausibile. Quindi Spalletti fece questa proposta a Francesco: 'Giochi tu lì?'. Disse di sì. Il centravanti in una squadra di calcio, però, è fondamentale e come dice Bergomi fa giocare bene la squadra. Ci sono delle eccezioni, sì: si chiamano Totti, Messi... A Barcellona Guardiola disse: 'Il mio centravanti è lo spazio'. Ci credo, aveva Messi! Diversamente è molto complicato, tant'è che al City, fino a poco tempo fa, ha avuto due dei centravanti più forti (Haaland e Alvarez, ndr). Quella cosa si può fare quando hai giocatori fuori dal comune; diversamente è più complicato".
L'intuizione più geniale è stata quella di cogliere in Perrotta, che non faceva gol, quel ruolo del centrocampista incursore?
"Ora lo stanno cercando tutti. In Nazionale lo stiamo cercando in Frattesi; per un periodo lo si è cercato in Marchisio. Lo ha fatto anche Cristante nell'Atalanta. Te lo ritrovi spesso lì, senza marcatura, ma ci vuole chi gli mette il pallone, chi giostra il pallone. Il Pek in quella squadra era un riferimento unico. Bisogna avere quei giocatori. Si può inventare qualsiasi sistema, ma ci vogliono i giocatori; senza è tutto inutile. Se li hai, allora può riuscire tutto. Di Perrotta si è parlato poco o non a sufficienza: dava ritmo, velocità, imprevedibilità alla squadra. Tutto questo aveva bisogno di interpreti e quella Roma li aveva".
Quella della stagione 2005-06 è forse la Roma che non ha vinto più emozionante?
"Quella squadra era qualcosa di impressionante. Mi permetto di dire questa cosa: ci sono delle squadre che veramente portano via l'anima. Ma fa parte della storia di questa squadra. Anche il pubblico. Io stesso ho mal digerito il periodo di Pallotta, perché c'era un distacco. Ma è una squadra che trovò l'Inter, una corazzata; e anche quella di Pallotta ne trovò una, la Juventus. Erano squadre talmente forti che era impossibile scalfirle. È stata la Roma dei secondi posti, dietro quell'Inter di Mourinho che era ingiocabile. E c'è un'eccezione, che però finisce male: la Roma del 2010, che nasce in maniera disgraziata e con Ranieri diventa la prima forza del campionato. Quella sera, con la Samp, stava per succedere qualcosa. Che strano caso, proprio la Sampdoria! Quella sera le lancette della storia giravano al contrario. Era il gruppo di Spalletti con Ranieri in panchina".
Volevo riagganciarmi a un discorso: hai detto che servono i giocatori. Trasportandoci alla Roma di oggi, credi che la Roma abbia giocatori in grado di trasformare le idee in qualcosa di pratico?
"Manca quella caratteristica. Basta fare un confronto. Qui c'è un solo calciatore che è diverso dagli altri, Paulo Dybala. Faccio fatica a trovarne uno diverso dagli altri, invece, nella Roma di Capello. C'era qualcosa di simile di reparto in reparto. In quesi casi si può fare quello che si vuole. Ora l'applicazione tattica e la presenza fisica sono cose che contano di più".
Un tuo pensiero sul periodo della Roma, da De Rossi a Juric?
"Il discorso è lungo, ma lo sintetizzo al massimo: c'è una gran confusione e una mancata comprensione della proprietà. O una mancata comprensione da parte nostra su che cosa la società vuole fare. Forse i Friedkin non hanno capito che cos'è una squadra di calcio: o decidono di vivere questa città fino all'ultimo con la sua squadra, o siamo noi che non abbiamo capito quello che loro vogliono fare. In quel caso, qualcuno deve parlare".
Juric è l'uomo giusto?
"È un allenatore. Ha fatto la gavetta, ha sempre cercato di fare il suo. Ma non ho capito bene quello che deve fare questo allenatore in sei mesi. Non l'ho ben afferrato. Può darsi che sia io il problema. Il mio problema è far capire ai Friedkin che Roma e la Roma non sono quella roba lì e non si può andare avanti ad algoritmi. Se c'è un posto sbagliato dove portare avanti questi ideali, questo posto è Roma. Magari lo hanno capito: in quel caso sono io a non aver capito le loro intenzioni. Juric è un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro: non ha mai allenato una squadra di questo livello e per un allenatore avere a che fare con certi giocatori può dare una soddisfazione incredibile. Rischia di essere stritolato. Sta vivendo bene la situazione, cercando di estraniarsi. Vuole isolarsi perché, come ha detto lui, è bellissimo stare in Paradiso. Il problema è altrove. Non so se in cima alla Roma o presso chi non ha capito le intenzioni dei vertici della Roma".
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