Parla Marino: "Roma, serve il giusto mix"
"Si può puntare sui giovani ma bisogna avere calciatori esperti per soddisfare le esigenze di risultati di una piazza che risponde riempiendo lo stadio in ogni singola partita"
Pierpaolo Marino ha iniziato la sua carriera lavorativa nel mondo del calcio come direttore sportivo del Napoli nel lontano 1984. 3 anni dopo si è spostato alla Roma dove ha lavorato al fianco del presidente Dino Viola nella stagione 1987-1988. Nella Capitale è rimasto solamente per una stagione prima di diventare il presidente dell’Avellino. Chiuso un altro triennio alla guida della società, Marino ha continuato a ricoprire ruoli dirigenziali in club come Napoli, Atalanta e Udinese, società per altro dove ha ricoperto il suo ultimo incarico dal 2019 al 2023. Abbiamo intervistato l’ex consulente di Dino Viola con il quale abbiamo parlato dei Friedkin, del progetto giallorosso per i prossimi anni e del calcio italiano in generale.
Lei ha lavorato nella Roma come consulente di Dino Viola nella stagione 1987-1988. Che ricordi ha di quell’esperienza e del presidente?
«Ho ricordi bellissimi, di un terzo posto fatto ristrutturando la squadra completamente dopo il disastro dell’anno precedente al mio arrivo nella Roma. Arrivammo alle spalle del Milan degli olandesi come Van Basten e Gullit e al Napoli di Maradona toglendoci anche delle belle soddisfazioni. Dino Viola è stato un maestro, un amico. Con lui c’era solo da imparare. Aveva uno spessore manageriale incredibile oltre ad un’umanità a livello personale fuori dal comune, ripeto da lui si poteva solamente imparare qualcosa, è stato un grandissimo».
Sono passati tanti anni e cambiate tante proprietà. Oggi ci sono i Friedkin, che idea ha di loro?
«Mi sembra che abbiano un’ottima capacità strategica. Da un punto di vista prettamente legato al marketing, sanno come creare consenso tra i tifosi e questo è facilmente riscontrabile vedendo tutti questi sold out che non si ricordavano da tempo in casa Roma. Quindi sotto questo punto di vista secondo me la loro gestione e il loro approccio in generale è assolutamente positivo».
A proposito dei Friedkin, il gruppo è vicino all’acquisizione dell’Everton. Lei ha lavorato nell’Udinese con la famiglia Pozzo che detiene anche il controllo del Watford: per questo le chiedo un suo parere a riguardo.
«Credo che l’acquisizione di un club estero, per quanto esso sia prestigioso, può essere un elemento positivo. Gli interessi dei due club non sono in contrasto e inoltre gli introiti dell’Everton non sono inferiori a quelli del nostro campionato, quindi non ci saranno da fare delle trasfusioni dalla Roma al nuovo club. Si potrà invece sfruttare una nuova sinergia in campo commerciale e in campo tecnico. Io lo vedo come un valore aggiunto anche alla luce della mia esperienza dove in alcuni momenti il Watford ha avuto bisogno dell’Udinese e viceversa. A maggior ragione poter gestire due club con lo spessore commerciale di Roma e Everton può portare ancora più vantaggi».
Il calciomercato è cominciato con Ghisolfi a lavoro per dare a De Rossi la miglior squadra possibile. Che cosa ne pensa di loro due?
«Quello che posso dire è che nutro un grande rispetto e una grande stima nei confronti di De Rossi. Ho avuto la fortuna di avere a Udine alcuni dei suoi collaboratori come Brignardello, quindi oltre alla stima che ho per lui ho conoscenza anche del suo staff e posso dirvi che secondo me possono fare molto ma molto bene. Ghisolfi non lo conosco in maniera approfondita, non ho dei rapporti lavorativi con lui per cui non posso dire altro che la sua esperienza, pur non essendo di lunga data, possa portare alla Roma ciò di cui ha bisogno. Certo, Roma per chi fa il direttore sportivo è una piazza impegnativa perché ci sono tanti aspetti quotidiani importanti ma mi auguro che possa rivelarsi all’altezza della situazione».
La Roma sembra voler intraprendere un progetto giovani, secondo lei si addice alle esigenze della squadra in questo momento?
«Un lavoro di questo tipo si basa sul medio periodo, certamente non sul breve. Chiaro è che una piazza come quella di Roma però ha anche bisogno di calciatori esperti, che siano pronti anche per il breve. Quando hai un pubblico che ti riempie lo stadio ogni partita devi anche soddisfare il suo bisogno di risultati e aspettative che giustamente nutre. Il tifoso romanista lo consoco bene soprattutto per la passione e l’affetto che nutre nei confronti della squadra quindi bisogna essere bravi a creare un giusto mix di giovani e di calciatori pronti a giocare in una piazza come questa. Anche perché i calciatori meno esperti per crescere hanno bisogno di un contesto che non li esponga troppo alle responsabilità».
Anche quest’anno il calendario ha suscitato qualche polemica. Pensa che debba essere inserito un ulteriore criterio che tuteli le squadre impegnate in Europa League nelle fasi cruciali della competizione?
«Assolutamente sì. Sarebbe giusto tutelare le squadre che giocano in Europa anche perché l’Atalanta ci ha dimostrato che vincerla porta un ritorno di immagine e commerciale. Se consideriamo il fallimento della nazionale nello stesso anno in cui con le squadre di club abbiamo ottenuto il primo posto nel ranking questo basterebbe a far sì che i club stessi potessero godere delle tutele necessarie».
Ha parlato di Nazionale, quindi le chiedo cosa secondo lei non ha funzionato nella spedizione, purtroppo fallimentare, che ha preso parte ad Euro 2024.
«Credo che la gestione sia stata problematica in tutti i suoi punti ma al primo posto metto la preparazione atletica. In quelle prime 4 partite con l’occhio di chi ha diretto squadre per oltre 40 anni di calcio ho visto una squadra con la gamba dura come quando si è nel pre campionato, non una squadra al top della competizione per affrontare un Europeo come questo. Le responsabilità per me sono da suddividersi tra Spalletti e il suo staff per come si è giocato male. Poi è chiaro, con il senno di poi dopo le partite siamo tutti commissari e sappiamo dire quali sono stati gli errori di Spalletti e io in questo non mi cimento. Ho lavorato 4 anni con Luciano a Udine e ho troppa stima di lui per approfondire questa analisi. Dico però che non vanno confuse le prestazioni vergonose dell’Italia con problemi strutturali del nostro calcio, come la nascita dei talenti o l’aiuto dei club e della Serie A alla nazionale. Al riguardo, mi chiedo perché delle società per azioni che hanno scopi di lucro dovrebbero avere il fine di fornire calciatori alle nazionali che vende i propri diritti sfruttando calciatori stipendiati da questi club. La divergenza comunque tra l’Europeo e il primato europeo la dice lunga sulla differenza del lavoro svolto dalla Serie A rispetto a quello svolto dalla nazionale
Cosa ne pensa del calcio giovanile in Italia? Crede che l’Under 23 possa essere una soluzione importante per aiutare la produzione di giovani talenti?
«Credo che bisognerebbe dare una maggiore attenzione alla formazione di istruttori ad hoc per i giovanissimi nelle scuole calcio. Oggi si formano più che istruttori dei potenziali allenatori per il futuro a livello di corsi a Coverciano. Credo che invece bisognerebbe specializzarsi nella formazione dei talenti. Gli allenatori che ripetono i moduli nei settori giovanili non servono, serve insegnare veramente come si tocca la palla, come si gestiscono situazione di base. Sulle Under 23 partirei dicendo che intanto hanno aumentato di un anno l’età della Primavera rendendola un Under 20, e questo è un provvedimento secondo me positivo. Ma le seconde squadre mi convincono di più. L’esempio spagnolo dovrebbe averci insegnato qualcosa, io le vedo di buon occhio soprattutto per quelle squadre che investono molto sui settori giovanili. Invece sembra che noi siamo ancora ancorati ad un modello vecchio, quasi che ostacola un certo tipo di soluzioni che secondo me potrebbero portare dei risultati».
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