Interviste

«Il trionfo del gruppo»

Candela: «Il 17 giugno 2001 è stato un sogno. Il segreto? Sensi, Capello e una squadra forte e unita. DDR ha le carte in regola per diventare grande»

Vincent Candela

Vincent Candela (GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Lorenzo Latini
17 Giugno 2024 - 07:00

Lui c’era, in campo, quel giorno di 23 anni fa, quando l’Olimpico traboccava d’amore e di tifosi, in un caldo infernale nonostante ci avvicinassimo al Paradiso. Da un suo suggerimento, al 19’, sotto la Curva Sud, nasceva il gol dell’1-0 di Totti: era il 17 giugno 2001 e la Roma si preparava a laurearsi Campione d’Italia dopo diciotto anni di attesa. Vincent Candela quel giorno se lo ricorda benissimo, per filo e per segno: lui è stato uno dei protagonisti assoluti di quel trionfo, il laterale sinistro dal piede destro raffinato, dotato di tecnica cristallina (da trequartista) e di un senso d’appartenenza che non s’è spento nemmeno a distanza di quindici anni dall’addio al calcio. Del resto, se Totti arrivò a definirlo «più romano dei romani», un motivo deve pur esserci. Non a caso, ha scelto di fare della Capitale la sua prima casa. Impegnato  in un torneo di padel a Milano («Mi piace, dai: ci divertiamo e questo è l’importante»), abbiamo raggiunto Vincent telefonicamente per farci raccontare quel giorno speciale, anzi unico, di cui oggi ricorre il 23° anniversario.

Vincent, che ricordi hai di quel pomeriggio?
«Sembrava di essere all’interno di un sogno, ma i ricordi sono nitidi: dalla mattina c’era un’atmosfera incredibile, infuocata in tutta la città. Da Trigoria fino all’Olimpico, tutti i romanisti ci accompagnarono, facendoci sentire il loro incredibile supporto».

Che emozioni avete vissuto durante quelle ore?
«C’era un’adrenalina assurda, e anche tanta pressione. Ma sapevamo che dipendeva tutto da noi, quindi eravamo determinati a compiere l’impresa. Una giornata veramente emozionante».

Qual è stato, secondo te, il segreto di quella squadra?
«Semplice: il presidente Sensi, Capello e un gruppo forte e unito. Ci sono state tante Rome forti, in quegli anni, sia prima sia dopo, ma in quella lì si era creata l’alchimia perfetta».

Hai citato Capello: lui ha avuto un ruolo fondamentale nella tua permanenza...
«Sì, perche nel ‘99 avevo discusso con Zeman, quindi stavo per andare via. Poi però arrivò Capello e disse: “Candela non si vende”».

Per fortuna.
«Sì, è andata bene così. Per questo, e per tutto il resto, Capello rimane assolutamente il mio allenatore preferito».

In quella stagione, tu e Cafu siete stati probabilmente la miglior coppia di esterni al mondo.
«Sì, diciamo che eravamo equilibrati, perché Cafu magari spingeva un po’ di più rispetto a me, dato che da quella parte lo copriva Zebina. Quando salivo io, invece, c’era Delvecchio che si abbassava. Ma Marcos... beh, lui è un vero gigante del calcio».

Vi sentite ancora con lui e con gli altri ex compagni?
«Certo, assolutamente sì, con tutti quanti». 

C’è stato un momento decisivo verso la conquista dello Scudetto?
«Difficile trovarne uno soltanto, perché il cammino è stato duro fino alla fine. Però...». 

Però?
«Diciamo che a Torino contro la Juventus, quando dallo 0-2 abbiamo rimontato e pareggiato 2-2, mi sono detto: “siamo fortissimi”. Perché nonostante avessimo incassato due gol nei primissimi minuti, non abbiamo perso la calma. Abbiamo mantenuto i nervi saldi e siamo stati premiati per questo».

Anche perché quella Juve era fortissima.
«Esatto, proprio per questo quel pareggio arrivato nel finale è valso tanto. Perché in tutte le altre partite della stagione, anche le più difficili, sapevo che un gol sarebbe potuto arrivare. Ma contro quella Juventus lì, non era affatto scontato».

Veniamo all’attualità: tu De Rossi lo hai visto muovere i primi passi da calciatore, ora come lo vedi da allenatore di questa squadra?
«Ti dico la verità: già da prima che la Roma lo prendesse, pensavo che avesse tutte le carte in regola per diventare uno dei più grandi. Alla SPAL le cose gli sono andate male, ma quell’avventura gli è servita per fare esperienza».

E ora?
«Ora si comincia a fare sul serio, dopo i sei mesi di apprendistato. Non era facile raccogliere l’eredità di uno come Mourinho, ma lui è riuscito a gestire alla grande la squadra. Forse in Europa League si sarebbe potuti arrivare in finale, ma purtroppo le cose sono andate così».

E per quanto riguarda il sesto posto in campionato?
«Credo che sia stato anche una conseguenza dei tanti punti persi nella prima parte di stagione: la rincorsa si era fatta complicata. Ma vedrete: Daniele diventerà un grandissimo allenatore, tra i migliori».

Ora si troverà a lavorare con il tuo connazionale Ghisolfi: lo conosci?
«Non lo conoscevo, anche perché è molto giovane, ma mi sono informato su di lui. L’importante, per lui, sarà avere una mentalità e una strategia condivisa con l’allenatore, con il direttore generale e con tutta la dirigenza».

Tu un Europeo, quello del 2000, lo hai vinto. Che cosa ti aspetti da Euro2024? Un pronostico secco sulla vincente?
«Dico Francia: mi sembra un passo avanti rispetto alle altre. Ha una squadra molto forte e un allenatore bravissimo a gestire questo tipo di tornei, ma il calcio a volte può riservare delle sorprese. Ci sono tante squadre forti: Spagna, Germania, Italia...».

A proposito dell’Italia: come l’hai vista contro l’Albania?
«Ha reagito molto bene: ha incassato quel gol dopo pochi secondi, ma è riuscita a rialzarsi e ha fatto vedere buone cose. Poi ha un grande allenatore come Spalletti. Sono curioso di vedere fin dove riuscirà ad arrivare».

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