Monchi: "La Roma è grande. Vorrei che Dybala fosse in campo in finale"
L'ex direttore sportivo: "So di avere sbagliato, ma ormai è il passato. Sono da 37 anni nel calcio e sono alla 19ª finale da ds. La Coppa? Nessuno la vuole più di noi"
Andò via l’8 marzo del 2019, è tornato a parlare di Roma per la prima volta ieri, in una conferenza a distanza organizzata con 9 giornalisti italiani, "per non fare torto a nessuno". Ramon Rodriguez Verdejo, detto Monchi, ds del Siviglia che affronterà la Roma, è così. Sull’uomo nessuno, del resto, può aver dubbi: è un sentimentale, un lavoratore, è sensibile, onesto, ironico. Sulle virtù da direttore sportivo a Siviglia è considerato un semidio, anche se alcuni risultati negli ultimi tempi ne avevano offuscato la limpidezza. A Roma, invece, il livello di stima è drasticamente calato. Dal monte di acquisti (per 223 milioni) a quello delle cessioni (304, in pratica ha lasciato nelle casse della Roma un utile di 81 milioni), in tanti hanno dimenticato gli arrivi di Zaniolo, Pellegrini, Karsdorp, Kolarov, Cristante, ma si ricordano solo le mortifere acquisizioni di Pastore e Nzonzi. I più perfidi si chiedono invece che squadra avrebbe avuto la Roma se non avesse ceduto (solo nei due anni di Monchi) Salah, Rudiger, Paredes, Alisson, e magari pure Mario Rui, Strootman e Nainggolan (anche se incassare 60 milioni solo per queste ultime due cessioni, considerando quel che successivamente hanno combinato i due centrocampisti, va considerato un capolavoro), come se fosse di un ds la colpa di essere costretto a rispettare i parametri stringenti del fair play finanziario. Della lunga chiacchierata con Monchi abbiamo tolto la maggior parte delle domande, lasciandovi solo il senso delle sue risposte. Eccolo.
I miei errori
"Tante volte ho pensato ai miei due anni romani. Ho provato a fare il meglio possibile. Sicuramente ho sbagliato molto. Non ho problemi ad ammetterlo. Ma anche quest’anno a Siviglia ho sbagliato qualcosa. Nessuno è infallibile. Certo che qui sono da 24 anni e di sicuro mi conoscono meglio e, come dire, hanno più fiducia, mi aspettano, ho una storia. A Roma è stato più difficile, c’erano tante aspettative su di me. Pensavano che facessi tanti gol e parassi tutto. E dopo certi errori avrei avuto bisogno di tempo per capire e migliorare. Ma non c’è tempo in un grande club. Di sicuro non posso dire che non mi hanno lasciato lavorare. Sarei un bugiardo. Se cambierei qualcosa? Certo, con l’esperienza vissuta oggi il mio approccio sarebbe diverso. Roma va conosciuta e io ora la conosco molto meglio. Com’è la città, com’è il club, come sono i tifosi, come è la stampa. Questo intendevo quando ripetevo che non sono mai riuscito ad essere Monchi in quei due anni. Mi è mancata la conoscenza di alcuni aspetti fondamentali. Non ho avuto neanche il tempo di capire. Ma non cerco alibi. La responsabilità è mia al 95%. E mi sono trovato bene con tutti quelli con cui ho lavorato: da Mauro a Fienga a Gandini".
Le critiche di Pallotta
"Ognuno è libero di dire ciò che pensa. Io a Pallotta sono grato perché mi ha portato in una squadra grande come la Roma, ho passato due anni bellissimi. Io sono nel calcio da 37 anni, mercoledì per me è la diciannovesima finale lavorando nel Siviglia, non nel City o nel Real Madrid. 10 finali le abbiamo vinte. Qualcosa di buono penso di averla fatta. Se qualcuno non ha una buona opinione di me, me ne faccio una ragione".
Le cose fatte bene
"A me non piace parlare delle cose fatte bene, di sicuro penso di aver lavorato a Roma con serietà ed onestà. Per me dormire tranquillo è la cosa più importante. E poi sono state due differenti stagioni. Nella prima è andato tutto benissimo, con la notte con il Barcellona, con il rientro a casa alle due di notte e i tifosi che mi hanno aspettato fuori di casa per festeggiarmi, e con il terzo posto in campionato. Momenti che ancora mi emozionano. Nel secondo anno è andato tutto male e tutto si è trasformato in negativo. Di sicuro non è semplice lavorare a Roma, ma per un motivo: Roma è più grande di quello che pensa chi sta fuori e non la conosce. È grande per i suoi tifosi, per le sue necessità quotidiane, per la stampa, per le ambizioni di ogni stagione. E di tempo non ce n’è. Poi è una città bellissima. Mi spiace solo non essere ancora tornato da quando sono andato via, ma presto lo farò. Purtroppo le vacanze per un direttore sportivo sono poche".
Siviglia e Roma dopo Duisburg
"Tutte e due le squadre sono cambiate molto rispetto ai tempi in cui si affrontarono nel 2020. Il Siviglia era un treno, non c’era alcuna possibilità che la corsa si potesse fermare. Ora è diversa, non so se migliore o peggiore. Ma anche la Roma è cambiata. Ora direi che le due squadre si equivalgono. Favoriti? Questo non so mai dirlo prima. Preferisco dirlo dopo...".
Gli amici a Roma
"Ne ho ancora tanti di amici a Roma, alcuni tra i giornalisti, molti tra giocatori e dirigenti, e molte persone comuni. Mi fa piacere avere ancora rapporti. Per fare un esempio, appena è finita la partita con la Roma ho ricevuto tanti messaggi di romanisti contenti per me e di poterci incontrare in finale. Qualcuno che mi ha deluso? No, non ragiono così, se è accaduto sarà stato a sua volta deluso da me. Della Roma di oggi non saprei dire se c’è qualcosa ancora di mio. La Roma è troppo grande, più grande di uno qualsiasi di noi che possa dire che in qualche modo sia stata anche “sua”. Se vedo le partite? Io la Roma la guardo sempre, penso che da quando sono andato via non ci sia una partita giocata dalla Roma che io non abbia visto".
Piano A e piano B
"Quest’anno ho cambiato tre allenatori, è vero. Ma è diversa la situazione con Roma. Non è vero che all’epoca io non avessi un piano B ai tempi in cui la società voleva licenziare Di Francesco. Per me semplicemente non era giusto mandarlo via. Aveva accettato tante cessioni ed era stato bravissimo il primo anno. Mi sembrava giusto fargli finire la stagione. Io ho sempre un piano B, ma anche C e D. E sono andato via quando il rapporto si era ormai guastato, non solo perché Eusebio fu licenziato. Quest’anno è stato diverso. Lopetegui ha cominciato male e a un certo punto è stato inevitabile. Sampaoli si è invece trovato invischiato nella lotta per non retrocedere e lui lì per me ha sbagliato: guardava avanti e invece doveva guardare alle squadre sotto. Così abbiamo preso Mendilibar che era abituato a certe lotte".
Sabatini e Totti
"Walter è troppo sopra di me, lui è un top. Io sono uno dei tanti. E Francesco è Francesco, nessuno potrà cambiarlo. Io ho avuto un ottimo rapporto con lui, ho avuto l’onore di essere al suo fianco, non posso che parlarne bene".
Pellegrini e Dybala
"Sono contento dell’evoluzione che ha avuto Lorenzo, doveva uscire dal Sassuolo per esprimersi compiutamente, è il capitano giusto per la Roma. Dybala? Lo dico sinceramente, mi piacerebbe che fosse in campo, nelle finali è giusto che ci siano i grandi giocatori. E se fosse al 20% varrebbe il 60/70% di qualcun altro. Zaniolo? Non è vero che a gennaio abbiamo pensato a lui. È fortissimo, ma non avevamo i parametri economici per poterlo prendere".
Mourinho all’italiana
"Mourinho è un allenatore top, è giusto che la Roma si sia rivolta a uno come lui e lui ha ripagato la fiducia portando subito un trofeo e ora arrivando in fondo anche in Europa League. Giocherà all’italiana? Non so se sarà così, e non è detto neanche che noi avremo il possesso palla, visto che le statistiche non dicono questo. Forse il pallone lo porterà l’arbitro... Oggi tutti sanno come giocano tutti. Noi di sicuro dobbiamo essere il Siviglia. Così abbiamo vinto con la Juventus e con il Manchester. Ci sarà tanto rispetto, l’importante sarà non fare errori. Qui diciamo che nessuno vuole l’Europa League come il Siviglia. 'Nadie la quiere como nosotros'. Tre mesi fa dicevano tutti che avremmo dovuto abbandonare l’Europa League perché stavamo rischiando la serie B. Ma noi non abbiamo mollato, neanche quando stavamo 2-0 a Manchester e sembrava che potessero farcene altri due. E anche con la Juventus. Abbiamo fatto sei finali, quando siamo arrivati ai quarti siamo sempre andati in finale e sempre abbiamo vinto. È un percorso magico che ha un preciso momento d’inizio: il 27 aprile 2005, il gol di Puerta nella semifinale di ritorno con lo Schalke 04. Puerta sta sempre con noi, nei nostri cuori".
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