Interviste
Donati: "Nel problema del doping l'atleta è solo un tassello di un mosaico"
Le parole dell'ex allenatore di Schwazer a Radio Romanista: "Sarebbe bastato dargli un allenatore normale e poi aiutarlo sul piano personale. Il sistema va cambiato"
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La Redazione
09 Maggio 2023 - 12:12
Sandro Donati, ex allenatore di Alex Schwazer, è intervenuto ai microfoni di Radio Romanista.
Di seguito l'intervista completa:
Sulla vicenda di Alex Schwazer e sul percorso fatto proprio con Donati.
"Cambiare strategia o modalità di gestione dell'atleta avrebbe modificato qualche punto della storia ma non la sostanza. Questo è un atleta trovato positiva per caso, perché se non l'avessi segnalato io nessuno lo avrebbe mai controllato. Non mi risulta che gli altri atleti aspiranti alle medagli siano stati controllati. I controlli prima dei giochi olimpici sono un qualcosa di raro. Il sistema ha un clichè con chiunque venga trovato "dopato". Lo fanno diventare l'emblema della serietà e dell'intransigenza del sistema antidoping. Quando accettai di allenare questo atleta mi resi conto che i miei rapporti con la WADA, cioè l'Agenzia Mondiale Antidoping, stavano cambiando. Avrebbero voluto che lui testimoniasse contro Michele Ferrari (medico di Schwazer) e che dicesse che lo aveva dopato lui, ma non era così. Il doping lo aveva preso per conto suo e Ferrari non c'entrava niente. Poi loro non gradivano che io facessi un operazione di questo genere perché per loro il "dopato" diventa la classica "pecora nera". Il problema va sempre analizzato nel contesto in cui l'atleta si trova. Il contesto di Schwazer era chiarissimo. Era quello di una depressione profonda per la quale veniva curato. E quindi avrebbe avuto bisogno di persone vicino ad aiutarlo. Avrebbe avuto bisogno di un allenatore degno di questo nome, che non gli è stato dato. Ciò non toglie responsabilità a Schwazer, però le accolla in parte all'ambiente circostante. Il sistema è rigido e focalizzato all'apparenza. Non è efficiente ma è estremamente corrotto".
Perché ha scelto di intraprendere questo percorso con Schwazer.
"Cambiare strategia o modalità di gestione dell'atleta avrebbe modificato qualche punto della storia ma non la sostanza. Questo è un atleta trovato positiva per caso, perché se non l'avessi segnalato io nessuno lo avrebbe mai controllato. Non mi risulta che gli altri atleti aspiranti alle medagli siano stati controllati. I controlli prima dei giochi olimpici sono un qualcosa di raro. Il sistema ha un clichè con chiunque venga trovato "dopato". Lo fanno diventare l'emblema della serietà e dell'intransigenza del sistema antidoping. Quando accettai di allenare questo atleta mi resi conto che i miei rapporti con la WADA, cioè l'Agenzia Mondiale Antidoping, stavano cambiando. Avrebbero voluto che lui testimoniasse contro Michele Ferrari (medico di Schwazer) e che dicesse che lo aveva dopato lui, ma non era così. Il doping lo aveva preso per conto suo e Ferrari non c'entrava niente. Poi loro non gradivano che io facessi un operazione di questo genere perché per loro il "dopato" diventa la classica "pecora nera". Il problema va sempre analizzato nel contesto in cui l'atleta si trova. Il contesto di Schwazer era chiarissimo. Era quello di una depressione profonda per la quale veniva curato. E quindi avrebbe avuto bisogno di persone vicino ad aiutarlo. Avrebbe avuto bisogno di un allenatore degno di questo nome, che non gli è stato dato. Ciò non toglie responsabilità a Schwazer, però le accolla in parte all'ambiente circostante. Il sistema è rigido e focalizzato all'apparenza. Non è efficiente ma è estremamente corrotto".
Perché ha scelto di intraprendere questo percorso con Schwazer.
"Perché con una sua frase mi fece vedere un punto di vista diverso: 'Lei se la sente di sporcarsi le mani con un dopato?'. Mi colpì la sproporzione totale con la quale un sistema sportivo corrotto si permette di dare questi titoli, questi isolamenti, a delle persone spesso giovani che in qualche caso hanno delle responsabilità grosse ed esclusive ma in altri casi sarebbero potute essere salvate. Il caso di Schwazer è certo. Sarebbe bastato dargli un allenatore normale e poi aiutarlo sul piano personale. Io pensai che l'aggettivo con il quale io venivo definito da anni del 'paladino della lotta al doping' era totalmente retorico. Ed è una delle soluzioni retoriche che il sistema trova per cristallizzare il tutto. Tutto uno schema, ma noi non siamo uno schema siamo molto più complessi. Quando lui ha deciso di cercarmi per chiedermi di allenarlo, non sapeva che io lo avevo segnalato nella prima positività. Glielo dissi in un tempo successivo, a una cena con amici a casa mia dato che lui veniva spesso perché stava solo. E lui mi fece una battuta scherzosa 'E che mi potevo aspettare da uno come te...'. Quella segnalazione riguardava tutti i dirigenti della federazione atletica e della preparazione olimpica del Coni, che sapevano le stesse cose che sapevo io. Per le quali io ho segnalato e loro sono stati zitti".
Il suo cammino con Alex.
"Il percorso non è stato sempre lineare. Le prime tre quattro settimane sono state impegnative. Perché lui incubava un'influenza intestinale e poi dopo con compromissioni anche respiratorie, ma io questo non potevo saperlo. Quindi vedevo che non rendeva granché ed ero molto ironico. Adesso un po' me ne vergogno perché effettivamente questo ragazzo ha dovuto un po' subire una mia ruvidezza nel trattarlo. Lui sopportò perché ormai aveva fatto questa scelta. Ma poi questo disturbo respiratorio cominciò ad attenuarsi e lui mise in evidenza tutto il suo valore. A quel punto la situazione si rovesciò. Mi resi conto che era un'atleta con grande capacità di assorbire l'allenamento e smaltirlo. Poi assorbì molto bene il cambiamento forte che gli proposi nelle metodiche di allenamento. Inoltre mi rivolsi a degli amici, tra cui un nutrizionista, un posturologo, un traumatologo e uno psicologo, che gratuitamente gli fornivano i servizi dato che lui spendeva già molti soldi (albergo in cui alloggiava, mangiare, controlli antidoping imposti). Un giorno mi chiamò lo psicologo e mi disse che Alex non aveva più bisogno degli antidepressivi. Io mi spaventai perché la mamma mi aveva raccomandato assolutamente di farglieli prendere con regolarità. Mi disse che questa era una depressione non di tratto caratteriale ma indotta dagli avvenimenti negativi a lui capitati. Un giorno intorno al circuito Aniene lui si girò verso di me e mi disse che era felice. Incredibile, dato che era uno di poche parole. Quanto tornai a casa dissi a mia moglie che questo ragazzo sarebbe arrivato tra i primi 10 e dopo 3/4 settimane gli dissi anche che avrebbe potuto vincere una medaglia. Presi uno schema di valutazione e mi accorsi che stava spaccando rispetto agli altri avversari. Malagò, a cui periodicamente mandavo i dati, mi disse che aveva un margine di 4 minuti dal secondo".
Quando Schwazer fu trovato nuovamente positivo al doping, ha mai pensato che Alex potesse aver ingannato anche lei oltre alla WADA?
"Assolutamente no. Perché avevo tutti gli strumenti per essere sicuro di tutto. In quel periodo è stato controllato 42 volte a sorpresa ed è stato sempre trovato apposto. Ed io lo vedevo da tutto un insieme di cose, tra cui la regolarità e la crescita delle performance di allenamento. La situazione era rovesciata. Quel controllo antidoping era contornato da irregolirità grossolane. Quando ricevemmo la notizia l'indomani mattina andammo alla Procura della Repubblica di Bolzano e denuciammo contro ignoti. Quella positività è una positività di un sistema riluttante. In Italia sono accadute due cose: da una parte gli organismi della giustizia sportiva hanno avuto dei comportamenti sconcertanti e dall'altra l'altra parte dello sport ha taciuto. Nel mio libro riporto una frase "Chi è sordo, orbo e tace campa 100 anni in pace". Per esempio, il caso di Schwazer non fu messo nell'ordine del giorno nell'incontro con l'agenzia mondiale antidoping. Un'ipocrisia totale. L'ambiente è capace solo di vendette e odio. La storia dell'antidoping è una storia orribile che io conosco molto bene. L'ho spiegato agli atleti di alto livelli che ho allenato. Gli ispettori durante i controlli prendono dei campioni di urina che si portano via ma non lasciano nulla in mano. Questi campioni possono essere manipolati. Possono esserci singoli laboratori che si lasciano corrompere. Il sistema va cambiato".
Che cosa c'è nel futuro di Alex e cosa c'è nel suo futuro.
"Il suo futuro è quello di un uomo maturo che lavora e che porta avanti la sua famiglia. È sereno perché è giusto che un giovane volti pagina perché non è che può farsi rovinare la vita da questi soggetti. Forse su di me sono stati lasciati molti strascichi a causa della stanchezza dovuta ai contrasti avuti tanti anni con questa gente. La radice del problema del doping era la corruzione delle istituzioni. L'atleta è un tassello di un mosaico. Attulmente io ho ricominciato ad allenare: alleno tanti atleti per conto mio, sto bene e mi piace".
"Il percorso non è stato sempre lineare. Le prime tre quattro settimane sono state impegnative. Perché lui incubava un'influenza intestinale e poi dopo con compromissioni anche respiratorie, ma io questo non potevo saperlo. Quindi vedevo che non rendeva granché ed ero molto ironico. Adesso un po' me ne vergogno perché effettivamente questo ragazzo ha dovuto un po' subire una mia ruvidezza nel trattarlo. Lui sopportò perché ormai aveva fatto questa scelta. Ma poi questo disturbo respiratorio cominciò ad attenuarsi e lui mise in evidenza tutto il suo valore. A quel punto la situazione si rovesciò. Mi resi conto che era un'atleta con grande capacità di assorbire l'allenamento e smaltirlo. Poi assorbì molto bene il cambiamento forte che gli proposi nelle metodiche di allenamento. Inoltre mi rivolsi a degli amici, tra cui un nutrizionista, un posturologo, un traumatologo e uno psicologo, che gratuitamente gli fornivano i servizi dato che lui spendeva già molti soldi (albergo in cui alloggiava, mangiare, controlli antidoping imposti). Un giorno mi chiamò lo psicologo e mi disse che Alex non aveva più bisogno degli antidepressivi. Io mi spaventai perché la mamma mi aveva raccomandato assolutamente di farglieli prendere con regolarità. Mi disse che questa era una depressione non di tratto caratteriale ma indotta dagli avvenimenti negativi a lui capitati. Un giorno intorno al circuito Aniene lui si girò verso di me e mi disse che era felice. Incredibile, dato che era uno di poche parole. Quanto tornai a casa dissi a mia moglie che questo ragazzo sarebbe arrivato tra i primi 10 e dopo 3/4 settimane gli dissi anche che avrebbe potuto vincere una medaglia. Presi uno schema di valutazione e mi accorsi che stava spaccando rispetto agli altri avversari. Malagò, a cui periodicamente mandavo i dati, mi disse che aveva un margine di 4 minuti dal secondo".
Quando Schwazer fu trovato nuovamente positivo al doping, ha mai pensato che Alex potesse aver ingannato anche lei oltre alla WADA?
"Assolutamente no. Perché avevo tutti gli strumenti per essere sicuro di tutto. In quel periodo è stato controllato 42 volte a sorpresa ed è stato sempre trovato apposto. Ed io lo vedevo da tutto un insieme di cose, tra cui la regolarità e la crescita delle performance di allenamento. La situazione era rovesciata. Quel controllo antidoping era contornato da irregolirità grossolane. Quando ricevemmo la notizia l'indomani mattina andammo alla Procura della Repubblica di Bolzano e denuciammo contro ignoti. Quella positività è una positività di un sistema riluttante. In Italia sono accadute due cose: da una parte gli organismi della giustizia sportiva hanno avuto dei comportamenti sconcertanti e dall'altra l'altra parte dello sport ha taciuto. Nel mio libro riporto una frase "Chi è sordo, orbo e tace campa 100 anni in pace". Per esempio, il caso di Schwazer non fu messo nell'ordine del giorno nell'incontro con l'agenzia mondiale antidoping. Un'ipocrisia totale. L'ambiente è capace solo di vendette e odio. La storia dell'antidoping è una storia orribile che io conosco molto bene. L'ho spiegato agli atleti di alto livelli che ho allenato. Gli ispettori durante i controlli prendono dei campioni di urina che si portano via ma non lasciano nulla in mano. Questi campioni possono essere manipolati. Possono esserci singoli laboratori che si lasciano corrompere. Il sistema va cambiato".
Che cosa c'è nel futuro di Alex e cosa c'è nel suo futuro.
"Il suo futuro è quello di un uomo maturo che lavora e che porta avanti la sua famiglia. È sereno perché è giusto che un giovane volti pagina perché non è che può farsi rovinare la vita da questi soggetti. Forse su di me sono stati lasciati molti strascichi a causa della stanchezza dovuta ai contrasti avuti tanti anni con questa gente. La radice del problema del doping era la corruzione delle istituzioni. L'atleta è un tassello di un mosaico. Attulmente io ho ricominciato ad allenare: alleno tanti atleti per conto mio, sto bene e mi piace".
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