A Tirana, dove la nostra storia ha girato pagina

Stavolta abbiamo piegato il destino, spesso avverso in passato. Stavolta non abbiamo perso meritando di vincere. Stavolta le lacrime sono state di gioia

PUBBLICATO DA Federico Vecchio*
01 Giugno 2022 - 10:20

Il nostro destino era uscire da quello stadio per maledire ogni metro che ci avrebbe separato dall'aeroporto, e ogni minuto in attesa che ne arrivasse finalmente uno - ma chissà quando - che ci impegnasse la mente a pensare ad altro. Ben sapendo che quel minuto non sarebbe però mai arrivato, se ancora ci pensi a quei rigori di Conti e Graziani, o a quel gol mai annullato al Liverpool, o a quello, facile facile, sbagliato da Gerolin a San Siro, o a quel tiro di Desideri al ritorno, che se l'avesse messa dentro.

E invece quel secondo tempo è stata la nostra Storia scritta al contrario. Cinquanta minuti in cui la palla prende il palo ed esce, il Var non si inventa un rigore che non c'è, nel recupero non arriva il gol del pareggio. Ed è stata la liberazione da questo incantesimo che era scritta nelle nostre facce quando l'arbitro ha fischiato la fine. In cui si piangeva e ci si abbracciava in quello stadio grande come il Tre Fontane, in cui conoscevi tutti, perché, anche se non li conoscevi, li conoscevi lo stesso, perché lo sapevi perfettamente cosa stessero provando e vivendo e sentendo e che non dicessero assurdità che quelle lacrime non erano per i fumogeni o per il troppo fumo per le sigarette di quello seduto davanti a loro.

Tirana è stata questo. È stata che abbiamo vinto, questa volta senza perdere meritando di vincere. È stata che questa volta non hanno cambiato le regole il giorno dopo, come capitò dopo il Gornik, perché la monetina era troppo ingiusta, ma intanto quell'ingiustizia era toccata a noi, o il gol fuori casa valeva doppio ma non se lo segnavi ai supplementari, e vallo a spiegare a Scaratti che, come noi, non lo sapeva. Per questo, quando alle tre di mattina ci siamo ritrovati, tutti, nell'aeroporto di Tirana, con gli aerei che partivano alla bisogna, nemmeno ci fossimo ritrovati al capolinea di Piazzale Maresciallo Giardino, con torelli improvvisati tra quei pochi gate, che tanto i palloni non mancavano perché quelli finiti in tribuna in campo non c'erano più tornati, e ci incontravamo dopo esserci persi di vista all'ingresso di quello Stadio (che da oggi scriveremo sempre con la maiuscola, sempre) non dicendoci nulla ma perdendoci in un abbraccio lungo e profondo, e con tutti, anche con quelli che conoscevamo poco poco, magari solo perché abitano nel quartiere, dalle parti del palazzo mio, e che abbiamo visto qualche volta nella vita portando giù il cane, per questo, dicevo, la sensazione che abbiamo avuto è che la nostra Storia avesse girato pagina. Che non c'è stato più da pagare dazio, anche nelle vittorie, alla nostra maledizione (nel 1983, la sconfitta in casa con la Juventus; nel 2001, quella a Firenze ed il pareggio a Napoli). Questa volta abbiamo vinto e basta. Anche se, nel primo tempo, che era passato appena un quarto d'ora, quando Mkhitaryan si è seduto in mezzo al campo, sembrava di leggere il copione del solito film già visto e rivisto.

E invece, no. Adesso siamo qui, a distanza di qualche giorno, a svegliarci la mattina e a renderci conto che c'è un posto meraviglioso dove ci piacerebbe ogni tanto tornare nella vita. Che non sono gli Hamptons o Miami beach, ma l'Arena Kombëtare. Dove, dal settore E108, dal seggiolino 12 di non so quale fila, ho visto la nostra Storia girare pagina. Ma, questa volta, dalla parte giusta.

* avvocato e scrittore romanista

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