Roma Femminile

Roma Femminile: due giorni, due finali, due trofei

Nessuna società esistente in Italia ha vinto un titolo con Primavera e prima squadra in una stagione. Il club giallorosso lo ha fatto in 48 ore

PUBBLICATO DA Leonardo Frenquelli
01 Giugno 2021 - 11:16

Dal 15 giugno 2018 alla fine di maggio 2021. Dalla creazione ufficiale della As Roma Femminile al doppio trionfo tra Sassuolo e Reggio Emilia. In 48 ore la Primavera e la prima squadra delle giallorosse hanno affermato una volta di più il club romanista come una delle realtà più importanti sul territorio nazionale a livello femminile. Il 30 maggio al Mapei Stadium la squadra di Betty Bavagnoli ha chiuso un cerchio che si era aperto il 7 settembre di tre anni fa, giorno dell'emozionante presentazione a Piazza di Spagna. Erano quasi vent'anni che una società non portava a casa un titolo nella stessa stagione dalle due categorie diverse: lo ha fatto la Roma che in due giorni ha scritto la storia, non solo sua, ma del calcio femminile italiano.

Bicampionesse

Le 48 ore d'oro sono cominciate con il trionfo della Primavera di Fabio Melillo. Già campionesse per la passata stagione con la finale vinta ai danni della Juventus a settembre dopo lo stop per il coronavirus. In quel campionato era già cominciata la striscia di vittorie di Pacioni e compagne che non si è più fermata. Nell'annata 2020-21, cominciata a settembre e intervallata dalle tante difficoltà causate dalla pandemia, il campo ha dato alle giovani romaniste sempre la stessa risposta: la vittoria. Tutte le partite della stagione regolare, la doppia sfida ai quarti con il Sassuolo, la semifinale con l'Inter e poi ancora la Juventus in finale, al Mapei Sport Center. Una gara dura e tirata, con il trionfo grazie alla rete di Tarantino al 95': il perfetto riassunto della forza del gruppo cresciuto da Fabio Melillo.

Una squadra capace di soffrire e di fare leva su un attaccamento fuori dal normale (ma tipicamente romanista) ai colori giallorossi. «Gioco con questa maglia da quando ho 10 anni» ha detto Massimino a fine gara: come lei, tra le bicampionesse ce ne sono tante altre. Questo valore, unito al lavoro e alla preparazione hanno reso grandi le piccole romaniste, le più forti di tutte, ancora una volta. Nei festeggiamenti successivi alla consegna del trofeo da bordocampo si è vista tutta l'unità di quelle ragazze, rimaste a festeggiare per oltre un'ora con lo staff e gli addetti ai lavori sul prato di Sassuolo. A un certo punto si sono unite anche le "grandi" di Bavagnoli, che sono corse a esultare con le campionesse d'Italia. Quel «Noi siamo la Roma» urlato a gran voce al centro del campo descrive tutta la grandezza del progetto che la società ha portato avanti con attenzione negli ultimi anni. E forse con quell'abbraccio la Primavera ha passato a capitan Bartoli e compagne una forza in più in vista della gara del giorno successivo.

Tre anni in 120 minuti (e rigori)

Dopo il trionfo della Primavera, pronosticabile ma comunque straordinario, domenica era in programma un appuntamento ancora più importante: l'attesissima finale di Coppa Italia tra il Milan di Ganz e la Roma di Betty Bavagnoli. Al Mapei Stadium di Reggio Emilia entrambe si giocavano un trofeo per la prima volta, ma da quelle parti in quelle 48 ore poteva trionfare solo il giallorosso. La partita, iniziata alle 20.30 davanti a circa 1.400 presenti è stata un po' un riassunto di tutta la giovanissima storia delle romaniste.

Nei 120' che hanno preceduto i rigori si è visto il bene e il male di quanto la coach ha saputo costruire nelle stagioni passate: c'era il bel gioco favorito dal 4-2-3-1 varato a inizio gennaio in Supercoppa contro la Juventus ma che ha radici anche nelle esperienze accumulate nelle annate precedenti, ma anche gli errori e la prevedibilità (soprattutto nella ripresa e nel primo supplementare) che spesso sono costati alla squadra l'attesa del famigerato "salto di qualità" e tanti passi falsi contro le big. E poi tra il secondo supplementare e i calci di rigore è venuta fuori la forza del gruppo, la caratteristica più importante e quella che Bavagnoli ha sempre curato maggiormente.

Si è vista nella voglia di lottare anche quando le forze erano finite e quando al 111' si sono viste negare un calcio di rigore solare che avrebbe abbattuto moralmente chiunque. Non la Roma. Gli abbracci prima della lotteria dal dischetto, la tranquillità (almeno apparente) di Ceasar prima di diventare protagonista assoluta con due parate e anche le lacrime di Giugliano al rigore trasformato: tutti segnali di come le giallorosse fossero pronte a diventare grandi per davvero. Il resto è storia. Il resto è capitan Bartoli che alza la coppa insieme a Pipitone (leader e "mamma" dello spogliatoio, cui la squadra ha dedicato anche uno striscione), la corsa sotto al settore dei romanisti sulla tribuna del Mapei. E poi, lo sguardo incredulo di Greggi (romana e romanista), la presenza dell'infortunata Hegerberg per sostenere le compagne e le lacrime (non solo di gioia) di quelle consapevoli che il giallorosso dalla prossima stagione non lo vestiranno più.

C'è un video che gira sui social che spiega come l'attaccamento che ha la Primavera di Melillo è un punto in comune con la prima squadra Serturini come Andressa, Ceasar come Swaby, Pettenuzzo come Lazaro: vengono da tutte le parti d'Italia e del mondo, ma cantavano all'unisono "Roma Roma" come se fossero nate e cresciute al centro di Testaccio. «Sognavo questo momento da quando sono nata», ha detto capitan Bartoli: si è visto nei suoi occhi e nella forza di tutta la squadra. È la coppa sua, di Bavagnoli, di Linari e di tutte queste ragazze che almeno per una sera sono state più giallorosse che mai. Hanno completato un percorso straordinario che ha ridato lustro a un campionato deludente (tutta colpa di un pessimo girone d'andata) e che fa ben sperare per il domani. Un domani che sarà diverso nelle interpreti, a partire dalla panchina: la società ha riconosciuto a Betty Bavagnoli il grande lavoro svolto e si affida a lei per dirigere il settore femminile romanista. Ora la Roma scriverà il suo futuro, dopo aver fatto la storia.

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