Bavagnoli: "In Italia le calciatrici non sono ancora riconosciute come professioniste al 100%"
Il coach della Roma Femminile: "I bambini fin da piccoli sono abituati a calciare un pallone mentre in Italia per troppo tempo si è pensato che questo sport non fosse fatto per le bambine"
Elisabetta Bavagnoli, coach della Roma Femminile, ha rilasciato una lunga intervista al portale The Equalizer. Ecco le sue parole.
Quali furono le ragioni per cui l'Italia aveva un grande campionato tra gli anni ‘80 e ‘90?
"Sicuramente in quegli anni nel nostro campionato c'erano molte calciatrici, sia italiane che straniere, veramente forti. Quello è stato un periodo di vere lotte e conquiste; tornando indietro con i pensieri sono convinta che noi, calciatrici dell'epoca, siamo state delle vere e proprie pioniere del calcio femminile. Quando in quel periodo andavamo in giro con la Nazionale confrontandoci con le squadre più forti ci rendevamo conto che il lavoro da fare per arrivare al loro livello fosse ancora tanto, esisteva un gap soprattutto fisico tra noi e loro. Ma lavoravamo duramente per ridurre quella differenza e in parte ci siamo riuscite facendoci trascinare dal talento di alcune nostre calciatrici; purtroppo però in Italia all'epoca mancava una cosa fondamentale, la voglia di investire nel calcio femminile".
Come giudichi lo standard della Serie A negli anni ‘80 e ‘90 rispetto ad adesso?
"Oggi le squadre femminili riescono a mostrare un gioco più riconoscibile e apprezzabile perché è cambiato molto il modo di stare in campo: non si gioca più a uomo, come accadeva negli anni '80, e ci sono molte più persone rispetto a prima che studiano la tattica e partecipano alla crescita del movimento in più settori. In generale penso che oggi le partite siano più belle, anche se sicuramente negli anni '80 e '90 avevamo calciatrici più forti rispetto alle attuali, mi riferisco non solo a Carolina Morace o ad Adele Marsiletti, ma anche a fenomeni come Mia Hamm e Susanne Augustesen. Quello che noto è che nelle squadre attuali c'è molta più qualità che investe molte più giocatrici mentre al mio tempo le squadre si basavano principalmente sul talento delle singole. Ma c'è un elemento che fa tutta la differenza del mondo tra il periodo in cui sono stata calciatrice e quello attuale: le bambine che si vogliono avvicinare al calcio oggi riescono a giocare senza particolari problemi mentre al mio tempo i settori giovanili femminili non esistevano quindi c'erano meno opportunità per le ragazze che decidevano di intraprendere questa carriera".
Che ricordi hai del Mundialito? Quando lo avete vinto, vi siete sentite Campionesse del Mondo?
"Ricordo con piacere tutte e tre le edizioni del Mundialito vinte dall'Italia durante gli anni '80. In particolare, ricordo quella del 1986 perché segnai un gol alla Cina e anche perché battemmo in finale gli Stati Uniti, un risultato irripetibile…In quel periodo stavo emergendo come calciatrice, mi sentivo in forma e la Nazionale italiana era davvero competitiva".
Come ti sei sentita a partecipare nella prima Coppa del Mondo Ufficiale? C'era grande interesse?
"L'emozione di partecipare a quella prima edizione della Coppa del Mondo era tanta, non solo per me ma anche per le mie compagne. Eravamo soddisfatte, gratificate e pronte a dimostrare al mondo che le donne potevano giocare a calcio presentando uno spettacolo intrattenente. Ero tra le più esperte del gruppo e nel pieno della mia carriera; arrivammo quinte e, viste le avversarie incontrate lungo il percorso, penso sia stato un risultato molto importante; perdemmo infatti contro la Norvegia che all'epoca era tra le migliori nazionali al mondo. Tra gli addetti ai lavori italiani all'epoca c'era molto fermento ma nel paese non suscitavamo interesse; sui giornali le nostre partite venivano raccontate attraverso poche righe. Oggi per fortuna l'attenzione dei media verso la Nazionale femminile è aumentata, e questo è un bene".
Secondo te, perché il campionato ha cominciato a perdere terreno rispetto alle altre nazioni? O non sei d'accordo con questo?
"Tra la fine degli anni '90 e l'inizio del 2000 il movimento ha subito un brusco stop, noi calciatrici ce ne accorgevamo guardando quello che accadeva negli altri paesi dove invece c'è stata una grande accelerata. Mentre nel resto del mondo aumentava l'interesse verso il calcio femminile grazie al Mondiale del 1999 che ebbe un seguito pazzesco ovunque, in Italia invece proprio in quel periodo si stava esaurendo la spinta creata da una generazione d'oro di calciatrici che però era ormai al tramonto. Probabilmente non c'è stato un vero e proprio ricambio generazionale perché al crescere della forze della nazionale italiana durante gli anni '90 non è coincisa una crescita delle strutture, che avrebbe permesso alle calciatrici più giovani di lavorare sul loro talento".
Quando guardi alla Serie A di oggi, con il passaggio tra i professionisti, ti chiedi mai cosa sarebbe successo se fosse accaduto ai tuoi tempi?
"Questo è il più grande rammarico della mia generazione: non aver avuto la possibilità di usufruire di quello che c'è oggi in Italia: strutture dedicate al calcio femminile, staff tecnici preparati, media interessati a raccontare questo sport e tifosi curiosi di seguire le partite non solo dei maschi. Se questi elementi fossero stati messi a disposizione della mia generazione sicuramente l'Italia avrebbe vinto molto di più a livello internazionale e oggi ci ritroveremmo un movimento molto più competitivo".
Pensi che il calcio italiano femminile abbia le stesse caratteristiche di quello maschile, o l'approccio è molto differente?
"Il calcio è uno e l'approccio è lo stesso. Ma c'è una differenza fondamentale tra maschile e femminile: l'abitudine al gioco. I bambini fin da piccoli sono abituati a calciare un pallone mentre in Italia per troppo tempo si è pensato che questo sport non fosse fatto per le bambine; ci sono state fin troppe barriere ideologiche per le ragazze che si volevano avvicinare al calcio e solo negli ultimi anni il paese ha capito che non c'è differenza tra una calciatrice e un calciatore, tutti e due possono esprimere il loro talento liberamente".
Quanto è cresciuto, dal tuo punto di vista, l'interesse per il calcio femminile in Italia durante la tua vita?
"Penso che la crescita del calcio femminile in Italia sia fondamentale. Quello che stiamo facendo oggi non è ancora abbastanza perché in Italia le calciatrici non sono ancora riconosciute come delle professioniste al 100% e questo è ancora visto come un passaggio fondamentale se vogliamo vedere il movimento crescere ancora".
Secondo te, la nazionale ha possibilità di andare lontano nella Coppa del Mondo e vincerla? Se non quest'anno, ci sono giocatrici che potrebbero farlo nel 2023?
"Penso che l'Italia possa superare il girone perché ha le qualità per mettere in difficoltà avversarie come Australia, Brasile e Giamaica. Passare questo girone significherebbe anche acquisire una grandissima consapevolezza, a quel punto l'Italia potrebbe sognare qualunque cosa e l'aspetto mentale diventerebbe fondamentale per andare avanti. Secondo me al Mondiale del 2023 raccoglieremo i frutti delle battaglie che le calciatrici stanno portando avanti ancora oggi e questo ci permetterà di essere una nazionale ancora più forte. Nei prossimi anni vedremo aumentare il numero delle ragazze che giocheranno a calcio e quindi anche la qualità del nostro campionato si alzerà".
In un periodo in cui le opportunità per il calcio femminile erano poche, cosa ti ha spinto ad allenare? È particolare sfidare Carolina Morace, con cui hai lavorato insieme per tanti anni?
"Ho sempre avuto il desiderio di trasmettere la mia esperienza alle generazioni più giovani; ho iniziato allenando i maschi e poi ho anche lavorato con le ragazze. Quando lo scorso anno la AS Roma mi ha chiamato per sapere se fossi stata disponibile ad allenare la nuova squadra femminile ho pensato subito che fosse un'occasione da prendere al volo, era un cerchio che si chiudeva. Ho ripensato subito a me stessa negli anni '80, alle battaglie della mia generazione e a quello che sognavo di fare da grande, con questa esperienza alla Roma sono riuscita a completare il mio sogno. Sì, è stato strano ed emozionante affrontare Carolina da avversario. Non avevo mai considerato l'idea che potessimo trovarci di fronte come allenatrici di due squadre diverse".
Ci sono più obblighi nell'allenare una squadra conosciuta come la Roma?
"Sicuramente il fatto che la squadra maschile sia molto seguita ha permesso alla squadra femminile di avere fin da subito una grande visibilità mediatica, questo porta me e il mio staff ad avere un'attenzione sempre maggiore in tutto quello che facciamo. Anche perché la Roma è una società all'avanguardia e ci mette a disposizione tutto quello di cui abbiamo bisogno, dobbiamo quindi sfruttare ogni opportunità che ci viene data. Tutto questo permette alle ragazze di allenarsi ai massimi livelli, in un ambiente competitivo ma inevitabilmente aumentano le responsabilità come allenatrice".
Il tuo obiettivo è vincere trofei o far crescere giocatrici?
"La squadra è formata da tante giovani calciatrici piene di talento quindi inevitabilmente il primo step è quello della crescita del gruppo; siamo però state molto brave ad arrivare in semifinale di Coppa Italia e quindi ora è subentrato un obiettivo più grande, quello di raggiungere la finale e cercare di vincere il nostro primo trofeo; ce lo impone il percorso fatto finora. Abbiamo comunque tutte le idee molto chiare in vista della prossima stagione: vorremo qualificarci per la Champions League e confrontarci con il calcio internazionale".
Con Roma, Juventus, Milan e Fiorentina che hanno squadre professionistiche, ha senso per le ragazze entrare nel calcio e puntare a una carriera professionistica?
"Assolutamente sì, grazie all'ingresso delle società professionistiche molte ragazzine oggi possono sognare di diventare calciatrici professioniste e giocare per la loro squadra del cuore. Per la prima volta dopo tanto tempo c'è molto fermento intorno alla crescita del calcio femminile e speriamo che possa aumentare ancora di più perché le sfide all'orizzonte sono ancora molte".
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