Cronaca

Francesca Serafini: "L'incontro con Caligari è stato folgorante. La Roma? Il recupero dell'infanzia"

La sceneggiatrice di "Non essere cattivo", che stasera presenterà il film a Ostia con i protagonisti Marinelli e Borghi, racconta le sue passioni: il cinema e la Roma

PUBBLICATO DA Chiara Rocca
01 Settembre 2018 - 11:08

L'omaggio del Piccolo Cinema America a Claudio Caligari si chiude stasera al Porto Turistico di Roma con la proiezione, alle 21.15, di "Non essere cattivo". Una serata speciale in cui a presentare l'opera e a incontrare il pubblico dell'arena gratuita ci saranno gli attori del film Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Roberta Mattei e Valentino Campitelli, gli sceneggiatori Giordano Meacci e Francesca Serafini, il direttore della fotografia Maurizio Calvesi. Attesi, a sorpresa, anche altri membri del cast e della troupe. Abbiamo intervistato la sceneggiatrice Francesca Serafini, romana e romanista doc, nonchè grande professionista, appassionata di cinema e di storie, quelle vere.

Francesca, stasera i ragazzi del Piccolo Cinema America porteranno in scena a Ostia una delle tue sceneggiature, "Non essere Cattivo". Quanta emozione c'è nell'aria?
«"Non essere cattivo", per tutti noi che ci abbiamo lavorato, rappresenta una grande storia d'amore e ogni volta che viene proiettato e si rinnova la condivisione con il pubblico l'emozione è sempre grandissima perché sentiamo quell'amore moltiplicarsi nel ricordo di Claudio Caligari».

Borghi e Marinelli in una scena di "Non essere cattivo"

Cosa vuol dire per te parlare di un film così importante nel luogo in cui è ambientato?
«Il contesto di Ostia inevitabilmente aumenta la commozione perché ci ricorda i giorni delle riprese. La concentrazione sempre febbrile e appassionata di Claudio dietro al monitor. Per il resto, l'aspirazione del film è quella di rendere Ostia metafora di qualunque altra periferia del mondo, per questo è stato ugualmente emozionante parlarne a Belgrado, a Madrid o a Stoccolma e sentirlo compreso in questo senso a qualunque latitudine».

E come mai avete scelto di fare questo evento proprio nell'ambito dell'esperienza dei ragazzi del Cinema America?
«Perché riuscire a portare a compimento un film è complicatissimo e quello sforzo si riesce a fare solo nella prospettiva di metterlo a disposizione di chi ama il cinema visceralmente. Come fanno da anni i ragazzi del cinema America. È per persone come loro che Claudio è riuscito a concludere "Non essere cattivo" anche in condizioni di salute disperate».

Inevitabile il ricordo del grande Claudio Caligari. Come vi siete conosciuti?
«Con Giordano Meacci, l'altro sceneggiatore del film, ricordiamo il primo incontro con Claudio come uno dei più folgoranti della nostra vita. Un intero pomeriggio a parlare di cinema e neanche una parola su "Non essere cattivo", tant'è che a un certo punto ci guardiamo pensando di non averla spuntata. Poi, poco prima di salutarci, Claudio fissa le date di consegna di scaletta e prima stesura. Di fatto non ci ha mai detto "sarete voi a scrivere con me la sceneggiatura", ma poi ce lo ha lasciato fare, in giornate di confronto sempre emozionanti e piene di risate. Abbiamo riso tanto con Claudio e un po' di quel divertimento credo sia finito anche nel film, nonostante il suo profilo tragico».

Valerio Mastandrea e Claudio Caligari durante le riprese del film

"Non essere cattivo" è un capolavoro di attualità, una storia triste e veritiera. Raccontaci com'è stato lavorare su questa trama.
«Con Giordano siamo partiti da un soggetto di Claudio in cui, nonostante la brevità, c'era già tutto il cuore del film, e lo straordinario rapporto di amicizia tra Cesare e Vittorio. Noi abbiamo lavorato assecondando la natura di questi personaggi, costruendo delle situazioni che potessero valorizzarla. Prestando una cura particolare al dialogo. Perché poi la credibilità di una storia passa da lì. Dalla verosimiglianza delle battute nel contesto: a quel punto gli puoi far dire tutto quello che ti preme».

Quanto di uno sceneggiatore c'è nelle sue creazioni, nei personaggi e nella storia che mette in piedi? 
«Si potrebbe dire niente e però tutto. Nel senso che da un lato bisogna dimenticarsi di sé per non soffocare il personaggio con cose che non lo riguardano. E però nello stesso tempo per rendere vere le emozioni che prova, mentre scrivi vai a pescare le emozioni che hai provato tu, quando magari ti innamoravi o ti disperavi per la perdita di una persona cara. Il lavoro sulla forma permette di trasformare delle emozioni vere in emozioni verosimili e dunque a quel punto accettabili dal pubblico proprio come fossero vere».

Hai più passione per il cinema o per le storie che questo racconta? 
«La passione per il cinema per me da sempre ha a che fare anche e soprattutto con le storie che racconta e quindi sono innamorata del pacchetto intero. Quando si tratta naturalmente di grande cinema. Poi le storie possono anche essere piccole: ciò che mi interessa è il lavoro sulla forma con cui vengono raccontate che le può rendere immortali».

A proposito di cinema, è iniziato il Festival del Cinema di Venezia. Hai qualche preferenza tra i film in concorso? 
«Il programma mi sembra ricco e stimolante, l'unico rammarico è non poter essere lì per potermi fare un'idea da subito delle opere più riuscite. Attenderò con pazienza l'uscita in sala dei film».

C'è una storia cruda quanto e forse più di "Non essere cattivo", il film che racconta la storia di Stefano Cucchi, tra l'altro interpretato da Borghi...
«Sì, quello è uno dei film che sono più curiosa di vedere. Non solo perché Borghi (così come Marinelli, e Silvia D'Amico e Roberta Mattei) sono per me pezzi di cuore, dopo l'esperienza di "Non essere cattivo", ma perché Stefano Cucchi l'ho conosciuto e per molti anni abbiamo abitato nella stessa via. Sono molto curiosa di vedere in che modo sono riusciti a raccontare la sua storia».

L'arena gratuita del Piccolo Cinema America a Ostia

Ma oltre al cinema hai anche un'altra grande passione, la Roma.
«Per me la Roma rappresenta "il recupero settimanale dell'infanzia" di cui parla Javier Marías a proposito del suo Real Madrid, visto che fin da bambina andavo allo stadio con mio padre e mio fratello. È stato un modo per mio padre per farci conoscere il suo, che aveva perso quando aveva otto anni e di cui ricordava soltanto la passione per i colori giallorossi. In questo senso sono una tifosa molto sentimentale e per questo destinata, ahimè, a continue sofferenze».

Alisson, Nainggolan e Strootman via; Pastore, Kluivert, Olsen, Cristante e molti altri arrivano. Qual è l'opinione di Francesca su questa campagna acquisti della Roma?
«Odio il mercato. Odio perfino il termine "mercato". L'idea che si possa applicare a degli esseri umani il concetto di compera e di vendita. E questo anche perché mi affeziono ai nostri ragazzi e ogni partenza prevede un periodo doloroso per metabolizzare il distacco. Poi, per fortuna, sono rapidissima ad affezionarmi ai nuovi. Spero succederà presto anche quest'anno. Alcuni innesti mi sembrano interessanti, ma bisogna vedere se saremo in grado a livello di personalità di sostituire del tutto le due grandi perdite che abbiamo avuto a centrocampo. Quella di Strootman mi ha fatto soffrire di più, perché il mercato era ormai chiuso e avevo abbassato le difese».

Hai scritto "Di calcio non si parla", un libro che è un'analisi e un saggio allo stesso tempo. Quali sono i punti deboli del calcio moderno? E quali invece quelli che lo rendono ancora uno sport tanto amato?
«Non mi piace del calcio moderno questo strapotere del denaro. Il fatto che se qualcuno con i soldi si mette in testa di prendere un giocatore non c'è nessuno che lo possa fermare. Tutto ciò insomma che è fuori dal campo. Per il resto è sempre il campo a fregarmi: quella sua imprevedibilità. L'idea ogni volta di trovarmi di fronte a una narrazione di cui non posso prevedere il finale. C'è una cosa del calcio, poi, che mi piacerebbe potesse diventare d'esempio anche in altri ambiti della società. Il fatto che nel calcio gli stranieri non facciano paura ma siano considerati una risorsa che può far crescere la squadra. Dovremmo cominciare a guardare con quegli occhi anche quelli che arrivano in Italia per chiedere aiuto».

Stasera, a Ostia, cosa deve portare il pubblico con sé per vivere una serata indimenticabile?
«Una disponibilità a lasciarsi travolgere da tutto l'amore che c'è nel film. Sulle prime si sentirà magari preso a pugni, ma col tempo quelle emozioni si strasformeranno in una carezza che non li abbandonerà più».

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