Stop agli sponsor di scommesse: ecco le ragioni del sì e le ragioni del no
Il Governo vuole bloccare le sponsorizzazioni legate al gioco d’azzardo e si prevedono perdite per centinaia di milioni di euro. Tutte le variabili in gioco
«Oste, com'è il vino?». La proposta di un bando totale, operativo dal 2019, alla pubblicità di giochi e scommesse come forma di contrasto al gioco d'azzardo patologico ha riportato in auge questa frase, riferita soprattutto ai giornali che hanno utilizzato, a corredo degli articoli nei quali davano conto della proposta del governo, dati forniti da agenzie stampa dai nomi inequivocabili.
L'agenzia Agimeg viene citata per uno studio sulle entrate economiche assicurate della pubblicità dei giochi nella Premier League inglese, dimenticando che Agimeg è Agenzia Giornalistica sul Mercato del Gioco. Molto più solide sembrano le argomentazioni che vogliono il provvedimento in rampa di lancio dal Movimento Cinque Stelle bloccato dallo stop del Ministero dell'Economia a causa delle mancate coperture economiche. Un motivo ancora più convincente per ritenere che un provvedimento del genere possa non vedere la luce lo spiega un report pubblicato il 3 maggio scorso dall'Ufficio Parlamentare di Bilancio, un organismo indipendente che ha il compito di svolgere analisi e verifiche sulle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica del Governo.
Secondo questo dossier, l'industria del gioco è tra le prime in Italia. Complessivamente le imprese del settore sono circa 6.600 con ben oltre 100.000 occupati, di cui il 20 per cento della filiera diretta e l'80 per cento della filiera indiretta (punti vendita, tabaccherie, bar, autogrill, edicole). In questo scenario, il dossier evidenzia un elemento fondamentale: il settore dei giochi assicura all'Erario circa 10 miliardi di euro l'anno. Considerata la sua rilevanza economica, il settore – prosegue lo studio - costituisce una fonte importante e stabile di gettito per l'Italia, garantita da una domanda elevata anche nei momenti di crisi. Dal 2006 al 2016 il prelievo tributario sul settore (al netto delle vincite) è passato da circa 7 a oltre 10 miliardi, corrispondente allo 0,6 per cento del PIL e oltre il 2 per cento delle entrate tributarie complessive.
Sembrerebbe un motivo valido per non toccare il giocattolo. Ma esiste il rovescio della medaglia, evidenziato dalla Consulta Anti-Usura della Cei che, in uno studio del 2013, ha calcolato che con l'espandersi dell'azzardo si sono persi 115.000 posti di lavoro (90.000 nel commercio e 25.000 nell'indotto industriale), dirottando 20 miliardi di euro dall'economia reale e bruciando 70 milioni di ore di lavoro. Secondo questo dossier, ogni volta che si tenta la sorte si dà un euro in meno al commercio e all'indotto industriale, a cui aggiungere un mancato incasso in Iva sui consumi che si aggira intorno ai 3,5-4 miliardi. C'è poi un altro aspetto, riferito alle numerose inchieste che dimostrano come il gioco illegale rappresenti uno dei motivi più utilizzati dalle mafie per "pulire" i proventi delle attività illecite. Ieri Giulia Sarti (M5S), presidente della commissione Giustizia della Camera, citando numeri della Direzione nazionale antimafia, ha ricordato che a livello globale le mafie fatturano con l'azzardo 470 miliardi di euro. Il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho ha sottolineato di recente come anche in Italia, assieme al traffico di droga, sia diventato l'affare più lucroso col quale rimpinguare le casse delle cosche.
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