Cronaca

La testimonianza: la vecchia pratica della cena di lavoro che diventa altro

«Il ristorante scelto per il colloquio sulla sfilata come luogo d’incontro di escort e imprenditori»

PUBBLICATO DA Velentina Mira
04 Gennaio 2018 - 15:56

Una ragazza alta, magra, che sembra una dea nera si avvicina a tre uomini molto più grandi di lei. Questi la accolgono con grandi sorrisi: «Ah, eccola qua! Hanno liberato tutti i barconi!». Il riferimento simil-goliardico al problema umanitario del secolo è il colpo di grazia. Lei però sorride, e sparisce all'interno di un locale con loro. La prostituzione non è una realtà nascosta, a via Veneto: Silvia, ventitré anni, reggicalze e cappotto col bordo di pelliccia, ondeggia sui tacchi davanti agli alberghi più lussuosi cercando di agganciarne i clienti. «Sono venuta qui dall'Albania. Vengo da una famiglia molto povera, e quando una mia amica è venuta a trovarmi dall'Italia mi ha raccontato che faceva la escort qui e guadagnava tantissimo. Io non li ho mai visti tutti quei soldi. Così l'ho raggiunta. Ai miei ho detto che faccio la cameriera, e che ho trovato un ragazzo molto ricco che mi vuole bene». Quanto guadagna una escort? «Dipende. Anche 500 euro per venti minuti. A volte invece ti danno 50 euro. Comunque - si fa cupa per un attimo - è un lavoro di merda». Poco più in là, sempre a via Veneto, due ragazze vengono rimproverate da un uomo. Se si prova a denunciare la situazione alla polizia, la cui macchina è ferma davanti all'ambasciata americana, la scena è imbarazzante. Uno dei due agenti imbastisce un discorso per cui: «Se non vediamo che fanno qualcosa non possiamo far niente». L'altro liquida la questione con: «Sì, grazie dell'informazione». Eppure bisogna essere particolarmente miopi per non scorgere reati legati alla prostituzione. E non solo ai danni di immigrate senza mezzi economici e culturali per difendersi.

Cristina (nome di fantasia) racconta: «All'epoca frequentavo l'università e vivevo da sola grazie a un part-time. Parliamo di due, tre anni fa. Vidi un annuncio su un gruppo Facebook: cercavano ragazze per una sfilata. Era una cosa piccola, sembrava adatta sia per aiutarmi ad arrivare a fine mese, sia per provare a diventare più sicura di me fisicamente. Questo pensavo. Lo stilista era anche proprietario di una boutique a Prati. Il provino era proprio lì, al negozio. Ad accogliere me e un'altra ragazza c'erano lo stilista e un tizio, tale Tom, sull'ottantina. Ci fece provare dei vestiti di taglie diverse, camminare sui tacchi. Niente di strano. Disse però che per i dettagli della sfilata conveniva parlarne a cena. Tom avrebbe potuto essere nostro nonno ed era bravo a ispirare fiducia. Ci portò effettivamente in un ristorante tranquillo lì in zona e passammo una serata a farci intontire di chiacchiere. Uscimmo convinte che avremmo sfilato a questa serata al Piper, che non ci fu mai. In compenso, c'incastrò per un'altra cena. Per parlare dei dettagli, disse. Il ristorante era vicino a via Veneto, a via Aurora. Hanno iniziato ad arrivare degli uomini anche giovani, si presentavano come imprenditori. Non capivamo che c'entrassero con noi. Che lavoro potessero darci. Imbarazzate, siamo rimaste. Poi sono arrivate le altre ragazze: delle escort! Noi siamo rimaste, anche perché eravamo senza macchina, così abbiamo parlato con le escort e con gli imprenditori. In fondo era solo una "stanza di vita", quel ristorante, per noi. Per loro, no. Le ragazze venivano da tutti i Paesi. A un certo punto durante la cena sono andati in bagno in gruppo, un tipo e un paio di loro. In quel momento io e l'altra ci siamo sentite sporche anche solo per essere lì. Abbiamo salutato e abbiamo pagato a metà un taxi. Questa cosa per me è così imbarazzante che non ne parlo mai, come se avessi qualche colpa in quello che mi è successo. Come se me la fossi cercata. E invece ero solo ingenua». Chissà che la ragazza non si senta meglio ora che, a suo modo, ha denunciato quella che era di fatto induzione alla prostituzione.

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