Scalfari, il giornale
Addio allo scrittore e giornalista che nel 1976 ha fondato il quotidiano “la Repubblica”, che ha cambiato il mercato dell’informazione in Italia
Nel 1976 Eugenio Scalfari fondò Repubblica e sparecchiò il mercato dei giornali in Italia. Per ragioni familiari chi scrive ha osservato da vicino per una trentina d’anni le vicende di quel giornale e del suo “monarca assoluto” (è così, per i non addetti ai lavoratori, che viene chiamato un direttore di testata, nel gergo). Non sta a me raccontare il giornalista, lo scrittore, l’intellettuale che è stato, né il ruolo politico e sociale, che l’inventore, più che innovatore, Scalfari ha giocato nel nostro Paese. Ma il ricordo personale di una figura - mi si passi il termine - mitologica, che, sì soggiornava per lo più nell’Olimpo del suo ufficio e nei massimi sistemi, ma non era inconsueto scendere sulla Terra degli stanzoni della redazione di piazza Indipendenza, a Roma, a nutrirsi e ispirarsi dove “vivevano” i giornalisti di Repubblica.
In quella redazione negli Anni 80 oltre a respirare diversi fumi, fossero di pipa, sigaretta o sigaro, quello che si inalava era soprattutto un mestiere. Che in quegli anni ha conosciuto una fase di picco che a ripensarci oggi ne sembrano passati due di secoli e che, proprio grazie anche a Scalfari, ha stregato generazioni di giovani giornalisti che volevano semplicemente imparare quel mestiere. E anche, per fortuna, qualcuno che doveva ancora nascere.
Ironico e signorile, duro e autorevole. Un padre patriarca più che padrone, ma anche riconoscente. Convincente. Con il carisma dei grandi ha plasmato Repubblica e chi ci lavorava dentro, non tanto a sua immagine e somiglianza, quanto all’esatta misura di quegli anni: l’uomo giusto, con l’idea giusta, con la squadra giusta, al momento giusto. Ha consolidato quel momento, è entrato nella storia. Ha guidato, con la sua voce sottile e gentile e la sua penna a forma di bacchetta magica, quei ragazzi, divenuti poi padri e nonni. Ci si è incazzato, li ha sposati, li ha lasciati e ripresi, li ha pensionati. E qualche volta, dall’alto della sua lucidità durata quasi un secolo, li ha visti salutare per sempre, prima di lui. I figli di Repubblica.
Resterà un modello. Per ogni aspirante giornalista e ogni direttore appena nominato. Con la sua scomparsa si chiude uno dei tanti cerchi della vita di questo mestiere, che, come racconta e racconterà il coro di chi lo sta ricordando in queste ore, lui ha impersonificato. Ma quel che più sembra evidente ai cassetti della memoria di un giornalista che ha l’età di Repubblica, tra una vecchia foto, un menabò ingiallito, una lettera al direttore e il necrologio di un amico, è che Scalfari più semplicemente è stato il Giornale, con la g maiuscola.
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