Dal gelo alla svolta: così è nato il secondo "no" di Dzeko a Conte
Sempre più Roma. La settimana che ha riportato il bosniaco nella Capitale. La partita con il Real Madrid e Ferragosto gli spartiacque
Felice. «Sono felice». Questo ha detto Edin Dzeko alle persone più vicine a lui dopo aver firmato il prolungamento con la Roma fino al 2022. È scoppiata la pace, ma non c'è mai stata alcuna guerra. Perché Dzeko e la Roma sono sempre stati d'accordo, perché è così che va quando al tavolo ci si parla da gentiluomini. Anche quando le strade sembravano dovessero separarsi per sempre. Anche quando Edin, al quale fino a maggio scorso (e cioè quando aveva già ricevuto da un po' la chiamata allettante dell'Inter) la società non aveva ancora parlato del futuro, aveva deciso di andar via. Quando la Roma si mosse, prima della fine del campionato, per sondare la possibilità di un rinnovo. Perché chiunque quando ha davanti un giocatore così ci pensa due o tre volte prima di perderlo. Perché Dzeko piaceva a Monchi, a Massara, a Petrachi quando ancora era al Toro e in procinto di arrivare a Roma. A Di Francesco, a Ranieri, a Conte, o a Fonseca (fu il primo giocatore di cui Paulo chiese conto nei colloqui prima di diventare l'allenatore della Roma). No news good news, si potrà dire. Vale quasi sempre, ma un po' meno nel calcio. Specie quando un giocatore importante va in scadenza dopo poco più di un anno e nessuno si fa vivo per rinnovare. Che la Roma per qualche mese sia stata una nave in tempesta è cosa abbastanza nota. Quel sondaggio finì con un «riparliamone», che diventò (c'era ancora Totti nella Roma) un «voglio andare via» poco dopo, quando cioè Dzeko aveva accettato la proposta dell'Inter (per tre anni avrebbe guadagnato più o meno quello che percepiva con la Roma, ma soprattutto avrebbe disputato la Champions League con un club che - almeno a parole - vuole provare a vincere subito). Già, vincere. A 33 anni il progetto conta. Come conta sentirsi importante. Sì, anche per Conte. Ma meglio ancora se a casa propria.
Casa dolce casa
«Roma è casa mia», anzi «nostra», come ha ribadito sua moglie Amra sui social, i suoi sempre e solo colorati di giallorosso, di figli romani, nati e cresciuti nella Capitale e griffati As Roma, e di romanità (da prim'ancora che Dzeko venisse ufficialmente annunciato come giocatore della Roma nell'estate del 2015). Vincere, d'accordo, sarà forse pure meno facile alla Roma che all'Inter, ma se una speranza c'è nella Capitale è a partire da giocatori e professionisti come Edin Dzeko, che il sentore che a Trigoria stessero cambiando un po' di fattori e che stesse iniziando a regnare una nuova tranquillità ce l'ha avuto con il passare delle settimane. Nelle ultime soprattutto, quando i sorrisi sono tornati e per sua stessa ammissione il bosniaco ha capito quanto fosse desiderato e amato. Da tutti. Da Fonseca, che l'ha conquistato per i suoi metodi di lavoro e per la centralità che ha nel suo gioco. Dai compagni, che sui social e nella vita reale lo hanno coccolato quasi come tifosi. Dai tifosi, quasi tutti, pure quelli che lo avevano fischiato, perché quei fischi (anche quelli dell'ultima gara della scorsa stagione, Roma-Parma, ai quali rispose inorgoglito e stizzito con un applauso) nascevano per uno dei peccati più grandi che per un tifoso si possa commettere: pensare di andare in un'altra squadra. Per la tentazione di tradire. Che però, alla fine, non ha prevalso. Dagli ex compagni, a partire da Totti per arrivare a Nainggolan, agli ex romanisti che neanche l'hanno incrociato, come Juan, fino agli ex City (De Jong e Hart) e ai vip (attori e cantanti). Perché Edin romanista piace davvero a tutti. Con buona pace degli interisti e del web nerazzurro, imbufaliti per la mossa della Roma che ha spiazzato tutti. Pure quelli che erano strasicuri che Dzeko sarebbe stato un giocatore dell'Inter. E giù sfottò.
Chiarimento e perdono
Se qualcosa è cambiato, o è cambiato nuovamente tanto da reindirizzare la rotta, nella testa di Edin è accaduto una settimana fa. Roma-Real Madrid ha segnato un guado. Dopo la partita Edin ha chiesto di incontrare Petrachi e i dirigenti. C'era qualcosa da chiarire, che è stato chiarito. Le parole dell'ex ds granata nel giorno della sua presentazione non erano piaciute a Dzeko. Petrachi sapeva che Edin aveva raggiunto un accordo di massima con l'Inter e decise di difendere con fermezza la sua nuova squadra. Ma che venisse messa pubblicamente in discussione la sua professionalità (ampiamente ribadita dal primo giorno di ritiro fino all'ultimo secondo dell'ultima amichevole) perché nell'ambito di una rivoluzione copernicana aveva deciso di cambiare aria (come se nel calcio i giocatori fossero esenti da questa pratica) l'aveva mandato su tutte le furie. Nel frattempo, da un lato montavano l'impazienza per lo stallo del mercato, la attesa non propriamente esaltante degli umori di Icardi e le promesse non mantenute fino in fondo dall'Inter che non chiudeva il suo acquisto alle cifre della Roma (20 milioni, sempre e solo quelli, anche se il passare del tempo faceva accrescere il suo valore) e intanto comprava Lukaku, dall'altro Dzeko sapeva che non avrebbe potuto far rimanere spiazzata la Roma senza un sostituto adeguato. Ecco perché Ferragosto ha rappresentato la deadline per Dzeko per dire ancora una volta, la seconda in un anno e sette mesi, di no ad Antonio Conte, e per la Roma, che ha deciso di forzare: o la va o la spacca.
Contratto e quattr'otto
La ricostruzione è arrivata anche grazie alle parole di Silvano Martina, agente italiano del bosniaco: «Roma ce l'ha nel cuore - ha detto a Tele Radio Stereo - sia lui sia la famiglia. L'opportunità dell'Inter è stata una cosa concretissima, ma c'era da aspettare ancora, e un giocatore con la storia di Edin non può aspettare le scelte di qualcuno, per esempio un Icardi della situazione. Ci siamo detti: "Qui sei amato". È stato contestato, è vero, sono fasi che vivono i calciatori, ma è molto considerato dalla società. Negli ultimi quattro giorni abbiamo iniziato a intavolare il rinnovo con la Roma e alle 21 di venerdì lo abbiamo finito». Eppure, ha svelato ieri l'ex portiere (nato a Sarajevo, per altro, come Dzeko), «quattro giorni fa scrivo al mattino a Petrachi: "Potrei avere qualcosina di interessante per te". Non mi risponde e la sera mando un secondo messaggio: "Allora non sei curioso?" e Petrachi mi risponde: "Posso essere curioso solo se mi dici che c'è un'apertura per Dzeko". Io rispondo: "Sì, potrebbe esserci un'apertura". E poi abbiamo fatto il rinnovo. Quando ho mandato quel messaggio a Petrachi è stato il più felice del mondo. La Roma lo voleva, però aveva capito perfettamente il desiderio di Edin: quando stai tanti anni in una squadra, hai anche voglia di un'altra esperienza e di fare la Champions. Poi è passato un mese e mezzo e ha iniziato a valutare questa ipotesi che poi si è concretizzata con entusiasmo totale». Con la convinzione di poter competere ad alti livelli: «C'è tutto per vincere un trofeo», ha detto Edin dopo la firma. Ma l'ha pensato prima, quando a quattr'occhi e fuori da ogni equivoco si è seduto intorno al tavolo con la Roma per definire nel dettaglio le sue prossime tre stagioni: da 6 milioni netti all'anno bonus inclusi, in pratica quello che già percepiva nella Capitale e che gli avrebbe garantito all'incirca Marotta (né poteva essere al ribasso). Un investimento importante per il club che chiude una settimana, quella che si conclude oggi, di rinnovi importanti. Con la ciliegina sulla torta di quello del bosniaco, che restituisce al tempo stesso entusiasmo alla piazza e un segnale forte al mercato, scombinando a sorpresa i piani di molti. «Non ci faremo strozzare da nessuno», disse Petrachi. Brutti, sporchi e cattivi, c'è una stagione da cominciare con la giusta ambizione. Il Paradiso può attendere, la Roma no. È così che è nato il nuovo giardino. Quello dell'Edin.
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