C'è Roma-Lazio, il derby: basta la parola?
L’ultimo atto casalingo di una stagione comunque compromessa è la sfida con i biancocelesti. Vincendo si salverebbe l’Europa, e un pezzo d’onore
Derby. Dovrebbe bastare la parola. Anzi, in teoria non servirebbe neanche quella. Dovrebbe bastare semplicemente il fatto di indossare la maglia della Roma e scendere in campo o anche solo indossare una qualsiasi maglia, solo per uscire da temi che per qualcuno possono suonare retorici, ma che poi in realtà retorici non sono. Perché non capire l'unicità di Roma, dei suoi colori e di quello che rappresentano non significa rifuggire la retorica. C'è stato un tempo in cui intorno a quei colori si è costruita un'epica di sostanza e comunanza che prescindeva dai risultati e che è stata tramandata da bisnonni, nonni, madri e padri. C'è stata l'epoca in cui epica e risultati hanno persino coinciso, nell'età dell'oro degli Anni 80 e del 2000, ma anche nelle stagioni peggiori si poteva fa riferimento al comune richiamo, alla storia eterna, alla comunità. Quest'anno invece sta finendo così. Svilito. Ecco perché adesso ci si appella alla parola.
Stasera al derby, per l'esattezza il numero 156 (calcio d'inizio ore 20.45), lo stadio Olimpico avrà un cuore non pulsante nelle decine di migliaia di seggiolini ricoperti di rosso grazie alla bella iniziativa di Roma Cares che in pochi giorni ha unito, ancora in nome di quella comunanza, quasi 50.000 persone. Il cuore pulserà da casa e, per osmosi, negli 11 che hanno il privilegio di viverlo dal campo. Stasera però non si scherza. Stasera non si potrà rientrare da una corsa passeggiando, non si potrà affrontare un tiro saltando e girandosi, non si potrà cercare la gloria personale evitando di passare la palla a un compagno meglio piazzato, concetti che i professionisti dovrebbero riconoscere a prescindere dal richiamo di un allenatore o dal colore della maglia che si indossa. Eppure ultimamente la Roma non è più così. La classifica sta lì a dimostrarlo. Aver perso sei delle ultime 10 partite resta un'offesa al buon senso e ai valori stessi dello sport. Scuse, solo scuse, sempre scuse, e poi vane promesse. Il campionario delle frasi che vengono lasciate in eredità dopo ogni partita è avvilente. Smontate clamorosamente dagli atteggiamenti di sufficienza che si vedono in campo in ogni partita, a determinare ogni sconfitta. Così all'improvviso, come nel pessimo ultimo anno di Di Francesco, la Roma è tornata ad avere un bilancio finale nel campionato di serie A con più partite non vinte rispetto a quelle vinte. Significa che nella maggioranza delle gare di campionato alle quali i romanisti hanno assistito, ne sono usciti gravemente delusi, o parzialmente delusi. Peraltro stavolta mai con la gioia piena di aver battuto una squadra di primo livello. Ne è rimasta una, stasera.
Sarà in assoluto il derby numero 192 (71 vittorie e 54 sconfitte per la Roma), tra campionato e coppa sarà il numero 176 (65 a 47), solo in campionato il numero 156 (55 vittorie e 40 sconfitte), numeri di loro sufficienti a testimoniare chi è il parente nobile e chi no, ma brucia l'idea che non si potrà migliorare la più bella delle statistiche, quella che dice che su 78 campionati, 50 volte la Roma è arrivata davanti. E brucia ancor di più la considerazione che la grande corsa della Lazio quest'anno sia cominciata proprio nel derby d'andata, scriteriatamente giocato dalla Roma, alla vigilia del quale erano sei i punti di vantaggio per i giallorossi, e oggi invece sono nove in più per loro, senza contare il recupero con il Torino che a forza di rinvii si giocherà solo martedì (e se il Toro vincerà oggi a La Spezia c'è pure la possibilità che sia già salvo, e in più avrà comunque il match-ball all'ultima giornata in casa con il Benevento). La Roma deve invece difendersi dall'assalto del Sassuolo che oggi avrà presumibilmente vita facile sul campo del già retrocesso Parma. Vincere significherebbe aver quasi chiuso la pratica almeno per conservare l'Europa (Conference League) e un pezzo, piccolo, d'onore.
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