Leadership e faccia tosta: Mancini perno della difesa della Roma
Il centrale ha giocato l’ultima gara da Capitano, ma anche senza gradi ha sempre il piglio da condottiero. E quando è disponibile, a lui Fonseca non rinuncia mai
A Firenze si staranno mangiando le mani. Perfino a Bergamo, dove pure stanno vivendo anni dorati, qualche rimpianto sull'ex affiora. Da queste parti invece, le mani si spellano al solo pensiero di avere un difensore come Gianluca Mancini. Forte, carismatico, grintoso, sempre concentrato, duttile tatticamente, affidabile anche se ancora giovane (25 anni da compiere sabato), capace di trovare il gol con frequenza inusuale per un centrale: tutte doti che lo hanno reso un insostituibile per Fonseca. Al punto da non rinunciare mai al numero 23.
Le sole assenze dal campo nella stagione in corso sono dovute a squalifiche o all'infortunio muscolare subito a cavallo fra novembre e dicembre. La sequenza dei due stop gli ha impedito di disputare le gare del girone di Europa League, ma da quando è rientrato Mancini è stato una colonna della Roma anche in coppa. Sempre presente nelle cinque vittorie consecutive centrate nella fase a eliminazione diretta, risparmiato solo nel secondo tempo di Kiev con lo Shakhtar, a qualificazione vicinissima dopo il 3-0 dell'andata conseguito anche grazie a un suo gol. Una delle cinque reti stagionali realizzate da Gianluca, tutte di testa, figlie di poderosi stacchi e invidiabile tempismo sugli sviluppi dei tiri da fermo. E tutte decisive: oltre a quella nel torneo continentale, con Cagliari, Inter, Verona e Genoa ha sbloccato o fissato il risultato, sempre positivo (4 successi e un pareggio).
Il suo mestiere resta però quello di difendere e Mancini lo fa in qualsiasi posizione, che sia uno dei due "braccini" laterali o il centrale della linea a tre. Perfino da mediano davanti alla difesa, come ha dimostrato l'anno scorso con prestazioni sorprendenti soltanto per chi non ne conosceva doti e storia personale. In mezzo al campo ci ha giocato da ragazzino, fino agli Allievi in maglia viola. E quando era ancora più piccolo, nel Valdarno, squadra di casa, lo descrivono serissimo e concentrato come avesse già individuato la carriera che gli si sarebbe aperta, a suon di sacrifici. Tutti premiati: domenica scorsa ha toccato quota cento presenze in Serie A, un bel traguardo celebrato con un premio ancora più ambito: la fascia al braccio. «Se penso a chi l'ha indossata...», ha confessato a fine partita per descrivere un'emozione poco spiegabile con le parole. Ne dice tante in campo («sono un po' rompiscatole» l'ammissione), urlando ai compagni e a volte anche agli arbitri, che gli sventolano cartellini un po' troppo spesso, forse l'aspetto da limare maggiormente. Ma il pacchetto fa tutto parte della sua voglia di non arrendersi mai, di restare sempre "sul pezzo". Riconosciuta dai compagni e premiata da Fonseca con la prima designazione da Capitano (lo era già stato a gara in corso). «È un esempio per la squadra»: le parole del tecnico sono la perfetta sintesi degli atteggiamenti di Mancini. Quelli di un giocatore che da importante è diventato perno.
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