Carlo Liedholm: "Milan-Roma sarà sempre la partita di papà"
Intervista al figlio del Barone: "Aveva il cuore diviso, ma amava i romanisti più di tutto. Che gioia lo scudetto dell’83"
Giallo, rosso e nero. Sono i colori di Roma e Milan che si sfideranno questa sera a San Siro. Ma sono anche i colori della vita e della carriera di Nils Liedholm, l'indimenticato Barone che a Milano si è affermato, da calciatore prima e da allenatore poi, vincendo lo scudetto della stella. Ma che proprio a Roma si è consacrato con la vittoria del campionato 1983, sublimando a mito fino a quella dannata finale di Coppa dei Campioni persa allo stadio Olimpico contro il Liverpool (sempre loro). Un viaggio nella carriera e nella vita di quello che forse è stato l'allenatore più amato della storia giallorossa insieme ad un accompagnatore d'eccezione, il figlio Carlo.
Detto tra noi, suo padre era più milanista o romanista?
«La prima parte della carriera è di marca milanista, era molto legato ai suoi anni da calciatore. Poi dopo diventa più romanista. Non so dirle a chi fosse più legato e forse farei torto a qualcuno se dicessi che teneva più al Milan o più alla Roma. Quello che è certo è che lui adorava i tifosi della Roma sopra ogni cosa».
Lei lo ha accompagnato in questa staffetta tra Milano e Roma?
«Io l'ho sempre seguito fin da ragazzino. Onestamente mi sono trovato meglio a Roma e ho seguito anche di più la squadra, ma ho anche io il cuore un po' diviso a metà. È una partita in cui fatico a fare il tifo per una delle due».
Suo padre convinse anche Agostino Di Bartolomei a seguirlo a Milano...
«Per Ago non c'era più spazio in quella Roma però si trovava bene con mio padre. Nella squadra di Eriksson non c'era più posto per lui. Mio padre fu felice di accoglierlo ma il Milan fu solo una parentesi. Agostino rimane un patrimonio della Roma».
Con il Milan ha vinto lo scudetto della stella, con la Roma quello 82-83. A quale traguardo era più legato suo padre?
«Sicuramente allo scudetto della Roma, senza alcun dubbio. Fu una cosa straordinaria. Però teneva molto anche dello scudetto milanista perché quella era una squadra non proprio eccezionale. E lui era orgoglioso di aver portato quella formazione oltre i suoi limiti».
A suo padre e a quella Roma è mancata solo la consacrazione europea, un traguardo solo sfiorato: come ha vissuto l'uomo Nils quella finale?
«Fu una delusione enorme, considerando anche il fatto che lui poi sarebbe andato via. Fu una cosa di cui non si parlò nemmeno a casa. Ne abbiamo parlato in seguito ma era una cosa talmente grossa che la prese molto male e non ne parlammo. Una partita sfortunata, a me brucia ancora. Non mi passerà mai. Per mio padre e per la Roma sarebbe stato il coronamento di un periodo fantastico».
In campo non esternava mai troppe emozioni ma c'è stato qualche episodio che poi in privato lo ha fatto infuriare?
«Mio padre grandi regali arbitrali non ne ha mai avuti. Il gol annullato a Turone certamente è stato difficile da digerire. Ma non c'è stato solo quell'episodio, qualcosa era successo anche ai tempi del Milan quando si giocava il campionato con l'Inter di Herrera».
Lei è stato anche osservatore per suo padre e lo ha aiutato a scoprire calciatori come Falcao e Ancelotti...
«All'epoca si lavorava con le videocassette, ricordo quelle di Falcao che arrivavano dal Brasile. Lui rimase subito colpito dalle sue giocate. Ancelotti lo andammo a seguire a Parma e mio padre si innamorò subito di questo gioiello di calciatore. I primi anni di Ancelotti furono fantastici poi dopo l'infortunio cambiò il suo modo di giocare. Devo dire che nell'Ancelotti allenatore rivedo molto di mio padre. Una cosa simile è successa con Antognoni ai tempi della Fiorentina. Lui era colpito da questo tipo di giocatori che venivano da piccole squadre di provincia. Ragazzi che partivano dalla Serie C per poi arrivare in squadre di Serie A, storie come queste sono rare nel calcio di oggi».
Liedholm ai suoi tempi era considerato un all'allenatore all'avanguardia, cosa aveva di speciale il suo metodo?
«Lui era un grande maestro di calcio ma non dimenticava mai la tecnica, soprattutto quella individuale. Diceva sempre che i calciatori, come tutti gli artigiani, dovevano sapere usare bene gli strumenti che avevano. Riteneva indispensabile che tutti dovessero avere padronanza del pallone, anche attraverso un lavoro supplementare e mirato. Tassotti è un classico esempio di giocatore che è migliorato attraverso il lavoro di mio padre. È arrivato che era grezzo e poi è diventato uno dei migliori difensori di quel periodo».
Di suo padre, oltre all'eredità del campo, restano soprattutto i valori umani. Un uomo come Nils Liedholm si troverebbe a suo agio con le dinamiche del calcio moderno?
«Certi valori ci devono essere sempre. Poi allenatori scorbutici c'erano anche ai tempi di mio padre e forse era anche peggio. Ma il fair play, l'educazione e il saper mantenere il sangue freddo nei momenti difficili sono qualità senza tempo. Sempre necessarie per stare nel mondo del calcio».
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