La Roma contro il tabù degli ottavi di finale di Europa League
Arriva lo Shakhtar: nel fedelissimo stadio Olimpico di questa stagione Fonseca accoglie i vecchi amici ucraini. In palio l'ambita qualificazione
Gli ottavi di Europa League per la Roma sono un tabù: mai finora la squadra giallorossa è riuscita ad andare oltre, ci ha provato l'anno scorso prima di rimediare quella figuraccia a Duisburg col Siviglia e poi basta. Solo porte sbattute in faccia. Diversamente andò in Coppa Uefa (la finale del ‘91 con l'Inter) o per la progenitrice Coppa delle Fiere, vinta nel ‘61. E se qualcuno vede una ritualità nel numero di anni trascorsi tra una finale e l'altra, si fermi qui e non vada oltre. La scaramanzia ha le sue regole. Pensiamo prima allo Shakhtar Donetsk.
Ma che cosa si dovrebbe pensare di una squadra che in questa stagione va sull'altalena quasi senza un criterio logico? Una squadra che ha eliminato l'Inter dalla Champions pareggiando due volte 0-0, vincendo nello stesso girone due volte con il Real Madrid (3-2 a Valdebebas, 2-0 in casa) e perdendo due volte con il Borussia Moenchengladbach, subendo dieci gol senza segnarne?
Una squadra che però in campionato è staccata quattro punti dalla capolista Dinamo Kiev di Lucescu che invece nel suo girone di Champions ha preso quattro severe lezioni da Juventus e Barcellona e ha fatto punti solo col Ferencvaros? Come la applichi la proprietà transitiva con questi risultati, ammesso e non concesso che nel calcio la si possa mai applicare? Eppure una spiegazione c'è.
La squadra di Castro gioca un calcio totalmente spregiudicato, fatto di palleggio in puro stile brasiliano e di difesa altissima, in grado di imbrigliare le squadre pigre, come ad esempio è stato il Real Madrid di inizio stagione, nel doppio confronto di Champoions, e pure di trovare rapidi sviluppi con l'appoggio vellutato di piedi educatissimi, ma per gli stessi motivi può anche prendere solenni imbarcate. Inutile citare i nomi dei giocatori più pericolosi: abbiamo imparato a conoscerli in questi giorni di presentazione, ma meglio di tutti li conosce Fonseca che molti di loro li ha allenati, perpetuando quella bella tradizione di soldi ucraini in grado di attirare buoni piedi brasiliani inaugurata proprio da Lucescu e portata avanti adesso da Castro, che ha sostituito due volte Fonseca: la seconda allo Shakhtar, la prima sulla panchina del Porto nel marzo 2014 dopo avere guidato la squadra B del club.
Il più nitido ricordo dello Shakhtar per i tifosi della Roma è quello dell'anno di grazia 2017-2018, una gemma incastonata nel diadema di quella fantastica edizione della Champions League. La Roma di Di Francesco giocò a Kharkiv (stavolta invece si giocherà a Kiev, per il ritorno tra sette giorni) una partita splendida per un tempo, segnando con Ünder e sfiorando più volte il 2-0 che avrebbe risolto la questione della qualificazione in anticipo, ma poi si arrese al samba dei brasiliani di Fonseca. E solo un altro brasiliano, col risultato già ribaltato e all'ultimo minuto di gioco, salvò la Roma: Bruno Peres, respingendo di stinco più che d'istinto il gol del 3-1 che invece quella qualificazione l'avrebbe parecchio complicata, e anche chi non ha visto Sliding Doors sa quanto sarebbe costata quell'eliminazione.
Al ritorno Di Francesco studiò benissimo il difetto della disorganizzata linea difensiva di Fonseca, e con una giocata più volte studiata in allenamento Dzeko superò Pjatov (il non irreprensibile, storico portiere dello Shakhtar, oggi sostituito dal più attento Trubin) e mandò la Roma ai quarti col Barça. Ma con lo Shakhtar Totti segnò il primo gol europeo dopo il suo infortunio nel 2006, con quella sudatissima maglia color muffa, e De Rossi frustrato rifilò una brutta gomitata a Srna nel 2011, in un doppio confronto agli ottavi di Champions che finì malissimo. Stasera si parlerà portoghese, in campo: anche perché lo è anche tutta la squadra arbitrale, dall'arbitro agli assistenti al quarto uomo e agli addetti al Var. Sarà un vantaggio o uno svantaggio per Fonseca? Speriamo di non doverci tornar su.
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