Un calcio alle paure pensando alla Roma
Anche nelle esperienze più estreme un amore così grande aiuta a sentirsi parte di un sogno collettivo
Un mio amico, ieri mattina, è tornato a casa dopo sette giorni in ospedale. Quando ai Tg ascoltiamo i numeri dei ricoverati per Covid, quelli sono persone. Storie. Di gente sott'ossigeno perché questo maledetto virus ti toglie, per davvero, l'aria e come l'aria – pure – l'abbraccio dei tuoi cari che devono, per forza di cose, rimanere fuori da quei reparti staccati da tutto, lontani da tutti.
L'amore, insomma, deve necessariamente rimanere fuori. È questa una delle tante ferite di una degenza atroce che rende, chi deve viverla, affamato di respiri e di baci, assistenza ma anche di contatto: infermieri a parte, soli. Con i propri pensieri, le paure, le speranze. Ed una granitica certezza: quella di, una volta fuori, riprendersi tutto e risistemare le priorità della propria vita. Viviamo l'epoca volatile dei social, frasi come questa sono ormai diventate l'escamotage per mostrare, semplicemente, il nuovo tatuaggio, il seno appena rifatto.
Macché, lì dentro le parole tornano ad avere importanza. Come le persone. Che se nella vita di tutti i giorni i telefoni ci staccano dalla realtà, in quei momenti sono l'unico appiglio per riconsegnarcela. E allora il mio amico, Simone, – e come lui tutti gli altri nella sua condizione – quel telefono in quei giorni se l'è tenuto stretto nel pugno come l'alpinista la presa: unico appiglio alla vita, stella polare della propria resistenza. La sapete una cosa? Il viso della mamma non gli è sembrato mai così bello, le parole del fratello importanti, l'amore per Silvia così grande, le "sue" bambine indispensabili e le prese per il culo degli amici necessarie. Le boccate d'aria più grandi, insomma, gliele ha regalate lo schermo di quel cellulare.
Cosa? Sì, non preoccupatevi… lo so bene quello che state pensando: questo è un quotidiano che parla della ROMA e siamo arrivati quasi alla fine di questo articolo e, ancora, non l'avevo neanche nominata. Ma, credetemi, non vi siete sbagliati: questo è Il Romanista. Il giornale che parla, e vive in simbiosi, con una squadra che esce dalla sfera sportiva della nostra vita per invadere quella sentimentale. Ed è proprio per questo, allora, che vi ho parlato di Simone… perché pure lui – in quei giorni così travagliati e ansiogeni – s'è attaccato anche alla ROMA per uscire dalla palude in cui, senza cercarsela, si era andato a cacciare.
Vecchi servizi, i video delle più belle coreografie della Curva Sud, le partite registrate e, domenica all'ora di pranzo, la vittoria contro l'Udinese. Chi non ama, e segue, questo grande sogno collettivo non potrà mai capire cosa spinge una persona a pensare a quella maglia anche durante un'esperienza così estrema. D'altronde, parole di Marco Conidi, «Ci sono stati giorni amari che, c'avevo solamente te e poco altro per star bene» …
FORZA ROMA SIMO'!
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