Aldo alè, Aldo Maldera
Chi è romanista dice che quella partita non s'è mai giocata. Lui non l’ha giocata veramente. Forse il cielo se l’è portato via perché era già da quella notte senza stelle romanista per sempre
La Roma da poco era diventata Magica. Nils Liedholm lo volle perché guardò il suo cielo e decise che era l'uomo giusto: era della Bilancia, come lui e come Falcao. Quasi sicuramente per il Barone lo scudetto milanista della Stella arrivò per questo. Per Aldo Maldera. E per questo Aldo Maldera arrivò alla Roma. Per le stelle. Per vincere uno scudetto ancora più luminoso di quello milanese (il cielo pure sotto al quale era nato), pieno di luce se lo guardi ancora da qui, soprattutto se lo guardi oggi da qui: le stelle più lontane sono quelle che brillano di più. Pensi che non se ne andranno mai, anzi non ci pensi proprio perché ci sono cose che consideri naturali, sempiterne, sicure, come la mamma quando sei piccolo, come il Commando Ultrà quando diventi ragazzino, come le filastrocche che ti ricordi da bambino (come Tancredi-Nela-Vierchowod-Ancelotti-Falcao-Maldera-Conti-Prohaska-Pruzzo-Di Bartolomei-Iorio). Ma persino le stelle, come l'amore, come la vita, si possono spegnere. Diventano brutte, fanno male, non esistono più e ti resta un cielo vuoto, pieno di niente, con tutto da accettare e la speranza che lui sia lassù da qualche parte, da dove arrivava (nell'estate del 1982 il cielo è stato sempre chiaro).
Il primo agosto è morto Aldo Maldera, e a chi è romanista di quella generazione in cui la Roma è stato tutto, e tutto era per tutti, viene da piangere. A singhiozzo. O dentro. Che fa male. Lui proprio no, con quell'espressione di chi non potrà fregarti mai ma aiutarti non appena possibile; e la sua eleganza, la sua compostezza, la sua puntualità, la sua cortesia sentita, la sua semplicità. Ti fa più male che abbiano fatto male ad Aldo Maldera: un galantuomo, un uomo vero, un uomo mite, che non ha speso una consonante per vendersi in questo mondo di serie Z e per restare a lavorare nella Roma, ma che in silenzio ha scelto di restarle vicino. Adesso sempre. E' morto qui, nel mese in cui le stelle cadono.
Aldo Maldera era nato a Milano, col Milan aveva vinto quello che ogni milanista sognava e che ogni Brera raccontava, poi quando tutto sembrava finito ha seguito il maestro scoprendo Roma: non se n'è più andato. È rimasto pochi anni qua, ed era a fine carriera (d'altronde le stelle, così come quando nascono, per finire esplodono) è rimasto qua e non se n'è più andato. Fa un po' più male che non ci sia più lui. La gazzella di quello scudetto. Il cerbiatto sinistro. Il nostro piede sinistro. Col baffetto da sparviero o da terzino inglese vero. Football please, you're welcome Aldo.
La punizione col Pisa, l'accappatoio arancio, il gol con l'Ipswich sentito solo per radio che ha detto a tutti: Roma non aver paura dei fantasmi di Jena, Roma non aver paura di nessuno dei tuoi fantasmi, perché in questo 1982/83 siamo alle stelle e usciremo al sole. Fa un po' più male pensare a quel maggio. E a quello dopo. Agostino Di Bartolomei ha comunque scelto di andarsene, per la prima volta stavolta la Natura si porta via uno degli eroi di quand'eri bambino. Uno della filastrocca (Tancredi-Nela-Vierchowod-Ance lotti-Falcao-Maldera-Conti-Pro haska-Pruzzo-Di Bartolomei-Iorio). Manca qualcosa a ognuno di noi. Lui che ci è mancato quella notte. Nella nostra notte è stato il rimpianto. Se ci fosse stato lui…Era un rigorista. Sarebbe stata un'altra storia. Un altro futuro. Tutto quello che non è accaduto. Lui è stata la nostra assenza. Ha giocato con Rivera e Falcao, contro Maradona e Platini, ma la sua carriera è stata una partita mancata, quel cartellino di Vautrot contro il Dundee che lo squalificò per la finale provando per sempre la nostra innocenza. Chi è romanista veramente dice sempre giustamente che quella partita non si è mai giocata. Aldo Maldera quella partita non l'ha giocata veramente. Forse il cielo se l'è portato via prima perché lui era già da quella notte senza stelle romanista per sempre.
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