Florenzi e Manolas, destini incrociati ad un anno di distanza
Il greco l'estate scorsa era ad un passo dalla cessione poi è diventato un idolo della Sud. Il prodotto del vivaio romanista scende nell'indice di gradimento
Nell'immaginario applausometro che testa l'umore di questo scorcio d'estate romanista, due protagonisti sembrano essersi scambiati i ruoli. Loro malgrado, naturalmente. Si tratta di Kostas Manolas e Alessandro Florenzi, due colonne della Roma degli ultimi anni. Nell'amichevole disputata a Latina sabato scorso, c'è stato un assaggio agrodolce anche se rappresentativo di una piccola fetta di pubblico. Eppure significativo: messaggi non proprio amichevoli nei confronti del jolly di Vitinia, sia pure da parte di uno sparuto gruppo; vera e propria standing ovation per il difensore centrale, che è entrato anche nel ristretto novero di giocatori ai quali sono stati dedicati cori ad personam. Nel giro di un anno appena, tutto è cambiato: chi "saliva" prima, anche nel solco della storia personale precedente, appare ora in difficoltà. E viceversa.
L'ascesa di Kostas
Le rispettive parabole sono indicative. Il greco è arrivato nell'estate del 2014 per sostituire l'allora idolo Benatia, salvo poi entrare in breve nelle grazie dei tifosi in particolar modo per quegli esaltanti recuperi in velocità che tante volte hanno salvato la porta giallorossa da pericoli incombenti. Eppure è stato guardato spesso con un pizzico di diffidenza mista a sarcasmo, soprattutto per il paradosso che ne ha scandito a lungo la carriera nella Capitale: un fisico colossale contrapposto a una soglia del dolore molto bassa, che lo ha costretto a frequenti quanto anomale sostituzioni per uno del suo ruolo (e con la sua mole). E poi una presenza che dall'esterno sembrava porlo sì dentro il gruppo, ma sempre o quasi accompagnata da qualche sguardo di troppo fuori dal mondo romanista. Fino alla cessione a un passo: storia della scorsa estate, un accordo con lo Zenit già chiuso. Infine il colpo di scena e la cessione mandata a monte all'ultimo minuto. Da lì in poi, tutta un'altra storia. Culminata con il gol al Barcellona che ha completato l'epica rimonta e l'esultanza con gli occhi spiritati che ha fatto il giro del mondo. Infine le parole d'amore pronunciate prima ancora del ritiro, col giuramento di non avvalersi di una clausola rescissoria relativamente accessibile e la dichiarazione di fedeltà alla Roma.
Il calvario di Flo
Storia totalmente differente per l'esterno: figlio del fulgido vivaio giallorosso, cresciuto a Trigoria e lì sempre rimasto, se si eccettua l'anno a Crotone post-Primavera, dove era stato mandato per crescere prima di tornare pronto per il calcio "dei grandi". Grande capacità di corsa, estrema disponibilità e adattabilità alla maggior parte dei ruoli, un mix di coraggio e spensieratezza che gli ha permesso di realizzare pochi gol ma tutti bellissimi e - last but not least - provata fede romanista: caratteristiche che messe insieme lo hanno fatto diventare uno dei giocatori più popolari e apprezzati. Nel solco di Totti e De Rossi, predecessori e capitani romanisti come lui, ma al tempo stesso compagni in grado di guidarlo.
Il brutto infortunio patito a Reggio Emilia, la ricaduta proprio quando il rientro era prossimo, sembravano solo dolorose parentesi in una storia a senso unico. Quello a tinte gialle e rosse. Invece una trattativa per il rinnovo di contratto (in scadenza 2019) più complessa del previsto e un accordo a lungo lontano dall'essere raggiunto - con tanto di ammissioni pubbliche in questo senso da entrambe le parti - hanno raffreddato parte della piazza nei confronti del giocatore. Che ora però appare più vicino alla permanenza: tradotto in termini prosaici equivale a richieste più contenute. Perché alla fine il consenso risiede nel desiderio di sposare la Roma. Voglia tatuata da sempre su Flo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA