Il lungo viaggio di Emanuele: Roma-Juve la partita del destino
La sfida scandisce le esistenze di due tifosi amici fin da bambini: dalla prima comunione all’appuntamento mancato da uno e restituito dall’ultimo regalo dell’altro
Per chi è cresciuto negli Anni 80, "La Partita" non può che essere Roma-Juventus. Per Emanuele e il suo amico Fabio è molto di più. Scandisce ogni fotogramma del loro film da tifosi, sempre uno accanto all'altro. A partire dai titoli di testa. Si conoscono da bambini, abitano a due palazzi di distanza, a San Giovanni, pochi passi dalla casa natia di un altro ragazzino un po' più piccolo, che qualche anno dopo li farà esultare 307 volte. Frequentano insieme il catechismo, stringono il rapporto giocando nei tornei parrocchiali a via Cilicia, dove comincia a farsi notare anche l'altro ragazzino, per fortuna della loro squadra in un girone diverso. Il 10 maggio 1981 è il giorno della loro prima comunione, mentre circa 700 chilometri più a Nord si consuma il peccato originale. «Chi avrebbe mai ricordato la data se non fosse stata quella del gol di Turone?», ammette Fabio. Due anni dopo avranno la rivincita, Emanuele che ha parenti a Genova potrà perfino gustare l'apogeo dal vivo, nel giallorosso che avvolgerà Marassi.
Le esistenze dei due amici scorrono su binari paralleli, vicinissimi: sui banchi di scuola li separa un anno e li unisce il plesso, la "Manzoni", dove senza saperlo incrociano di nuovo il promesso sposo della squadra che ha già fatto breccia nei loro cuori. Ma le nozze d'argento fra Francesco e il club sono ancora soltanto una promessa non dichiarata dalla Storia. La loro si dipana molto più normalmente, come quella di tanti coetanei: scuola, partite a calcetto, pizza, birra. E la Roma come collante, man mano che le rispettive strade divergono.
Decidono di abbonarsi insieme, in Sud. «Un lungo viaggio cominciato più di 25 anni fa, nel quale la Roma ci ha presi per mano, ci ha guardato negli occhi e ci ha detto "Fidatevi!". E noi abbiamo chiuso quegli occhi e ci siamo lasciati trasportare», ricorda Fabio con la voce rotta dall'emozione. Che conta più del risultato, proprio come il viaggio più della meta. E quel cammino è denso di ricordi. Dalle delusioni che forgiano sotto forma di Slavia Praga; alle gioie che restano scolpite: lo Scudetto e l'estasi della festa, vissuta ancora gomito a gomito, sventolando il bandierone di oltre due metri cucito per l'occasione. Sono gli anni in cui fanno irruzione le pay tv, eppure i due continuano a preferire l'atmosfera viva dello stadio a quella asettica da salotto. Emanuele trascina Fabio in Sud anche quando il clima potrebbe invogliare a scegliere la comodità: sfidano il diluvio in sella allo scooter per un match con la Samp, ma avrebbe potuto essere qualsiasi altra gara. Quando la Roma gioca, non esiste impedimento che tenga. È il loro modo di continuare a frequentarsi, mentre le differenti scansioni del tempo inevitabilmente li separano. Uno si trasferisce all'Eur, l'altro allo Statuario. Le occasioni per stare insieme si diradano, fra famiglia e lavoro.
Ma tutto è sospeso quando gioca la Roma e per incanto tornano in scooter insieme, sciarpa al collo, direzione Olimpico, destinazione Curva Sud. Anche in quell'isola felice le regole si moltiplicano: il numero di seggiolino mette in discussione legami consolidati. Come tanti altri, si armano di pazienza e cercano posti vicini, stagione dopo stagione, fino a ritrovarsi a un solo numero di distanza. Nel frattempo la squadra torna a far sognare: Emanuele s'infatua calcisticamente di Salah, di nuovo dopo Montella. Ma il vero amore è per De Rossi: ne ammira intelligenza, schiettezza, lealtà, difesa continua dei compagni. Il romanismo di cui è intriso. Lo stesso che fa commuovere entrambi quando quel vicino di casa, scuola e oratorio dà l'addio. Qualche mese più tardi vivono la sfida col Barcellona con l'ottimismo che soltanto il tifo incondizionato può concedere: «Se gliene facciamo uno nel primo tempo possiamo farcela». E la stessa nemesi mancata col Liverpool non riesce a sporcare il compleanno di Emanuele: «Ora andiamo a festeggiare, perché dobbiamo essere orgogliosi di quello che siamo riusciti a fare, e pago io perché è anche la mia festa». Ma la felicità inarrivabile per lui è nel giorno in cui riesce a portare il primogenito Flavio allo stadio.
Nell'estate 2019 convince Fabio a rinnovare l'abbonamento: «Sennò rischiamo di non vederci». Invece la Roma li tiene ancora uniti. Fino al 12 gennaio 2020: la sera c'è l'avversaria di sempre, la Juve, il messaggio sul telefono è quello di sempre, «Ci vediamo dopo, solita ora». «Ok». Ma Emanuele non visualizza la risposta. Non può venire, da quel momento comincia la sua battaglia contro un nemico che lo prende alle spalle e lo aggredisce alla testa. La lotta è impari, ma la sua voglia di vivere è ancora palpabile. In ospedale si fa portare il tablet per vedere la Roma e il giorno del derby accoglie gli amici: «Ha segnato Dzeko». Dopo il lockdown, si sposta con la moglie Roberta, Flavio e il piccolo Marco a Fiumicino. Seguono la Roma a distanza, finché si apre uno spiraglio: mille spettatori potranno entrare allo stadio. Fabio si mobilita, contatta la Roma, che come sempre si mostra sensibile e li invita. Tornano sugli spalti, ancora per la sfida con la Juve. Ema ha anche la forza di esultare ai gol. Torna a casa stremato ma col sorriso. Il destino si frappone ancora fra i due: Fabio contrae il Covid, da cui esce il 25 novembre. Appena negativizzato lo raggiunge e fanno in tempo a vedere il primo tempo di Napoli. L'ultimo prima del 4 dicembre, quando Emanuele se ne va. La conclusione è tutta nelle parole di Fabio: «Spesso mi chiedo se rinnoverò l'abbonamento in Sud, poi mi torna in mente la sua esultanza, il nostro abbraccio e non ho dubbi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA