Mkhitaryan, estetica e sostanza: l'essenziale ben visibile agli occhi
Sempre decisivo: le sue giocate sopraffine hanno fruttato 11 reti in 11 gare. Re degli assist in Serie A, a Roma un gol procurato ogni 102’
Lasciate pure i trucchi ai prestigiatori. Sui campi di calcio le magie abbandonano l'alveo delle illusioni per depositarsi in quello della pura estetica. Non sono molti i giocatori che riescono a coniugare bellezza e concretezza, ma nella ristretta cerchia figura Henrikh Mkhitaryan. Una serie di numeri di alta scuola messi in mostra da quando è a Roma, e se possibile incrementati in questo scorcio di stagione dalla naturale intesa con Dzeko e Pedro, due che parlano la stessa lingua calcistica e coi quali s'intende a meraviglia, come fossero compagni di squadra da sempre. Potere del talento, che annulla ogni distanza. Giocate mai fini a se stesse quelle di Micki, che con sei reti messe a segno nelle ultime tre gare disputate è riuscito a sopperire - alla grandissima - all'assenza di un totem come il centravanti bosniaco. Col numero 9 in campo si è dedicato all'assistenza: quattro passaggi decisivi in Serie A lo rendono il migliore del campionato nella speciale graduatoria. Senza Edin, si è calato nel ruolo di prima punta, riuscendo a centrare numeri da bomber vero, sia pure per qualche spezzone di gara.
Nell'attuale torneo è secondo soltanto a un mostro sacro come Ibrahimovic per numero di gol procurati: undici lo svedese, nove Henrikh. Cifra che però sale aggiungendo anche lo score di Europa League: un altro centro personale (a sbloccare il match col Cluj) e un altro passaggio vincente (contro lo Young Boys, decisivo per capovolgere lo svantaggio iniziale). Il totale fa undici reti col suo zampino determinante, fra gol e assist, in altrettante partite. Che diventano 26 in 38 presenze complessive, considerando anche lo score della passata stagione. In media una ogni 102 minuti, perché Mkhitaryan nella sua annata d'esordio in Italia è stato anche costretto a fronteggiare una serie di noie fisiche che lo hanno tenuto fuori a lungo, facendone soltanto intravedere le enormi potenzialità. È accaduto fino a poco prima del lockdown, quando entrava più spesso a gara in corso che dal primo minuto. E da quando è diventato titolare pressoché inamovibile, tutta la squadra ha incrementato i suoi numeri d'attacco. Non può essere un caso per chi è stato scelto per la sua capacità di verticalizzare il gioco e creare superiorità con i suoi scatti palla al piede da tecnici del calibro di Lucescu, Klopp, Tuchel e Mourinho.
Lo stesso Fonseca stravede per lui e non ne fa mistero. Ritrovata la migliore forma, Micki ha sprigionato tutto il repertorio: destro e sinistro intercambiabili, colpo di testa perfino - lui che corazziere non è - visione di gioco, duttilità tattica, disponibilità al sacrificio (valga per tutte il recupero aereo in area propria per coprire un'uscita di un difensore contro il Parma). E sempre con tocchi sopraffini, mai banali, che lustrano gli occhi di chi guarda e forniscono indirizzo dettagliato alla magia calcistica. Frutto di indubbio talento e forse anche di una commistione di culture vissute in prima persona, nel suo lungo girovagare in mezza Europa, perfino in Sudamerica, ancora ragazzino (nel San Paolo del suo idolo Kakà). Deve avere assimilato tutto quello che ha visto l'armeno, a partire dal papà calciatore scomparso prematuramente, che come ha raccontato tempo fa ne ha ispirato la carriera: «L'anno dopo la sua morte, ho cominciato ad allenarmi per diventare un calciatore. Lui era la mia motivazione, il mio idolo». Cresciuto a pane e pallone (anche la madre lavorava nell'ambito, funzionaria della Federazione) in una terra che più di confine di così non si potrebbe, sospesa fra Oriente e Occidente, martoriata da diaspore e guerre, l'ultima delle quali vissuta proprio in questi mesi.
E Mkhitaryan che del suo Paese è simbolo anche extrasportivo non ha mai smesso di levare la voce, chiedendo interventi per sedare il conflitto, sui social come nella famosa lettera aperta ai presidenti di Stati Uniti, Russia e Francia. Il suo senso d'appartenenza resiste alla distanza: a Roma è nato il figlio e lui si è riscoperto leader, proprio come in patria. Club e tecnico hanno puntato forte su di lui nell'ultimo complicato mercato. E la scadenza dell'accordo a giugno prossimo sarà presto prorogata.
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