AS Roma

La Roma che giocò un anno "cor core"

La squadra di Radice, gruppo di buoni giocatori e discreti gregari, è stata la più romanista di sempre. Frutto di una magia ispirata dallo stadio che la ospitò

PUBBLICATO DA Daniele Santilli
24 Ottobre 2020 - 10:30

Pubblichiamo, per gentile concessione della casa editrice, un brano del libro L'Anno del Flaminio, in uscita in questi giorni, scritto da Daniele Santilli, al debutto come scrittore. Edizioni Absolutely Free. La prefazione del libro è di Ruggero Radice, figlio del compianto Gigi, allenatore di quella stagione. L'articolo fa riferimento alla partita Roma-Napoli, disputata l'8 ottobre 1989 e terminata 1-1, con le reti di Comi e Maradona su calcio di rigore. Nel libro viene raccontata l'avventura della Roma della stagione 1989-90 costretta ed emigrare allo stadio Flaminio per via dei lavori di ristrutturazione dell'Olimpico in vista dei Mondiali del ‘90 e che proprio dall'impianto di Viale Tiziano trarrà una forza quasi sovrannaturale che la porterà a disputare uno straordinario campionato, in una Serie A che allora annoverava tutti i più forti calciatori del mondo. Ne sa qualcosa Diego Armando Maradona, in campo quel giorno con il suo Napoli, trentuno anni fa...

Finalmente ci siamo, le squadre scendono in campo incantate dal colpo d'occhio offerto dalla Sud che in un attimo si colora di giallorosso. Anche la prima inquadratura, sulla quale il telecronista Giorgio Martino dà il benvenuto ai telespettatori di Raitre, è per la curva più bella del mondo. Alle 15 la capitale è completamente deserta, al Flaminio ci sono circa 25000 spettatori, ma una partita di serie A in diretta televisiva, in una stagione in cui la Roma non partecipa alle coppe europee, non se la perde nessuno. Radice sostituisce lo squalificato Tempestilli con il giovane Stefano Pellegrini, che dal primo istante s'incolla a Diego Armando Maradona. Pare che il mister negli spogliatoi gli abbia detto «Seguilo anche se va al bagno a fare pipì…».

La Roma parte in maniera aggressiva, c'è voglia di riscatto dopo la pessima figura di Milano, e c'è la volontà di sfruttare il Flaminio per far valere il fattore campo. Così dopo pochi secondi di gioco Berthold entra in maniera durissima su Carnevale, facendo capire subito a tutta la compagine partenopea, che tipo di aria tirerà oggi. Dopo meno di 10 minuti, a seguito di un calcio d'angolo battuto da Giannini e di una serie di rimpalli, il pallone finisce sulla testa di Antonio Comi che con un'incornata perfetta porta la Roma in vantaggio. La Sud esplode di gioia, il difensore ex granata di più. La sua esultanza sotto la curva è da brividi: Comi bacia la maglia ed alza le braccia in cielo, scacciando via in un attimo tutte le inutili polemiche che avevano accompagnato il suo arrivo e le sue prime prestazioni.

Trascinata da un pubblico meraviglioso la Roma continua a spingere, ma fallisce per due volte clamorosamente il raddoppio. Prima Giannini, solo davanti a Giuliani, calcia al volo fuori, poi Rizzitelli, a portiere battuto, non riesce a depositare la palla in rete. Il Napoli sembra annichilito, così come il suo uomo di punta, Diego Armando Maradona. Il pibe de oro soffre più del previsto la marcatura asfissiante di Stefano Pellegrini che lo anticipa sempre e nelle rare occasione in cui non ci riesce, commette fallo. Il clima ostile del Flaminio, che lo chiama in continuazione "Rotolo de coppa", non favorisce la serenità dell'argentino che dopo aver calciato una punizione alle stelle , fra ululati e fischi, si rende protagonista di un intervento "assassino" nei confronti di Stefano Desideri, facendo scattare la reazione di quest'ultimo e di tutti i suoi compagni. In un attimo si scatena una rissa furibonda, lo stadio diventa una giungla, in cui a rimetterci sono soprattutto i giocatori del Napoli che non si aspettavano un'accoglienza simile.

È un tutti contro tutti che non risparmia nessuno, nemmeno i compagni di nazionale come Giannini e Carnevale, nonostante in tribuna ci sia il Ct Vicini ad osservarli. Tornata in parte la calma, si attende la decisione dell'arbitro Magni, che a rigor di logica, dovrebbe estrarre il cartellino rosso ed espellere Maradona. Il direttore di gara invece, sposa ancora la linea del perdono, e dopo aver sorvolato su alcune scorrettezze, commesse anche dai calciatori della Roma, fa riprendere il gioco, come se nulla fosse accaduto. A fine gara, anche il numero 10 partenopeo si mostrerà stupito da questa decisione: «Se fossi stato l'arbitro mi sarei espulso. Perché alla fine del primo tempo ho fatto un fallo plateale e pericoloso su Desideri. Il quale a sua volta, qualche minuto prima, mi aveva rifilato un cazzotto in faccia».
L'accusa dell'argentino viene contestata a distanza di 30 anni dal centrocampista giallorosso: «Non ero stato io a colpire Maradona, bensì un mio compagno di squadra in occasione di una mischia che si era creata qualche minuto prima del fallo da me subìto. Provai più volte a dirlo a Diego, ma quando lui si metteva in testa una cosa, era quasi impossibile fargli cambiare idea».

Il primo tempo termina 1-0, con grossi rimpianti da parte della compagine giallorossa, che ha letteralmente dominato l'incontro, senza però riuscire a chiuderlo. Fermiamoci un attimo. Il campionato di serie A nel 1989 è una sorta di mondiale per club. A parte una nazionale italiana fortissima, che è bella da vedere ed amata da tutti, i cui componenti non hanno mai preso minimamente in considerazione l'idea di trasferirsi all'estero, giocano nel nostro campionato tutti i calciatori più forti del mondo. Se c'è una stella, un fuoriclasse, un fenomeno in Sudamerica o in una squadra europea, prima o poi arriverà in Italia, perché è quella la massima aspirazione di un calciatore in quel momento.

In questo "paradiso" calcistico, il Napoli è una delle protagoniste più importanti, e la domenica precedente ha surclassato al San Paolo, con un netto 3-0 il Milan campione d'Europa di Arrigo Sacchi . La compagine azzurra, non solo può vantare fra le sue file il calciatore più forte del mondo e probabilmente più forte di tutti i tempi, ma annovera anche altri campioni indiscussi, come i brasiliani Careca e Alemao e come i nazionali azzurri Ferrara, De Napoli e Carnevale.

La Roma è un team di buoni e discreti giocatori e di gregari, in cui brilla sicuramente la classe di Voeller e Giannini, ma con la rosa del Napoli, oggettivamente, non c'è paragone.
Il primo tempo di oggi, però ha detto altro: la squadra sulla carta più debole, ha annientato quella sulla carta più forte. Come è stato possibile? Anzitutto il fattore grinta. Radice ha caricato a mille i suoi, dopo la figuraccia di Milano, ed i calciatori sono entrati in campo con una rabbia tale da intimorire i propri avversari.

Poi c'è la componente del cuore. Se uno dei cori più cantati della Sud in questa stagione, recita «Questa Roma sta a giocà cor core» un motivo ci sarà. La Roma del Flaminio è probabilmente la squadra più romanista di sempre. In rosa ci sono ben nove giocatori romani, anche se uno di loro ha un passato in biancoceleste ed un altro finirà alla Lazio più avanti. Calciatori come Nela e Tancredi hanno già fatto la storia giallorossa, altri ancora la faranno: Cervone, Gerolin, Voeller e Rizzitelli su tutti. Quando la squadra va in campo, è come se scendessero in campo i tifosi. Quando si fa gol, nessuno pensa «Ho segnato io», ma «Ha segnato la Roma, abbiamo segnato noi!» e questo è facilmente intuibile nel modo in cui i giocatori esultano.

Infine, c'è l'effetto stadio. Il Flaminio consente ai tifosi presenti di stare accanto a chi gioca, di orientare la partita, di essere decisivi. E così il pubblico carica i suoi ed indispettisce gli avversari, fa diventare un bomber Comi e annulla Maradona, che con un arbitro dotato di un pizzico di personalità in più sarebbe già in tribuna ad osservare i suoi dieci compagni in difficoltà senza di lui.
Spostandoci per un attimo ai giorni nostri - con una squadra decisamente più forte di quella del Flaminio e con un campionato, il cui livello non ha nulla a che vedere con quello dell'epoca - ci siamo sempre chiesti come farebbe la Roma a pareggiare una gara interna (la sconfitta è inimmaginabile) se i propri tifosi potessero sostenerla in uno stadio costruito esclusivamente per il calcio, ma qui finiremmo in discorsi troppo lunghi che probabilmente richiederebbero un altro libro.

È pienamente d'accordo Stefano Desideri: «Noi sentivamo l'apporto del pubblico all'Olimpico, figuriamoci al Flaminio, dove i tifosi erano praticamente in campo. In più quell'anno, grazie a Radice, si era creata un'armonia nello spogliatoio che ci spingeva a dare il massimo in ogni partita. Batterci era davvero difficile, chi voleva sconfiggere la Roma, se lo doveva davvero meritare». Al centrocampista fa eco Sebino Nela: «Quella fu una di quelle stagioni in cui tutto andava bene. Avevamo una guida straordinaria: con Gigi ho passato un momento bellissimo della mia carriera da calciatore. In più ci mettiamo quello stadio fantastico, che permetteva a noi di caricarci in maniera particolare vedendo la gente attaccata al campo e ai tifosi di osservare da pochi metri i campioni che erano abituati a vedere soltanto in televisione». Aggiunge Peppe Giannini: «Lo stadio ci aiutava in maniera decisiva ed imprimeva timore agli avversari. Anche agli arbitri veniva richiesta un'attenzione particolare, perché avere la gente a pochi metri di distanza non gli consentiva di commettere errori clamorosi».

Ma torniamo a Roma-Napoli. Il secondo tempo inizia come era finito il primo. Il dominio della Roma non si arresta e Di Mauro sfiora la traversa con un bel tiro al volo. Al minuto 52, però, Stefano Desideri, probabilmente il miglior giocatore dei giallorossi in questo inizio di stagione, commette un'ingenuità clamorosa, sgambettando inutilmente Baroni in area di rigore. L'arbitro Magni fa l'unica cosa giusta in una giornata da incubo per lui, assegnando la massima punizione ai partenopei. Le proteste dei padroni di casa sono veementi, ma il rigore è netto. Dal dischetto si presenta naturalmente Maradona, la Sud prova ancora a provocarlo con fischi, insulti, lancio di bottigliette e di monetine, ma stavolta non c'è niente da fare, il Pibe de Oro spiazza Cervone e porta i suoi sull'1-1.

A questo punto la partita diventa piuttosto brutta e assai più nervosa. Succede poco e niente fino all'88' quando Magni diventa improvvisamente intransigente ed espelle Voeller per doppia ammonizione. Un minuto dopo Careca, servito da Corradini si presenta a tu per tu con Cervone che per fortuna chiude la porta al brasiliano. Sarebbe stata una beffa, perché come affermerà Radice nel post partita, si è vista una grande Roma almeno per sessanta minuti. Sarebbe stata un'ingiustizia perché quello di oggi è stato un grande Flaminio, se n'è accorto anche chi ha visto la gara in tv: uno stadio che ha regalato alla squadra la consapevolezza che in questa stagione «A Roma nun se passa» o almeno sarà difficile passare…

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