Da Mazzone a Fioranelli, passando per Ranieri: ricordi romanisti in Svizzera
Racconti di trasferte oltre le Alpi: dal «Nonchantel», alle preoccupazioni dei due tecnici romani e il vano inseguimento all’imprenditore che voleva acquistare il club
Le banche. Gli orologi. La cioccolata. I bunker antiatomici. Il profumo dei soldi e della neve. Eccola la Svizzera che, dopo qualche anno, riaccoglierà la nostra Roma per il primo impegno europeo di questa stagione. Ma per chi scrive, i punti di riferimento rossocrociati sono altri, tutti legati a precedenti trasferte giallorosse. E allora «Nonchantel» e Carletto Mazzone. Basilea e Claudio Ranieri. Herisau e Vinicio Fioranelli. Tre ricordi che meritano di essere raccontati.
Dunque, Nonchantel. Non è un errore, ma è così che Carletto de' noantri chiamava la squadra sorteggiata contro la sua Roma per i trentaduesimi di finale di quella che all'epoca era la coppa Uefa. Era, in realtà, il Neuchatel, ma Mazzone ne storpiava il nome con la sua cadenza romana, il tutto a certificare pure il consueto nervosismo con cui approcciava alle partite. Correva l'anno 1995, si era agli albori della presidenza di Franco Sensi che aveva deciso di affidare le sue e le nostre ambizioni a quell'allenatore che aveva la Roma nel cuore. Era stata una vigilia tranquilla, con tanto di gita in battello sullo splendido lago su cui si affaccia Nonchantel, ma Mazzone era quello di sempre, teso come una corda di violino, preoccupato pure dal fatto che nella precedente partita di campionato gli si era infortunato Thern, diffidente perché un po' tutti consideravano il Nonchantel un sorteggio di quelli definiti fortunati. Non fu una passeggiata. Moriero riuscì a pareggiare il vantaggio svizzero, poi nel ritorno Mazzone festeggiò il passaggio del turno contro il Nonchantel.
E poi c'è stata la faccia di un altro allenatore romano, Claudio Ranieri. A Basilea, anno 2009, il tecnico da poche settimane si era seduto sulla panchina che sognava al posto di uno Spalletti che si era dimesso dopo due giornate di campionato pensando che il suo ciclo giallorosso fosse arrivato al capolinea. Era una Roma ancora in convalescenza quella, ma che in Svizzera ebbe una ricaduta, perdendo 2-0, ribadendo una molteplicità di problemi che non inducevano all'ottimismo. E tutto questo chi scrive lo lesse sulla faccia di Ranieri al termine della partita. Non tanto nell'ufficialità della conferenza stampa, quanto subito dopo, quando lo seguimmo nei corridoi dello stadio per cercare ancora maggiore chiarezza sul suo pensiero romanista. Ci confidò che era molto preoccupato per la situazione della Roma: «Abbiamo tanti problemi e poco tempo per risolverli». In realtà il tempo fu sufficiente. Da lì in campionato partì la grande rimonta sull'Inter di Mourinho con tanto di sorpasso a poche giornate dalla conclusione. Poi, meglio non ricordare.
Ancora Basilea, un anno dopo, questa volta il profumo è quello della Champions. Sempre Ranieri sulla panchina giallorossa. Siamo nel 2010, da tempo al centro dell'attenzione c'è il passaggio di proprietà della Roma. Da poche settimane si era conclusa la vicenda di Vinicio Fioranelli, che per settimane aveva trattato l'acquisto del club, con tanto di comunicati della famiglia Sensi. I giornalisti al seguito si erano sistemati a Zurigo perché gli hotel di Basilea erano stracolmi, causa un convegno medico. Prima di partire, chi scrive era andato a vedere sulla cartina quanto fosse distante Herisau, la cittadina dove aveva la residenza Fioranelli. L'intenzione era quella di andare a intercettarlo per avere la sua versione su una vicenda che si era conclusa con un rinvio a giudizio per aggiotaggio. Solo che il caso (o no?) anticipò l'incontro. Infatti proprio nell'albergo dove eravamo alloggiati, si materializzò il fantasma di Fioranelli. Roba da non crederci. Non ci fu verso di fargli dire due parole. Scomparve in un megaparcheggio extralusso uscendone, sgommando, a bordo di un Suv gigante. La conseguenza fu che decidemmo subito di affittare una macchina per andare, la mattina dopo, a Herisau. Distanza di un centinaio di chilometri, percorsi sotto un diluvio torrenziale. Arrivammo comunque a destinazione, con tanto di indirizzo dell'ufficio di Fioranelli. Citofonammo. Rispose il figlio, dicendoci che il papà non c'era. Non gli credemmo. E allora, appena uscì un condomino dal portone, ci intrufolammo all'interno. Ascensore. Terzo piano. Solo che quando l'elevator si fermò, le porte non si aprirono. Serviva la chiave per uscire, perché non si arrivava su un pianerottolo ma direttamente all'interno dell'abitazione. Breve trattativa con il figlio di Fioranelli che alla fine ci aprì. Per farci vedere l'ufficio con tanto di oggetti calcistici notevoli, tipo gli scarpini firmati di Maradona. Ma ci aveva detto la verità, Vinicio non c'era e non sarebbe tornato quel giorno. Fioranelli era tornato il fantasma che per settimane aveva provato a prendere la Roma. Tornammo a Zurigo. La sera ci pensò la Roma a consolarci. Vinse la sfida con gli svizzeri, garantendosi o quasi la qualificazione. Con tanti saluti al fantasma.
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