Kumbulla, le radici e le ali. Dall'Arena al Colosseo, alla scoperta dell'ex Verona
Il padre: «Emozionante l’esordio all’Olimpico. Roma ci ha convinti». Pavanel, allenatore in Primavera: «È da sempre un anno avanti». Alle 14 la presentazione a Trigoria
Arrivato a sorpresa, difensore rivelazione della stagione scorsa, ha movimentato il mercato della Roma. Sarà presentato oggi alle 14 a Trigoria, Marash Kumbulla, il classe 2000 di nazionalità albanese nato a Peschiera del Garda, una vita al Verona, da quando aveva otto anni ed era appena uscito dalla scuola calcio del Cavalcaselle, frazione di Castelnuovo del Garda da 3.500 anime, a pochi chilometri da dove abitava con la famiglia quando era bambino e fino a un paio d'anni fa.
Suo papà Lin e sua madre Mimoza arrivarono in Italia dall'Albania per cercare fortuna nel 1996. Anni duri. Ma i Kumbulla si diedero subito da fare nel costruire quella che da diversi anni è ormai la loro attività: un'impresa edile (che Lin gestisce insieme al fratello) e un ristorante a Peschiera, a venti minuti di macchina da Verona: «Il lavoro è una costante nella nostra famiglia, sin dai primi giorni qui in Italia io e mia moglie abbiamo cercato di trasmettere questo importante valore ai nostri figli spiegando loro che lavorare, in fin dei conti, paga sempre e regala sempre soddisfazioni». Questione di mentalità, quindi, in casa Kumbulla. Lui, Marash, che ha preso il nome da suo nonno, è nato quattro anni dopo l'arrivo nel nostro Paese dei genitori. A seguire i fratelli, Giuliano e Silvia: «Lui è l'unico che non ha il nome italiano, così per farlo integrare al meglio in Italia abbiamo iniziato a chiamarlo Max, perché Marash non lo capiva nessuno», spiega il fratello, che ha appena fatto la maturità, ha iniziato l'Università telematica e fa l'arbitro di calcio.
La storia di "Kumbu", l'altro soprannome che strillavano domenica sera in campo Dzeko e compagni, non sarà Giulietta e Romeo e, d'accordo, non esistono più i Totti o i De Rossi, ma è certo che il suo percorso con i gialloblù è di quelli molto rari. Dai pulcini - passando per il diploma di ragioneria - alla prima squadra dello stesso club, come solamente il suo attuale compagno di squadra Lorenzo Pellegrini è riuscito a fare (e come Sofia Bergamini, collega di ruolo nel Verona femminile in Serie A e sua ex compagna di scuola al Liceo Scientifico). Fino ad arrivare al primo gol in Serie A (segnato alla Sampdoria il 5 ottobre 2019) che l'ha fatto diventare il primo difensore tra i nati nel 2000 a segnare nei cinque principali campionati in Europa. Il legame con i colori gialloblù, infatti, è fortissimo: «È inevitabile. Anche non volendo - spiega il fratello Giuliano - è diventata una questione di famiglia. Io continuerò ad andare allo stadio a tifare per l'Hellas».
Perché certi valori sono imprescindibili, come è accaduto per la scelta della nazionale albanese: «È stata naturale. Noi ci sentiamo davvero metà italiani e metà albanesi - chiarisce Giuliano Kumbulla - ma quando bisogna scegliere dev'esserci qualcosa in più della metà. Quindi in quel momento è stata una decisione di cuore, di tradizione e di famiglia». Che fa molto rammaricare i tifosi della Nazionale azzurra, di fronte a questo gioiello ormai romanista: «Fa sicuramente piacere questa stima - risponde con orgoglio il padre Lin - ma la scelta che è stata fatta è stata di cuore e al cuore non si comanda».
Da Verona a Roma
Dall'Arena al Colosseo, dall'Adige al Tevere, due città d'arte, il passaggio non è poi così facile: «Una volta atterrati a Roma ci sentivamo spaesati, ovviamente felici ed entusiasti - racconta il fratello -. Max era contento, ci ha raccontato che è stato accolto molto bene dai compagni e dallo staff. Nei primi giorni ha legato con Calafiori e Mancini, ma parla anche con i più "anziani" come Dzeko. Può apprendere molto in questo gruppo. Non c'è stato ancora modo di fare un giro in centro, abbiamo trovato un meteo un po' avverso e poi sappiamo che a Roma c'è tanto calore da parte dei tifosi. Ci siamo dati un attimo di tempo prima di questo abbraccio. La gente ci ha già fatto sentire il proprio appoggio, sinceramente lati negativi è davvero difficile trovarne».
C'erano diverse squadre che gravitavano intorno a Kumbulla. Sarebbe potuto andare alla Lazio, ma con grande gioia dei tifosi giallorossi, la Roma è stata la più lesta e concreta: «Quando è arrivata la chiamata, anche inaspettata - spiega Giuliano - l'idea di spostarsi in una piazza così, che ti ispira, che ti richiede di dare tanto, con dei tifosi molto caldi, ci ha affascinato subito e siamo arrivati in un paio di giorni. Tra le tante valutazioni che abbiamo fatto sulle squadre che si sono accostate a noi, la Roma ha convinto subito. Ha un bellissimo progetto e nei prossimi anni potrà tornare a giocarsi la Champions, che è nell'ambizione di qualsiasi giocatore, ma bisogna dare tempo al tempo».
Inizialmente ha avuto la famiglia vicina, al suo approdo nella Capitale. Questioni di logistica, ma anche supporto per la nuova avventura. Suo fratello Giuliano e i genitori si sono dati il cambio nei giorni scorsi per non lasciarlo solo. Al momento è con la sua fidanzata Greta. Vive a dieci minuti da Trigoria, non ama dispersioni Kumbulla: «Abitava di fronte all'impianto sportivo del Cavalcaselle - ha raccontato nei giorni scorsi al sito della Roma il suo allenatore della scuola calcio, Giuliano Cordioli -. Era sempre in campo e arrivava un'ora prima dell'allenamento». Era di quelli che si portava il pallone anche a letto, si narra. Così come della sua proverbiale serietà e timidezza: «Ma si sa pure divertire... Gioca anche lui alla playstation, più di me. Ecco, magari a ballare non va, non gli piace - spiega Giuliano Kumbulla - Non lo dico perché è mio fratello, ma è una delle persone più professionali che conosco, quando è focalizzato su qualcosa va fino in fondo e non si lascia tentare. È difficile distoglierlo quando ha un obiettivo. Non è molto "social", anche se ovviamente per la professione è presente, ma non è il tipo che ama tanto farsi vedere, in questo senso è timido».
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Poi è arrivato l'esordio con la maglia della Roma, non al Bentegodi, dove Kumbulla in panchina sembrava anche un po' stralunato visto che tutto era successo così di fretta, ma contro la Juventus di uno dei suoi modelli difensivi, Giorgio Chiellini. E il duello a distanza, tutto sommato, è andato molto bene per Marash, secondo suo fratello: «Ha fatto una buona partita. Max ha sempre ammirato giocatori così professionali, quadrati in campo e fuori, fisici. Vederli vicini in campo a parlare è stata un'emozione anche per me. Io l'ho vista in tv, mentre i miei genitori erano allo stadio». «Essendo stata la prima con la maglia della Roma non nascondo che l'emozione era molta - confessa il padre Lin - accompagnata da un po' di agitazione dato che si trattava anche di un big match. La scelta della Roma è stata frutto di una valutazione a tutto tondo di quello che è l'ambiente Roma e devo dire che siamo stati convinti appieno da società, progetto e calore dei tifosi».
Predestinati si nasce
Arriverà, Marash Kumbulla. Lo dicevano tutti, lo dicono ancora molti, e se ne era accorto Massimo Pavanel, attuale tecnico della Feralpisalò, che l'ha avuto a Verona nella Primavera: «Io l'ho allenato per circa due anni, lui era ancora in età Allievi. Lo portai a fare un torneo a fine stagione, mi era piaciuto molto per la maturità oltre che per la statura e la fisicità. Così decidemmo col responsabile del settore di inserirlo l'anno dopo nella Primavera, anche se era sotto età, perché ci aveva sorpreso per questa dote poco comune in quella fascia. Veniva da una famiglia "super", che non esiste in questo mondo. Un'umiltà e una dedizione al lavoro fuori dalla norma. Non c'è stata mai una volta che ho dovuto riprenderlo durante un allenamento. A quell'età è facile che i ragazzi arrivino con qualcos'altro nella testa. La famiglia è la sua grande forza, non ha mai avuto una parola fuori posto, ha sempre rispettato i ruoli, non ho mai sentito quelle frasi da genitore a figlio che rovinano i giovani calciatori. Hanno sempre avuto l'idea di fare i passi giusti, attendendo i meriti. Poi Marash ha una freddezza che lo può portare a giocare partite importantissime con la tranquillità di un veterano.
E si è visto anche domenica scorsa con la Juventus. Ma si era già svelato a Verona, quando ha colto l'opportunità in ritiro: Juric non aveva molti difensori e scelse tra i Primavera. È stato in anticipo sulla tabella di marcia anche con la prima squadra, credo Juric abbia apprezzato soprattutto la sua capacità di concentrazione, di testa, che non è propria dei giocatori così giovani, ma è fondamentale per i difensori». Fisico longilineo, forte di testa, rubava gli occhi alle squadre importanti che andavano a vederlo a Verona anche da ragazzino, ma poi rimaneva sempre: «Lui cresceva molto per l'età che aveva, doveva raffinarsi nella corsa, non era "bellissimo" da vedere. Ma l'efficacia, alla fine, supera l'estetica, lì lui era spaventoso. Un gioiello. Credo che abbia ulteriori ampi margini di crescita, non è arrivato ancora a esprimersi al top». Con la sua abilità nel gioco aereo può divertirsi anche in zona gol. Può giocare in tutti i ruoli della difesa, anche al centro come ha fatto l'anno scorso a Verona (centrodestra l'ha fatto proprio con la Roma, ma si fece male): «È molto forte sull'uomo e nella difesa a tre in questo momento si esalta», conclude Pavanel.
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