Spinazzola: "La mia famiglia mi ha aiutato nei momenti difficili"
Il terzino giallorosso: "Preferisco giocare a sinistra. Riti scaramantici? Quando vinco mi ricordo quello che ho fatto e lo ripeto"
Leonardo Spinazzola, terzino della Roma, è stato protagonista di un'intervista rilascia a Cronachedispogliatoio.it insieme a Gianluca Zambrotta. Tanti gli argomenti trattati dal classe '93 giallorosso, a partire dalle preferenze di ruolo, argomento dibattuto spesso in questo primo anno nella Capitale: "Sia io che Zambrotta nasciamo esterni alti. A un destro - ha detto - piace di più giocare a sinistra in modo da rientrare e calciare. Io ho sempre giocato a sinistra, mi hanno abbassato perché facevo pochi gol e perché a questi livelli per giocare esterno alto devi essere bravo spalle alla porta, a giocare tra le linee. Io quando trovo campo e spazi aperti mi trovo meglio. Quando gioco a destra mi adatto, è tutto completamente diverso: la postura del corpo, l'uno contro uno".
"Il primo anno con Gasperini, che non facevamo l'Europa League, ogni martedì facevamo sui 12 km a seduta. Possessini e finivi con 800 o 1000 metri quasi tutti i martedì. La questione è mentale, poi il corpo si abitua allo sforzo. È una cosa lenta, non è una partita. Fai sempre quello, giri intorno al campo. È una cosa mentale. Se da piccolo hai tecnica, con il fisico devi adattarti a dare sempre il massimo e alzare l'asticella ogni volta che ti alleni. La tecnica ce l'hai o non ce l'hai, puoi migliorare ma se hai una base è normale che dopo è più facile", ha detto sulla mentalità da tenere in allenamento.
Sui riti scaramantici, Spinazzola ha aggiunto: "Non ne ho molti. Quando vinci ti ricordi di quello che hai fatto e così lo puoi ripetere. Esercizi per scaldare i muscoli, sempre quelli a ripetizione. Magari i fisioterapisti mi chiedono degli esercizi ai flessori: 6 o 8? E io gli dico 7 perché magari era andata bene una volta. E poi è il mio numero fortunato. Oppure mi metto un parastinco prima di un altro".
Infine, chiusura sugli infortuni che hanno spesso condizionato la sua carriera: "A 14 anni mi sono trasferito, ero piccolissimo e lontano dalla famiglia e dagli amici. Il primo mese, pronti via e mi sono fatto veramente male, sono stato fuori due mesi per un'entrata sulla caviglia. Ero in convitto, solo in una camera, ho detto: 'Mamma vienimi a prendere perché non riesco a stare qui da solo'. Ero a Siena. Poi ho avuto fortuna che era vicino, a un'ora di macchina, ma sempre solo ero. Mia madre veniva sempre con mio padre in macchina e mi dicevano 'Leo, aspetta un attimo. Sappiamo che è dura ma questi sono i sacrifici che devi fare'. Dopo 5 o 6 mesi non volevo più tornare a Foligno, mi ero abituato. Il crociato, due anni fa, è stato un periodo brutto perché era da tanto che volevo tornare alla Juventus. Durante quel periodo però è nato mio figlio, è stata una fortuna. Tutti i giorni con il sorriso anche se mi faceva male, sei ore a fare esercizi ma tornavo a casa e tutto passava. L'ho vissuta bene".
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