AS Roma

La Roma americana: da DiBenedetto a Pallotta, ora inizia l'era Friedkin

Otto anni fa il passaggio di consegne: il consorzio statunitense rileva la Roma da Unicredit. Prima Tom, poi James, adesso è il turno di Dan e Ryan

PUBBLICATO DA Fabrizio Pastore
06 Agosto 2020 - 11:03

L'american way of life mette piede a Roma nel 2011. Ufficialmente il 18 agosto, anche se il vero e proprio passaggio di consegne al consorzio capeggiato da Thomas DiBenedetto viene siglato a Boston qualche mese prima, il 16 aprile. In mezzo alle due date, il club giallorosso ha una conduzione bicefala. Da un lato il gruppo statunitense (con il sessanta per cento delle quote), che sceglie il proprio management - italiano - di fiducia per la gestione più immediata: Franco Baldini direttore generale, Walter Sabatini direttore sportivo, Claudio Fenucci amministratore delegato. Dall'altro Unicredit, che ha rilevato la Roma come parziale copertura del credito che vanta nei confronti della famiglia Sensi e continua a detenerne il quaranta per cento anche dopo la cessione.

 La trattativa in realtà è lunghissima e a tratti estenuante: cominciata nell'autunno precedente, passata attraverso diverse scremature di vari soggetti interessati all'acquisto, culminata nella short list del gennaio 2011. Con gli americani arrivano a contendersi il club altre cordate, ma le offerte sono tutte verso il ribasso e la più soddisfacente per l'istituto bancario è quella proveniente dagli Usa. Con Di Benedetto (co-proprietario della squadra di baseball dei Red Sox) frontman del consorzio, ci sono altri tre investitori: Richard D'Amore, Michael Ruane e James Pallotta, che in questa prima fase appaiono più defilati.

Vengono svelate le linee-guida del progetto: rivoluzione nella gestione del marketing, sfruttando le potenzialità del nome Roma nel mondo; restyling della comunicazione, con lo sbarco massiccio su tutti i social network e la creazione di una vera e propria media company; solidità finanziaria, da conseguire anche tramite la valorizzazione del patrimonio tecnico; e last but not least, edificazione del nuovo stadio, fondamentale per arrivare al livello di ricavi dei top club europei. Proprio su questo versante vengono mossi i primi passi societari, con la ricerca e lo studio dei possibili plessi utili per costruire l'impianto.

Nel frattempo la sfera relativa al campo ha le sue rinnovate indicazioni. Il primo mercato della gestione americano non è semplice: la squadra va svecchiata senza essere depauperata nei suoi valori tecnici. A guidarla viene scelto Luis Enrique, tecnico rampante del Barcellona B negli anni di esplosione del guardiolismo. L'obiettivo dichiarato dal ds Sabatini (coadiuvato dal fedelissimo Massara, artista nello scovare talenti semi-sconosciuti) è dar vita a un calcio «arrogante». Tradotto dal sabatiniano, l'intento è creare un gruppo di giovani calciatori non ancora esplosi al grande pubblico, che sappiano interpretare il possesso palla e il dominio del campo di stampo catalano.

Il programma è ambizioso, il tempo nel quale realizzarlo troppo ridotto. Gli acquisti più importanti arrivano a stagione paradossalmente già compromessa: la Roma è costretta a disputare il preliminare di Europa League con una formazione imbottita di ragazzi della Primavera e va subito fuori. Si aprono le prime crepe, che si insinuano in un rapporto mai sbocciato fra la neonata proprietà e i media locali, con alcune radio in testa. «American straccions» è una delle litanie più in voga per descrivere il nuovo gruppo. I fatti dimostrano che gli investimenti ci sono eccome, ma la nuova conduzione non fa breccia nei cuori e si ha la sensazione che in tanti siano pronti a dichiararle guerra preventiva. Una battuta infelice di Baldini su Totti all'alba della nuova gestione aveva già dato adito a interpretazioni malevole, incrinando sul nascere l'immagine dirigenziale.

Emerge intanto la figura di uno dei tre soci di DiBenedettoPallotta, che gli succede al vertice del club nell'estate 2012. Il co-proprietario dei Boston Celtics è completamente diverso dal predecessore: istrionico, affabile coi media, esplosivo nella forma e a volte pure nella sostanza. Alla squadra si presenta in pieno clima rigido tuffandosi vestito nella piscina di Trigoria. Ma sulla vicenda stadio si fa combattivo e accelera, individuandola come core business e firmando un accordo con l'imprenditore romano Parnasi per edificare l'impianto sui terreni dell'ex ippodromo di Tor di Valle. Il progetto dell'opera viene affidato all'architetto di fama mondiale Dan Meis. Di pari passo viene dato ampio risalto alla storia del club, con l'istituzione della Hall of Fame, l'intitolazione di uno dei campi del "Bernardini" ad Agostino Di Bartolomei e il cambio di indirizzo in piazzale Dino Viola. Viene riavvicinata e coinvolta un'altra bandiera come Francesco Rocca, dopo anni di incomprensibili "dimenticanze".

In campo però i risultati altalenanti non aiutano a conquistare parti rilevanti della piazza, anche se la Sud si schiera con il tecnico e non osteggia la società. Baldini si fa da parte e la guida italiana viene affidata a Mauro Baldissoni, avvocato romano già consigliere di Pallotta e fondamentale nella fase del passaggio di proprietà, con il suo lavoro costante dallo studio legale Tonucci, vero fulcro legale da dove tutto si è dipanato. Dopo le dimissioni di Luis Enrique si punta su Zeman, visto ancora con favore da gran parte dell'ambiente, ma la scelta si rivela un boomerang: il rendimento è catastrofico. Come se non bastasse, scoppia il caso De Rossi (che mesi prima è stato "riacquistato", essendo stato lasciato col contratto in scadenza dalla precedente proprietà), malvisto dal boemo.

Con una classifica a dir poco deficitaria, l'esonero è inevitabile: la squadra viene affidata a un membro dello staff tecnico e collaboratore storico di Spalletti, Andreazzoli, che centra la finale di Coppa Italia. Il 26 maggio però arriva una sconfitta nel derby difficile da assorbire. La dirigenza ci prova azzerando o quasi i propositi del primo biennio e affidandosi a giocatori più esperti e "cattivi".

Sulla panchina arriva il francese Rudi Garcia, fresco del miracolo Lille. La Curva è ancora una volta disposta a perdonare e la squadra risponde vincendo le prime dieci di campionato e lottando fino a primavera per il titolo con la Juventus. Ma la tranquillità sembra bandita da queste parti. Dopo la morte di Ciro Esposito appaiono all'Olimpico striscioni che vengono duramente criticati dal presidente. Pallotta definisce gli autori «fuckin' idiots». La colorita espressione sancisce la fine del rapporto anche con buona parte degli abituali frequentatori dello stadio.

A fine stagione, dopo un lungo contenzioso col vecchio sponsor tecnico e un anno di materiale autoprodotto, viene firmato un accordo decennale con il colosso americano Nike (rapporto interrotto in anticipo nelle scorse settimane). L'annata successiva però la squadra balbetta più del previsto, conquistando il secondo posto solo al fotofinish, sia pure grazie a una memorabile vittoria nel derby alla penultima giornata. Intanto il Campidoglio con l'amministrazione Marino dà il via libera al progetto stadio a Tor di Valle. Ma i problemi arrivano dal campo. Il legame con Garcia scricchiola già in estate e sfocia nel divorzio a fine girone d'andata: torna Spalletti, che rilancia gioco e interpreti con una spettacolare seconda parte. Tutto mentre la Sud si svuota per protesta contro l'istituzione delle famigerate barriere divisorie.

I dirigenti conducono una lunga battaglia per eliminare la misura repressiva, che sarà smantellata soltanto molti mesi dopo, durante la seconda annata spallettiana. Il tecnico toscano ha il suo da fare nello spogliatoio: i rapporti con Totti sono deteriorati, fino all'implosione. La stagione trascorre fra la tensione palpabile, sia pure chiusa con una piazza d'onore a soli 4 punti dalla vetta, ma a fine anno il Dieci dirà addio al calcio e Spalletti alla Roma. Alla direzione sportiva è arrivato da poco l'artefice dell'euro-Siviglia Monchi: la sua scelta per la panchina ricade su Di Francesco, che stenta in campionato ma compie una strepitosa cavalcata in Champions, che fra le altre cose spiana al club la strada per la partnership con un altro colosso: Qatar Airways. La maglia ha il suo main sponsor dopo cinque anni.

A inizio estate però il progetto stadio subisce un brusco stop. Il piano originario è già stato modificato in ossequio alla volontà della nuova amministrazione comunale, quando Parnasi viene arrestato. All'operazione giudiziaria la Roma è assolutamente estranea, come chiarisce fin da subito il pm. Ma tutto l'iter si blocca. Come fosse un riflesso condizionato, anche la squadra in campo balbetta, fino all'esonero di Di Francesco e alle dimissioni di Monchi. Si prospetta una nuova rivoluzione all'orizzonte, che diventa sanguinosa con la rinuncia a De Rossi e la tifoseria nuovamente in rivolta. La figura di riferimento societario diventa Fienga, arrivano Petrachi come ds e Fonseca in panchina. L'avventura del ds finisce male con la rottura alla fine del lockdown, quella del tecnico continua con il percorso di Europa League tutto da vivere. Il futuro è ancora americano con l'arrivo di Friedkin.

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