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Balazs Miseje, dall'est con amore: "Roma e fotografia le mie passioni"

Nato in Ungheria, tifa giallorosso fin da ragazzino e ama collezionare immagini della squadra della Capitale: "Il mio sito è un vero museo virtuale"

PUBBLICATO DA Chiara de Francesco
11 Maggio 2020 - 15:36

«Piacere sono Biagio, innamorato della Roma da ragazzino...allo stadio». Solo che Biagio in realtà si chiama Balazs, Balazs Miseje, ed è nato a Budapest, nel 1973. E segue la Roma dall' 87-88, la stagione del ritorno di Liedholm, di Voeller, il tedesco volante, e dell'ingaggio di Manfredonia, che spaccò in due la Curva Sud. Negli anni si è creato un colossale archivio di foto: le prime gare degli Anni Trenta e Quaranta, la Roma del dopoguerra, Amadei, Bernardini, Masetti... ci racconta tutto in italiano.

Innanzitutto complimenti per le foto, sono bellissime.
«Grazie. Ne ho tante, le sto scansionando tutte per metterle su un sito ungherese che parla della Roma. Si chiama semplicemente asroma.hu ed esiste da sedici anni. Ho collaborato scrivendo qualche articolo. È un vero museo virtuale e mi piacerebbe anche allegare un piccolo racconto sotto ogni foto. Dal 1927 si potrebbe guardare un film in pratica...».

Come è nata la tua passione?
«Sono venuto a Roma per la prima volta per uno scambio culturale tra scuole. Allo stadio è stato semplicemente un colpo di fulmine. Tornato a casa ho chiesto a mia madre di insegnarmi la lingua. Ho cominciato a comprarmi le prime riviste di calcio: La Roma e Supertifo tra tutte ma anche Rosso&Giallo e Giallorossi. Ho intere annate complete e quasi 150 libri. Poi sempre più viaggi nella Capitale, ci passavo anche 4 settimane, per vedere il maggior numero di partite ovviamente».

Tua madre conosce bene l'italiano?
«Lei è ungherese, ma è un'insegnante di italiano. Però è stato facile perfezionarlo anche grazie ai miei amici romani e romanisti».

E per le foto invece?
«Amo la fotografia da sempre, da quando sono nato. Mio padre e mio nonno lavoravano in tipografia e anche io ho seguito le loro orme. La stampa è sempre stata nel mio cuore. Dalla metà degli anni Novanta ho cominciato ad interessarmi anche alla storia della Roma, comprando tanti libri, andando ai mercatini e nei negozi di antiquariato. Mi piace trovare vecchie foto, capire di quale partita si tratti, riconoscere i giocatori, la maglia con cui scendevano in campo»

Un viaggio nel tempo...
«Certe foto le guardo per diversi minuti; il pubblico, l'erba, gli scarpini, il pallone...Mi viene la pelle d'oca».

Collezioni altro?
«A casa oltre alle foto ho tante scatole piene di articoli che parlano di Roma. Negli anni Novanta frequentavo le biblioteche di proposito. Ora è decisamente più facile con gli archivi online».

La tua prima foto che hai messo nella collezione?
«Ci dovrei pensare...Sicuramente era una foto degli anni Trenta, all'inizio cercavo soltanto quelle. Poi le ho amate tutte, quelle degli anni Cinquanta anche. Darei tutto per tornare indietro nel tempo e vedere una partita della Roma di quel periodo. La Roma del dopoguerra, quella dei film di Scola, Fellini, De Sica...».

Tu ami la Roma e Roma...
«All'Università in Ungheria, la mia tesi di laurea di italianistica l'ho scritta sul linguaggio romanesco di Giuseppe Gioacchino Belli...».

La tua foto preferita?
«Ce ne sono tante ma una è sicuramente quella della formazione del primo scudetto con gli autografi originali. Poi una che ritrae Arcadio Venturi con l'allenatore ungherese Sarosi. Una volta sono andato a trovarlo a Vignola, abbiamo parlato per ore della Roma e dei suoi ricordi, definì Sarosi come il suo vero maestro».

Ti ha raccontato altri aneddoti?
«Secondo Venturi lui sapeva per prima cosa insegnare il calcio, era molto preparato ed era una bravissima persona, un uomo di cuore. Durante una trasferta giocata a Bergamo (probabilmente quella del 10 maggio 1956) vicino all'albergo che li aveva ospitati trovar no un cane randagio e si preoccupò lui stesso di trovargli a tutti i costi un padrone prima di ripartire».

La Roma e l'Ungheria hanno intrecciato spesso le loro storie...
«Ovviamente cerco anche le testimonianze e i ricordi ungheresi; allenatori, giocatori e partite contro squadre della mia terra. Ci sono molte prime volte nella storia della Roma che c'entrano in qualche modo con l'Ungheria: prima partita in assoluto contro gli ungheresi dell'Ujpest e primo gol vittoria di Heger, anche lui ungherese. Prima partita della Nazionale italiana a Roma contro l'Ungheria nel 1928 e nel 1953 prima all'Olimpico contro l'Ungheria. Primo scudetto della Roma con Shaffer in panchina. Prima sconfitta a Campo Testaccio contro il III.Kerulet. L'allenatore più giovane? Baàr Jànos. Purtroppo c'è anche la sconfitta più sonora...Ferencvaros-Roma 8-0. Ma ho un debole per una partita in particolare: Roma-Honved del 1956, giocata poco dopo la rivoluzione».

Quanto tempo sei rimasto a Roma nello scambio tra scuole? E La tua prima partita?
«La prima volta solo una settimana. La partita dell'esordio è stata Roma–Empoli, il 20 marzo del 1988, gol di Giannini. La sciarpa al collo, un'emozione davvero unica, da lì non ho mai smesso di tifare. Ogni estate lavoravo due mesi per avere i soldi necessari per tornare. Aspettavo il sorteggio per decidere la data con più partite...».

La Roma del Flaminio?
«Ho bellissimi ricordi di quella stagione, con gli spettatori vicino al campo. Quando è successo il caso di Antonio De Falchi ero a Roma, ho visto la prima partita dopo la sua morte, Roma-Fiorentina, allo stadio Flaminio. Per anni portavo la sua foto nel portafoglio».

Andavi in curva?

«Spesso sì. Poi negli anni Novanta e nei primi Duemila anche con il biglietto di un altro settore ci entravi lo stesso, non c'erano i controlli come ora. Per le partite di Coppa compravo semplicemente il biglietto della Curva Sud».

E ora?

«Non vengo più dal triste caso di Gabriele Sandri. I divieti e le varie tessere mi hanno un po' allontanato, dovrei accettare troppi compromessi, ma la Roma rimane una passione unica. Mi piacerebbe tornare però, perché la passione non finisce. Al gol di Dzeko a Londra o a quello di Manolas contro il Barcellona ho pianto di gioia per venti minuti di seguito».

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