Andrea Leone: «Friedkin c'è ancora, ma le cifre andranno riviste»
Il figlio del grande Sergio conosce bene la famiglia dell’imprenditore: «Prima del virus Ryan diceva che l’affare era concluso e che presto sarebbe stato a Roma»
Trentuno anni fa, oggi, ci salutava Sergio Leone. Ovvero uno dei più grandi uomini di cinema di sempre, regista di indimenticabili capolavori, "C'era una volta in America" su tutti, autore che ha fatto impallidire gli americani nel genere western firmando eterni capolavori, personaggio che insieme a Ennio Morricone ha formato una coppia che di diritto è entrata nella storia del cinema. Con Morricone Sergio Leone faceva coppia sul set e fuori, in particolare anche allo stadio Olimpico quando giocava la Roma. Ci andavano insieme alle famiglie a tifare giallorosso, una passione che accomunava tutti i componenti delle rispettive famiglie, anche se Carlo Verdone, in tempi recenti, ha dichiarato che Sergio Leone aveva una simpatia per la Lazio piuttosto che per i colori giallorossi. Dichiarazione che ha lasciato di stucco il figlio del regista, Andrea, pure lui uomo di cinema, tifosissimo della Roma, produttore e distributore di successo di film di qualità. E pure amico, per ovvi motivi di lavoro, della famiglia Friedkin, che nonostante tutto quello che sta succedendo non ha abbandonato l'idea di acquistare il club giallorosso.
Andrea, cominciamo da papà. Trentuno anni fa ci ha salutato, lasciandoci straordinari capolavori cinematografici. Ci sembra doveroso un ricordo.
«Per prima cosa voglio ringraziarvi per la vostra idea di voler ricordare mio padre. È stato un grande uomo di cinema e non lo dico perché sono il figlio ma perché i suoi film lo stanno a testimoniare. Ci ha lasciato le sue opere che hanno avuto riconoscimenti in tutto il mondo. C'è Clint Eastwood, per esempio, che ancora oggi, appena ne ha la possibilità, ha il piacere di ricordare papà. È una cosa che mi fa un enorme piacere».
Chissà che film penserebbe per fotografare la drammatica situazione che stiamo vivendo.
«Credo che sicuramente questa pandemia darà spunto a letteratura, cinema, televisione. Penso che pure papà ci avrebbe pensato e se avesse deciso di farne un film, avrebbe fatto una grande opera».
A proposito di cinema. Si parla, giustamente, di tanti settori in sofferenza: si discute poco, al contrario, delle difficoltà con cui si sta confrontando il mondo del cinema e dello spettacolo in generale.
«È così. E noi temo che saremo gli ultimi a ripartire. Oggi i cinema e i teatri sono chiusi e non si sa quando potranno essere riaperti. La situazione è molto complicata e non si vede la luce in fondo al tunnel. Noi come casa di produzione continuiamo a lavorare per le piattaforme televisive. Per il reso non ci resta che attendere sperando che ci sia un po' di sensibilità anche nei confronti di un settore che garantisce migliaia di posti di lavoro».
Tu, Andrea, come stai vivendo questa situazione?
«Come tutti. Chiuso in casa con le mie due figlie e questa è una cosa che mi fa piacere. Per il resto non possiamo che seguire le direttive che ci sono state date sperando che piano piano si possa tornare alla normalità».
Tornando a papà, recentemente Carlo Verdone ha dichiarato che Sergio Leone era un tifoso della Lazio.
«È una favola e per me un'offesa grave».
Addirittura.
«Io non so perché Carlo abbia detto questa cosa. Ci sono però i miei ricordi di figlio. Io con tutta la famiglia all'Olimpico, io piccolo in trasferta con mamma e papà, tutti noi con la famiglia Morricone allo stadio. È vero che la tifosa più passionale di casa era mamma, papà non aveva la stessa passione per il calcio, ma per amore fu sempre più coinvolto dalla Roma».
Come giudichi il comportamento del mondo calcio in questo drammatico momento?
«Male. Al punto che posso dire di essermi un po' disamorato del calcio, certo non della Roma. Hanno capito poco di quello che sta vivendo la gente, dimostrando sempre di pensare ai loro interessi. E facendo così non si sono resi conto che il rischio sarà quello di meno gente interessata al calcio. Non è da escludere che ne pagheranno le conseguenze anche in futuro».
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Meglio, insomma, non riprendere il campionato.
«Io dico semplicemente che la cosa migliore da fare è quella di pensare alla salute della gente. Ci sono state già decine di migliaia di morti, evitiamo che ci sia un novo rialzo dei contagi. Per tornare a emozionarci per una partita di calcio ci sarà tempo. Non posso negare che a me la Roma manca, ma in questo momento credo che le priorità siano altre».
La Roma fino a poche settimane fa sembrava sul punto di cambiare proprietario. Da un americano all'altro, invece si è stoppato tutto. Tu, anche per motivi di lavoro, conosci bene i Friedkin.
«Vero. Mio nipote è molto amico di Ryan, il figlio di Dan. Ho sentito Ryan proprio pochi giorni che scoppiasse questa maledetta pandemia».
E Ryan cosa diceva?
«Che l'affare era concluso e che presto sarebbe stato a Roma per cominciare il rilancio della nostra squadra. Purtroppo è successo quello che è successo».
Pensi che abbiano desistito dall'idea di acquistare il club giallorosso?
«Non lo so ma non credo. Certo che le condizioni che erano state concordate in precedenza per l'acquisto, credo una cifra intorno ai settecento milioni di dollari, dovranno essere riviste. Del resto da questa pandemia, usciremo tutti più poveri, compresi pure i ricchi. Certo è che una squadra più sfortunata della Roma non credo esista al mondo».
Che vuoi dire?
«Sento tanto parlare di squadre sfortunate a causa di questo stop. Ma è la Roma la società più danneggiata da questo maledetto coronavirus. Stava cambiando di proprietà e stava finendo nelle mani di un grande gruppo. Non è la prima volta che succede».
A cosa ti riferisci?
«È la terza volta che succede. Prima con il fondo di Soros, poi con i russi, adesso con Friedkin. Non so cosa la Roma abbia fatto di male, ma certo dopo quella finale con il Liverpool del trenta maggio del 1984 siamo andati sulle scatole a qualcuno, altrimenti non si spiega».
Pensi che Friedkin possa ancora acquistarla?
«Non lo escludo. Ma i numeri dovranno essere rivisti anche perché pure il gruppo più ricco al mondo non è che investa settecento milioni di dollari in un momento difficile come questo».
Andrea, forza Roma.
«Sempre»
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