Battendo il tempo
Riemerge un paio di pantaloncini giallorossi marca Patrick. E la Roma ti riporta alla mente quegli anni, uno zio che non c’è più, la felicità di un bambino
Avete presente uno di quegli scatoloni pieni di ricordi che spesso ammuffiscono nel garage o dentro qualche soppalco? Uno di quelli che le persone che ti vivono accanto vorrebbero, da una vita, buttar via per liberare spazio o anche, solamente, per la soddisfazione di non ritrovarselo più tra i piedi.
Ecco... il mio, di scatolone, l'ho aperto ieri.
Ed è stato bellissimo. Bellissimo perché tutto quello che ne è uscito fuori ha ricostruito un pezzo della mia infanzia e m'ha riportato, tra suggestioni e prese di coscienza, ai momenti in cui le giornate iniziavano la mattina con il bacio di mia madre e finivano con il film della prima serata perché all'epoca, e lo dico con cognizione di causa visto che da cinque anni ceno – giocoforza – guardando cartoni animati, il telecomando lo tenevano i genitori e non i figli.
Aprendo quella scatola ho rincontrato i Playmobil con il recinto della fattoria e lo sceriffo a cui avevo mordicchiato la punta del fucile. Tre squadre del Subbuteo che all'epoca era impensabile non avere: l'Argentinos Junior, il Brasile e, naturalmente, la ROMA. Con, manco a dirlo, il numero sette di Bruno Conti disegnato con un pennarello dietro la maglia dell'omino più basso. Più basso perché, e lo sa bene chi ha passato tante ore della sua vita piegato su quel meraviglioso panno verde, era stato inavvertitamente schiacciato con il ginocchio e rincollato, alla meno peggio, squagliandogli le gambe con l'accendino.
E poi un piccolo proiettore a mano da cui, quasi spiando, si vedeva un breve filmato di Goldrake. Ed il pupazzo di gomma dell'incredibile Hulk. Lui, poveraccio, senza un piede. Chissà... forse una mina.
Tutto questo e molto altro.
Ma, soprattutto, un meraviglioso paio di pantaloncini della Patrick: un colpo al cuore. E non solo perché mi hanno dato il pretesto per ricordare chi me li avesse regalati – uno zio a cui ho voluto molto bene e che, da troppo, non c'è più – ma anche, e soprattutto, perché mi hanno emozionato alla stessa maniera di quando, insieme alla maglia, mi erano stati regalati.
Quel giorno, lo ricordo come fosse ora, ero in macchina e aperta quella scatola mi venne spontaneo portarmi alle labbra il lupetto per baciarlo. Perché quel lupetto era la ROMA. E quel bacio, istintivo e senza filtri come solamente i ragazzini sanno fare, una dichiarazione d'amore senza tempo.
Ah, la sapete una cosa? Quel completo non me lo tolsi per quarantott'ore.
Proprio così: due giornate con il completo della ROMA. Due giornate con la ROMA addosso. Per questo si dice «Felice come un bambino»: perché i bambini non hanno il timore di dimostrare i propri stati d'animo. Sono tristi? Piangono. Sono felici? Sorridono.
E quel completo della felicità ne era il manifesto perché questa squadra quando ti scoppia dentro non ha neanche bisogno di scendere in campo per sconquassarti l'anima. Le bastano i colori. Quelli che ti accompagnano nella crescita e che non mollerai neanche quando inizierai ad invecchiare.
Anche per questo la chiamiamo Magica.
Perché non ha paura del tempo. Perché ti preserva dalle circostanze, e così te a lei. Un patto, implicito, per mantenersi al riparo dalla malinconia del passato. Sì, ancorati a quello che è stato ma già proiettati al futuro: sempre. E sempre con la stessa passione. Quella di quando scartavo quel completo e quella di oggi nel ritrovarmelo davanti.
A proposito… ma chi mi ha fregato la maglia?!?
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