Carboni: «La Roma ha identità. Il gap con le spagnole non è questione economica»
Intervista all'ex terzino giallorosso che compie oggi 53 anni. Oggi lavora nella ristrutturazione degli stadi e vuole entrare nel mercato italiano
Ha portato la fascia da capitano della Roma nel '96-'97, Amedeo Carboni, e la Roma, con cui ha giocato per sette stagioni (186 presenze e 3 reti), gli è rimasta nel cuore, anzi «vivendo all'estero ci si sente più italiani» e nel suo caso «ancor più romanista». Arrivato nella capitale nell'estate del 1990 dalla Sampdoria, tra i protagonisti della Roma di Ottavio Bianchi (con cui ha conquistato nel 1990-91 la Coppa Italia ed è arrivato anche in finale di Coppa Uefa), Carboni compie oggi 53 anni. È rimasto nel calcio, facendo base in Spagna, osserva calciatori e si occupa di ristrutturare gli stadi spagnoli (Levante, Valencia, Siviglia, Betis, Wanda Metropolitano, tra gli altri) con la Molcaworld, per la quale l'ex terzino è project manager Italia: «Sono stato anche a Roma, per il nuovo impianto, sono venuto a presentarmi, stiamo cercando di entrare anche nel mercato italiano, vedremo...». E comunque sul calcio italiano è preparatissimo e in particolare segue «con grande affetto» la squadra giallorossa. Ha «sofferto» durante la gara del Camp Nou, «dove meritavamo sicuramente di più».
Sfortuna, arbitro, forza del Barcellona o errori individuali dei giocatori della Roma. Qual è stato il fattore determinante nell'andata dei quarti?
«Un insieme di cose. Il fatto che hai di fronte una squadra che non ti permette di sbagliare mai altrimenti ti castiga sicuramente non ha aiutato. Anche l'arbitro ha lasciato più di un dubbio, sicuramente. Il fatto che alla fine tu "hai fatto" tre gol complessivi è un altro fattore negativo. Non ho visto questa supremazia del Barça, la Roma ha difeso benissimo con la linea alta. Questo li ha messi in crisi. È mancato l'ultimo passaggio ai giallorossi, se fosse finita 4-2 nessuno avrebbe detto niente».
Discorso chiuso per il ritorno.
«Con un gol in più sarebbe stato forse diverso, non si sa mai nel calcio, la speranza è l'ultima a morire. È vero che loro sono più abituati a questo tipo di partite e che giocano a volte meglio in trasferta che in casa, per la forma di gioco che hanno. Il Barcellona mi è sembrato lento, per bravura della Roma anche. A parte quando si accendevano Messi, o Jordi Alba, o Suarez. Ma non sono stati continui. Quando si arriva alle fasi finali, purtroppo, sono i piccoli dettagli a fare la differenza».
L'Italia esce dall'andata dei quarti di Champions con le ossa rotte nel confronto con la Spagna. La distanza è incolmabile al momento?
«Io non sono convinto che il problema sia economico. La questione dei budget è un vantaggio per certe società, ma tanto i Messi e i Ronaldo giocheranno sempre per i top club. Ma sono cinque o sei i fuoriclasse assoluti, poi bisogna cercare. Esiste il miracolo Leicester, o il mio Valencia, con cui ho fatto due finali di Champions. Bisogna individuare il giocatore giusto che in una squadra come la Roma magari esprime il 110% e in un Barcellona, oppresso dalla concorrenza, esprime l'80%. Gli spagnoli hanno lavorato meglio su questi aspetti».
A proposito di budget limitati e di percorsi virtuosi. La strada intrapresa dalla Roma, con Monchi e Di Francesco, le sembra quella giusta?
«Purtroppo lo sapremo solo col tempo, fra due o tre anni. L'importante è che ciò che è stato fatto sia stato pensato. Il risultato è fondamentale, sia allenatore che direttore sportivo hanno dei precedenti: il tecnico ha dato un'identità alla squadra, che gioca bene, non si rinchiude mai, ha mentalità; Monchi ha un curriculum importante, anche se viene da un paese differente, ma oggi il calcio è globale e quindi non importa dove lavori, ma come».
Lei ha fatto tante volte su e giù sulla fascia della Roma. Che idea si è fatto di Luca Pellegrini, che sembra prossimo a un rinnovo importante con la Roma, pur non avendo ancora presenze tra i professionisti?
«Purtroppo il calcio di oggi comporta che ci siano molti più giovani che guadagnano sempre di più con più responsabilità e mancano dal punto di vista del carattere. Oggi si comprano ragazzi di dodici anni a un milione, questa è l'evoluzione del calcio. Per Pellegrini dipenderà molto dall'intelligenza del giocatore, che sembra molto interessante, speriamo sia all'altezza. Il mercato non lascia spazio alle prove, al tempo per costruire un giocatore giovane, è tutto rapido e competitivo».
Può essere una scelta logica affiancare Pellegrini a Kolarov (e viceversa)?
«Sicuramente creare la coppia ha una logica, come sempre in qualsiasi competizione il primo avversario è il tuo compagno di squadra ed è una cosa che ogni giocatore deve saper gestire questo aspetto».
Come finirà la stagione della Roma?
«Per fortuna non ci sono più i preliminari per la Champions, mi sembra che l'obiettivo di stagione sia del tutto alla portata, cioè tornare nella massima competizione continentale».
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