Monchi: "Lavoriamo per dare ai tifosi della Roma ciò che meritano"
Il ds giallorosso si racconta in una lunga intervista a Fox Sports: "Il risultato economico è importante, ma se non viene unito ad uno sportivo non ha alcun valore"
Il direttore sportivo giallorosso è stato protagonista di uno speciale realizzato da Fox Sports e intitolato "Filosofia Monchi". Un'intervista a tutto campo, in cui lo spagnolo si è raccontato a 360 gradi, dagli anni a Siviglia, in cui ha iniziato la sua carriera come ds e talent-scout, fino all'approdo alla Roma. Queste le parole di Monchi:
Lei è uomo di pensiero: come si allena il pensiero? Cosa legge, cosa guarda?
"Bella domanda. Il pensiero si alimenta e si allena. Leggo libri fondamentalmente, guardo serie tv storiche e leggo i giornali. Ricordo sempre il primo giorno come direttore sportivo, il consiglio che mi diede il responsabile del settore giovanile del Siviglia che mi disse: 'Tutte le mattine, prima di cominciare a lavorare, devi leggere la stampa sportiva"."
Lei si sveglia la mattina e legge subito i giornali? Quanti ne legge, e di che nazionalità?
"Prima di tutto vado in palestra, che per me è fondamentale: la prima cosa che faccio una volta arrivato a Trigoria, più o meno alle sette di mattina, è andare in palestra. Perché è un altro tipo di allenamento, più corporale, ma anche mentale. È un modo per buttare fuori tutta la pressione e lo stress: è qualcosa di cui ho continuamente bisogno. Subito dopo leggo i giornali, soprattutto quelli italiani e spagnoli. Dedico 35/40 minuti per aggiornarmi e prepararmi alla giornata."
In due mesi c'è stato il suo saluto a Siviglia e poi quello di Totti alla Roma...
"Sono immagini che non avrei neanche bisogno di vedere perché le ho ben incise nella mente ma soprattutto nel cuore. Sarò per sempre riconoscente per questo addio e soprattutto per l'affetto che ho avuto durante gli anni in cui sono stato lì come giocatore e come direttore sportivo. E' stato un giorno incredibilmente speciale, inimmaginabile."
Quel giorno indossava la maglia di Puerta...
"Era un semplice omaggio ad Antonio, per tutto quello che ha significato. La storia più gloriosa, e recente, del Siviglia nasce da un suo gol contro lo Schalke, che disgraziatamente lui non ha potuto vivere a pieno a causa della sua scomparsa. Pertanto era qualcosa che mi sarebbe piaciuto condividere con lui questo giorno."
Colpisce molto il suo bacio al terreno, nel giorno dell'addio...
"Il centro nevralgico del Siviglia, ringraziando tutti. Ebbe un po' un significato simbolico, non potendo dare un bacio ad ognuno di loro."
Poi passa davanti ai trofei, perché lei dice spesso che "non si è mai visto il pubblico applaudire un bilancio"...
"I tifosi delle squadre, del Siviglia, della Roma e qualsiasi altra squadra, vogliono ottenere successi. Dico sempre che il risultato economico è importante ma se non viene unito ad uno sportivo non ha alcun valore."
Immagino fosse molto corteggiato: cosa l'ha portata a scegliere la Roma?
"Avevo ben chiaro che se avessi avuto l'opportunità di continuare a lavorare avrei dovuto continuare ad essere Monchi. Con la Roma, ascoltando la loro proposta, arrivai alla conclusione che era ciò che più si avvicinava a ciò che io avevo in mente."
Anche il direttore sportivo deve essere inserito in una squadra che ne esalti le doti...
"Io mi sento speciale, probabilmente avevo bisogno di una squadra che fosse convinta di acquistare un direttore sportivo ma anche la persona, perché secondo me, nel mio lavoro, la persona è di uguale importanza al direttore sportivo."
E' vero che decise di interrompere un provino con il Real Madrid perché doveva giocare un match importante con il San Fernando, la squadra della sua città...
"È vero, nel 1988: io giocavo nel San Fernando, la squadra del mio paese e ci giocavamo la promozione in Segunda B (Serie C). Ebbi l'opportunità di fare un provino per il Real Madrid. Io non ero molto convinto di andare ma una volta lì feci il provino. (Passò) martedì, mercoledì, però giovedì dissi che dovevo andar via perché il sabato avremmo giocato a Montilla, vicino a Cadice, e me ne sono andato. In quel momento pensai che fosse più importante difendere la squadra della mia città che si stava giocando qualcosa di importante piuttosto che il mio interesse personale. Il lunedì successivo mi chiamò il Siviglia per mettermi sotto contratto, senza fare alcun tipo di provino e lì firmai per il Siviglia."
A Siviglia ha incontrato Maradona, con il quale andava a passeggiare la mattina presto, perché lui non poteva uscire ad un orario normale...
"La nostra relazione si costruì in queste passeggiate mattutine. Quando viaggiavamo, lui non poteva uscire, come hai detto anche tu, in orari normali, quindi usciva nelle prime ore del mattino e io che generalmente dormo poco andavo con lui, un po' per accompagnarlo e tanto per egoismo diciamo, per potere ascoltare Maradona raccontare storie e aneddoti che per me erano autentiche possibilità per conoscere il miglior giocatore del mondo."
Dorme poco?
"Sì, dormo cinque ore, sei, non di più. Non mi piace tanto, vado a letto presto e mi sveglio presto. Credo che si debba dormire il necessario; il tempo in cui si dorme, è tempo che si perde per fare altro e a me piace godermi la vita."
L'altra figura-chiave è Carlos Bilardo: ho letto che l'ha ispirata molto. Quale è stata la calamita che l'ha attirata?
"A me un modo di pensare che mi ha affascinato di Carlos era dare importanza alle piccole cose: Carlos era una persona quasi ossessionata dal tenere tutto sotto controllo e non affidare nulla alla sorte e anche io mi sento così."
Vorrei farle vedere la sua foto quando era ancora un portiere...
"Sfortunatamente, o per fortuna, sono ricordato più per la mia carriera di direttore sportivo che per quella da portiere. Dentro di me, però, mi sento molto più orgoglioso di questo, della mia carriera da portiere, perché lì si riflette il sogno di un bambino di tre anni che giocava per strada e questo è il risultato finale."
Abbiamo provato a stilare la formazione delle sue plusvalenze: in porta c'è lei. Chi più di tutti però le ha dato soddisfazione? Quello che viene citato più spesso è Dani Alves...
"Dani Alves rispecchia un po' la filosofia di lavoro che mi identifica di più: acquistare un giocatore semisconosciuto al momento, avere la pazienza che si adatti al gioco di una squadra europea, fare in modo che il suo rendimento aiuti a ottenere grandi risultati e successivamente generare una plusvalenza importante. Questo l'esempio di lavoro perfetto. La filosofia di lavoro del Siviglia era generare la plusvalenza necessaria per avere un organico superiore alle proprie reali possibilità e con questo competere al massimo livello."
Qual è il processo che porta alla scelta di un giocatore? Qual è il rapporto tra l'occhio e il lavoro di un computer?
"Oggi, nella scelta di un giocatore è un mix tra i dati del computer e l'occhio. La scelta finale deve sempre avere un'ultima fase, che è la visione del giocatore. Oggi però, dove tutte le squadre hanno la possibilità di ottenere tutti i giocatori del mondo, il tempo è fondamentale, anticipare le altre squadre è fondamentale e per loro l'utilizzo del big data, l'intelligenza artificiale, per me è la chiave."
Voi andate a cercare i giocatori avendo in testa un determinato modo di giocare...
"Questa è la chiave, però c'è anche una fase nella quale non ci si può sbagliare, che è sapere il profilo del giocatore di cui ha bisogno la squadra e di cui l'allenatore ha bisogno. Nella relazione tra allenatore e direttore sportivo, la capacità di quest'ultimo di captare cosa ha bisogno l'allenatore per il suo sistema, risiede l'80/90% della riuscita dell'acquisto del giocatore."
Lei ha detto che il contatto umano è fondamentale nel ridurre le possibilità di errore quando si fa un acquisto...
"Io ho una teoria che mantengo, non so se giusta o sbagliata: non possiamo dimenticarci che il giocatore è un giocatore ma anche una persona. Il giocatore difficilmente dimentica di giocare a calcio: se ha qualità quella rimane, il problema è la persona. Alcune volte dimentichiamo che il rendimento del giocatore non ha nulla a che vedere con il giocatore ma con la persona che sta dietro il giocatore. Pertanto dobbiamo provare a conoscere, più rapidamente possibile, questa persona per poter attuare, sotto tutti i punti di vista, direttamente, i presupposti necessari per la felicità. Perché se arriviamo alla persona e siamo capaci di renderla felice, il giocatore giocherà meglio. La virtù della società e della squadra deve essere quella di accorciare i tempi di inserimento e adattamento."
Quindi lei è stato fortunato quando Rakitic ha trovato una fidanzata andalusa...
"Questo rientra nel fattore fortuna, esiste anche quella"
Immagino che lei conoscesse Di Francesco perché quando ha visto il Sassuolo le si è accesa una lampadina, no?
"Sì, è cosi. Eusebio, non solo a me come direttore sportivo ma sicuramente anche a tanti altri, cominciò a richiamare l'attenzione una volta che il Sassuolo cominciava a fare grandi cose ed era un allenatore che prima di pensare che potesse venire alla Roma, avevo notato e la sua era una squadra che uno seguiva."
Come va l'ambientamento a Roma?
"Bene, ho scoperto che anche Monchi doveva cambiare, per adattarsi ad una nuova situazione. Adesso sono contento per l'accoglienza e la fiducia che mi è stata data dalla società."
Su Under:
"Giovane, prima volta che lascia il suo paese, lingua e cultura differenti, tutto questo aveva bisogno di tempo. E credo che nella gestione di questo tempo l'allenatore è stato fondamentale, perché ha saputo dargli, in ogni momento, tutto quello di cui Cengiz aveva bisogno, né meno né più, il giusto. Successivamente anche il giocatore ci ha messo del suo, perché è cresciuto; è un ragazzo introverso che poco a poco si è aperto e credo che siamo sulla strada giusta."
Lei sa che viene dopo Sabatini, il quale disse che Totti "è il sole sui tetti di Roma"...
"Francesco ha una capacità, un raggio d'azione e di influenza e una credibilità così grandi che la Roma le deve sicuramente utilizzare. Sarebbe assurdo, avendo un supereroe, non utilizzare i suoi poteri e Francesco è un supereroe.
Sul nuovo stadio:
"Credo che per la crescita futura della società, la possibilità di avere un proprio stadio è fondamentale. La capacità di generare incassi che un nuovo stadio evidentemente presuppone, farà in modo che vengano reinvestiti per diventare una società più moderna e soprattutto più potente. Questo è il nostro pane quotidiano, come si dice in Spagna, l'eterna discussione se si vende tanto o meno. La Roma vende, quasi tutte le squadre del mondo vendono; l'ho già detto tante volte, non si vende perché si vuole vendere ma perché ci sono delle norme da rispettare che ti obbligano a far quadrare il bilancio e generare una plusvalenza per poter avere un organico di alto livello. E' lo stesso discorso che facevo a Siviglia e lo so a memoria."
Avete una chat con il suo staff?
"Sì, abbiamo una chat dove siamo tutti gli scout e i membri della direzione sportiva."
Usa Spotify?
"No, sono una persona particolare. Ascolto una musica della mia città, di Cadice, che è del carnevale. La ascolto attraverso YouTube o scaricandomi direttamente le canzoni."
Può andare a cena con tre persone che non ha mai conosciuto: chi sceglie?
"Difficile. Andrei possibilmente con Gesù Cristo, con un politico importante e con uno storico. A me piace molto la storia, la politica e sono molto cattolico, per questo scelgo queste tre persone."
C'è stato un momento della sua vita in cui ha pensato che il lavoro fosse troppo?
"Sì, molti, soprattutto per il tempo che mi toglie da due valori per me importantissimi: la famiglia e gli amici. E' forse la parte più negativa, non avere il tempo necessario per stare con loro, la parte più dura."
Se chiude gli occhi, cosa immagina per il futuro della Roma?
"Credo che l'obiettivo per il quale lavoriamo alla Roma deve essere quello di dare al tifoso ciò che merita, farlo sentire orgoglioso non solo per essere romanista, che è ciò che sente ma anche per quello che si raggiunge a livello sportivo. Però più che un titolo, la stabilità del successo. Che il tifoso della Roma capisca che vincere un titolo non è una prodezza incredibile ma qualcosa a cui la squadra possa ambire in maniera quotidiana."
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