Il Mondo in Giallo e Rosso, Dino Viola lo voleva con Eriksson
Quanti incroci tra l'allenatore scomparso ieri e la Roma. Dalla sfida con Bet, al Napoli-Roma del 2001. E c'era lui in panchina alla prima gara raccontata da Il Romanista
All'età di 71 anni si è spento a Milano Emiliano Mondonico, dopo aver lottato contro il cancro. Nato il 9 marzo del 1947 a Rivolta d'Adda (Cremona). Nella carriera da allenatore viene ricordato soprattutto per i trascorsi con Cremonese, Atalanta e Torino (con i granata ha vinto una Coppa Italia e perso una finale di Coppa Uefa contro l'Ajax). Ha guidato anche Como, Cosenza, Napoli, Fiorentina, Albinoleffe e Novara. I funerali ci saranno domani (ore 10) a Rivolta d'Adda. Non è prevista camera ardente aperta al pubblico.
La prima volta in cui le strade della Roma e di Emiliano Mondonico si sono incrociate risale al 22 marzo 1970. Era il secondo (su due) campionato di Serie A per colui che poi ha fatto molta più strada nel calcio come allenatore, e che era un'ala di belle speranze acquistato dalla Cremonese ma che faticava a trovare spazio. Trovò spazio quel giorno, come altri giovani in quella partita, perché sia il Torino sia la Roma, che occupavano tranquille posizioni di media classifica, erano attese da partite ben più importanti. La Roma pochi giorni dopo nella semifinale di Coppa delle Coppe avrebbe ospitato il Gornik Zabre in quella che ancora non sapeva sarebbe stata solo la prima di tre drammatiche partite. Il Torino, invece, era atteso alla terza di tre non meno drammatiche partite con l'Inter, per i quarti di finale di Coppa Italia, costretto quindi allo spareggio (che avrebbe vinto senza bisogno della monetina). Largo ai giovani, allora, in quella partita al Comunale. Non va molto bene, però. «Non si può onestamente dire - scrive Giorgio Tosatti sul Corriere dello Sport - che Quadri, Braglia e Mondonico abbiano entusiasmato». Mondonico si becca un bel 5 in pagella, «annullato da Bet», si legge. Il quale Bet, interpellato a fine partita, lo liquida così: «Mondonico è bravino, ma io l'ho sempre anticipato. Se non gli dai spazio, si perde nei suoi stessi tentativi di dribbling». La partita finisce 0-0, è la Roma a giocare meglio ma Ginulfi ad evitare la beffa nel finale. Finisce, pochi mesi dopo, anche l'avventura al Torino di un Emiliano Mondonico che di certo non sapeva che sarebbe tornato granata per ben due volte in carriera, anche se da allenatore. Così come sarebbe tornato alla Cremonese, sia da giocatore sia da allenatore, anche lì due volte. E pure l'Atalanta non ha mancato di richiamarlo, dopo il primo triennio 1987-90, per riaverlo al suo servizio dal 1994 al 1998. Se chiunque ti ha avuto ti richiama, lo ha fatto anche l'Albinoleffe, vuol dire che sei uno che sa lasciare un segno.
Che Emiliano Mondonico fosse destinato a lasciare un segno come allenatore era già più di un sospetto il 23 dicembre 1984, quando torna a sfidare la Roma da allenatore della Cremonese. L'ha riportata in Serie A l'anno prima, attirando l'attenzione non solo per i gol di un giovane Gianluca Vialli, ma anche per il gioco della sua squadra. Sì, perché, anche se sembra difficile crederci, nel 1984 Emiliano Mondonico è considerato un tecnico moderno, quasi un innovatore. Lo si può capire andandosi a rileggere il post-partita di quella gara, vinta dalla Roma per 3-2, soffrendo contro la formazione grigiorossa che era ultima in classifica. Avanti 2-0, la Roma si fa riprendere nel giro di tre minuti e viene salvata solo da un gol di Pruzzo nel finale. Tancredi è il migliore in campo e questo già dice molto almeno sulla produzione offensiva della Cremonese. «Ci mancavano quattro titolari - dice il presidente Luzzara negli spogliatoi - e alcuni sono scesi in campo malandati eppure abbiamo fatto bella figura. Quanto è bravo Mondonico». E mentre dice queste parole esce dagli spogliatoi il tecnico cremonese. Anche lui sorride, come al solito cordiale con i cronisti: «Doveva essere una partita di routine, ossia che dovevamo perdere. Invece ora c'è il rammarico di come sono andate le cose. Siamo riusciti a tener testa alla Roma, siamo stati a un passo dal portare a casa almeno un punto. Purtroppo abbiamo anche sbagliato: di occasioni da gol ne abbiamo create parecchie ma la Roma, via lasciatemelo dire, è stata più fortunata di noi nelle conclusioni». Tanto gioco, pochi gol, chiedono dalla sala stampa. Perché? «Non lo so, ce lo siamo chiesti. L'importante però è essere lì, pronti ad arrivare al tiro».
Alcuni dettagli sono rivelatori. Il suo modo di porsi, intanto: molto più disposto a parlare con i cronisti di tanti bravi suoi colleghi di provincia e dotato di un eloquio e di una cultura che spicca, già basterebbe questo per colpire. Lui però lo fa anche con il suo gioco. La sua Cremonese piace a tutti, i giocatori corrono tanto, cambiano spesso ruolo perché si allenano anche in ruoli diversi da quelli naturali e cercano le verticalizzazioni appena possono. «La Cremonese è la squadra che gioca meglio» dice a fine partita Roberto Pruzzo. Sugli spalti c'è anche un cuore rossonero, che però è nato a Cremona e quindi quando può segue con attenzione la squadra della sua città. «Si dovrebbe istituire una classifica speciale per chi attua il gioco migliore: la Cremonese sarebbe sicuramente ai primi posti!». Parola di Ugo Tognazzi.
Non è affatto strano, quindi, che Dino Viola in quel 1984 avesse pensato proprio a Emiliano Mondonico per la panchina della Roma. Sì, perché colui che già da tempo era stato scelto per allenare la Roma, Sven Goran Eriksson, secondo le regole dell'epoca non avrebbe potuto andare in panchina. Anzi, non si sarebbe potuto definire neanche "allenatore", infatti nei quadri societari avrebbe figurato come direttore tecnico. Il presidente aveva quindi bisogno di un tecnico che potesse sedersi in panchina, oltre che accelerare l'ambientamento in Italia del tecnico svedese. «Viola mi voleva parlare - ha raccontato due anni fa lo stesso Mondonico a Roma Radio - quando io stavo ancora finendo il campionato di Serie B con la Cremonese. Presi il treno e andai a Roma a casa sua. Commisi un errore: ero vestito Versace, ma ero un po' campagnolo, lui era un signore di classe... Il mio ruolo comunque sarebbe stato quello di aiutare Eriksson ad integrarsi nel calcio italiano. Avevo però perplessità sul ruolo da secondo allenatore, quindi ho preferito declinare la proposta». Suo, insomma, sarebbe stato il ruolo poi affidato a Roberto Clagluna. Curioso poi come sia stato simile, al di là del diverso livello di squadre allenate, il percorso di Mondonico ed Eriksson. Anche lo svedese infatti, e anche per lui a dirlo ora sembra strano, era considerato un innovatore, se non addirittura una specie di profeta del calcio totale. Il suo Goteborg e il suo Benfica avevano rubato gli occhi a tutta Europa e proprio il modo in cui il Benfica aveva messo sotto la Roma di Liedholm nel 1983 aveva convinto Viola a puntare su di lui, visto come un ideale continuatore dell'esperienza fatta con Liedholm. Poi entrambi, nel tempo, hanno cambiato il loro "credo", divenendo due tecnici decisamente più pragmatici e concreti. «Fu uno dei primi a giocare col 3-5-2» ha ricordato ieri Roberto Cravero. Chissà, forse Mondonico rimase scottato anche da quella stagione con la Cremonese, trascorsa a prendersi tanti complimenti per il gioco espresso, ma portando a casa pochi punti. Non sono peraltro gli unici casi di tecnici che si affermano grazie al modo di giocare delle loro squadre e continuano in tutt'altro modo. Ma queste sono altre storie.
Le storie legate a Mondonico, invece, sono tante e molte di queste le avete già sentite in queste ore, dalla sedia levata al cielo di Amsterdam nella finale di Coppa Uefa contro l'Ajax alla semifinale di Coppa Italia contro il Malines cui portò un'Atalanta che giocava in Serie B. In tanti anni di carriera, naturalmente, spesso le sue strade si sono incrociate, sempre da avversario, con la Roma. Lo ricordiamo al termine della finale di ritorno di Coppa Italia 1992-93 vinta per 5-2 dalla Roma, col trofeo però alzato dal suo Torino in virtù del 3-0 ottenuto all'andata. Più che felice era stravolto, e travolto, da un Olimpico che aveva spinto una irripetibile e commovente Roma a sfiorare un'impresa che si era spenta sul palo colpito da Giannini. C'era lui, nel 2001, sulla panchina del Napoli in occasione di quel 2-2 al San Paolo che, alla penultima giornata, costrinse la Roma a rimandare la conquista dello scudetto all'ultima giornata. Non riuscì a salvare gli azzurri, dovette gestire anche le follie di Edmundo. Ma almeno quel giorno non fu lui a vedersi tirare addosso una bottiglietta da un suo giocatore, come fece col suo dirimpettaio Capello l'arrabbiatissimo Montella. Entrò a 6' dal termine, Vincenzo, e non riuscì a far gol. Ci riuscì, però, in un'altra occasione, il 12 settembre 2004, facendo vincere la Roma contro la Fiorentina allenata proprio dal "Mondo". Fu la prima partita raccontata dal Romanista
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