Un "brasiliano de Roma": la rinascita di Gerson in pochi semplici passi
Il nuovo Gerson passa anche attraverso piccoli gesti, come quelli tipici della Capitale che ha cercato di ripetere coadiuvato da Johnny Palomba
È rimasto a Roma ad allenarsi con i suoi connazionali Bruno Peres e Juan Jesus. Niente Seleçao per Gerson, almeno per il momento. A vent'anni, ha ancora tutto il tempo del mondo per mettersi in luce con la maglia verdeoro. Certo non sarà facile, dato che il nome che porta: in patria hanno ancora negli occhi le magie di un suo omonimo. Nel frattempo, però, il numero 30 è rimasto agli ordini di Eusebio Di Francesco a Trigoria, dove ieri la squadra si è allenata con tutta la Primavera. Non solo lavoro sul campo, però: il ragazzo di Belford Roxo ha avuto modo di lavorare anche sul suo romanesco. Istruito da un impeccabile Johnny Palomba, tra un "annamo a magna'!" e un "nun c'è trippa pe' gatti", Gerson ha studiato e ripassato modi di dire e gesti tipici della Capitale. Certo, magari c'è ancora molto da lavorare sulla pronuncia, ma per quello ci sarà tempo.
Del resto, il video postato sui social network dall'account ufficiale della Roma sembra descrivere alla perfezione il momento che sta vivendo il brasiliano. Dopo una stagione passata principalmente tra panchina e tribuna (solo quattro apparizioni in campionato, due delle quali da subentrato), la scorsa estate sembrava l'oggetto misterioso della rosa giallorossa. L'arrivo in panchina di Di Francesco, però, ha segnato l'inizio di un "nuovo Gerson". Prima soltanto qualche spezzone di gara, quindi la svolta. Che ha una data precisa: 18 ottobre 2017. La Roma si reca a Stamford Bridge, dove affronta il Chelsea nel terzo match del girone C di Champions League, e il tecnico lo schiera (a sorpresa) dal primo minuto sulla corsia di destra del tridente offensivo: i giallorossi dominano per 90' e Gerson si mette in luce per l'abnegazione e l'intelligenza con cui ha ricoperto il ruolo.
Quindi, a Firenze, arriva finalmente la prima gioia personale in maglia giallorossa. Subito seguita dalla seconda: il ragazzo che Sabatini strappò dalle grinfie del Barcellona segna i suoi primi due gol e la Roma vince 4-2 contro la Fiorentina. Da quel momento in poi, Di Francesco gli dà sempre più fiducia e il brasiliano dimostra di meritarsela. Non solo a livello di prestazioni, ma soprattutto dal punto di vista dell'approccio mentale alle partite. Lo ribadisce in più di una intervista: «So che durante il primo anno non ho fatto quello che tutti si aspettavano da me. Ma ho iniziato la nuova stagione con più maturità e soprattutto con una testa diversa. Ho sempre creduto di potermi adattare al calcio europeo e ora ci sono riuscito».
Parole che la dicono lunga sulla metamorfosi del giocatore: ora va a contrastare i giocatori avversari con determinazione e la giusta cattiveria agonistica, pressa insieme ai compagni, è sempre propositivo e pronto a dare una mano anche in fase difensiva, tende a giocare il pallone con uno o due tocchi. Ma soprattutto, mostra tutta la sua determinazione, la sua grinta e il suo spirito di sacrificio. Proprio quelle qualità che in molti - tifosi e addetti ai lavori - volevano vedere da lui.
Di Francesco ha avanzato il suo raggio d'azione: non più a centrocampo, ma in avanti, sulla fascia. La tecnica e la velocità per giocare nel ruolo di ala non gli mancano. Ma la posizione in campo conta fino ad un certo punto. Il segreto sta nell'atteggimento, nella voglia di lottare per questa maglia e di ritagliarsi il proprio spazio, un passo alla volta.
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