Il coronavirus e la trattativa per la Roma in stand-by: Friedkin aspetta e spera
Mentre Pallotta assicura che farà fronte a tutte le spese di gestione, Dan studia. La volontà è di andare avanti ma i mancati guadagni influiranno sul prezzo
Aspettano. E sperano. Anche se per motivi opposti visto che stiamo prendendo in considerazione un compratore e un venditore, coinvolti in un affare da settecentocinquanta milioni di dollari, milione più, milione meno. Del resto James e Dan non possono fare altro in un momento come questo. James è Pallotta e Dan Friedkin che, dopo essere arrivati a un millimetro dalle firme sul preliminare (alcune oltretutto erano state anche messe, stavano di fatto con le penne in mano), hanno scelto (per ovvi motivi più Dan di James) di stoppare la conclusione del deal in attesa di capire quello che potrà succedere nei prossimi mesi. Ci sarebbero, oltretutto, le motivazioni per poter pensare che l'affare sia saltato del tutto, la pandemia che sta sconvolgendo il mondo potrebbe legittimare una scelta di questo tipo, ma da quello che ci risulta il deal è ancora in piedi, semmai è congelato augurandosi di poterlo riprendere quando sarà passato questo tsunami da cui nessuno si può sentire escluso.
Il gruppo Friedkin, alla luce di tutto questo, ha preferito stoppare la conclusione, ma non cancellarla (anche magari in attesa di una paventata defiscalizzazione per investitori esteri che sarebbe allo studio in Italia). Sarà necessario verificare nei prossimi mesi le ripercussioni economiche locali e mondiali che ci saranno quando si comincerà a uscire da questo prolungato incubo. Il rischio di un fatturato inferiore della Roma quantificabile tra quaranta e cinquanta milioni, è concreto. Soprattutto se, come sembra e come sarebbe sacrosanto, non si riprenderà a giocare per concludere le competizioni, dal campionato alle coppe europee, scelta che a questo punto viene auspicata anche dagli addetti ai lavori, a parte qualche inguaribile ottimista che avrebbe bisogno, pure lui, di un medico.
Per questa ragione non si può fare altro che aspettare. Si dirà: e il resto dell'aumento di capitale (entro il prossimo trentuno dicembre) quantificabile in cinquantacinque milioni (un'ottantina sono stati già garantiti dall'attuale proprietario) chi lo immetterà nella Roma? Da questo punto di vista si può stare tranquilli (per altri no, i conti della Roma sono pesanti), Pallotta ha già garantito che assicurerà la liquidità necessaria. Cosa che se l'affare fosse stato concluso, sarebbe toccata a Friedkin, cosa che, ovviamente, quando e se si chiuderà, influirà comunque sul prezzo finale. Ma per questo c'è tempo. Il collezionista di aerei vintage, prima di tutto vuole vedere cosa succederà.
I dubbi di Dan
Come ormai sanno un po' tutti, il core business del gruppo Friedkin è l'automobile. Esclusivista Toyota in cinque stati Usa, oltre centocinquanta filiali, un fatturato di poco inferiore al miliardo di dollari mensili, in sostanza un impero. Nel corso degli anni, l'imprenditore texano nato in California, ha diversificato i suoi investimenti, concentrandoli in buona parte in altri due settori, il turismo e il cinema. Sommando il tutto, il fatturato annuale del gruppo è intorno ai dodici miliardi di dollari, non prendendo ovviamente in considerazione gli oltre quattro miliardi di dollari di patrimonio personale di mister Dan. Ora le domande sono queste: quante Toyota in meno saranno vendute nei prossimi mesi? In che cifra sarà quantificabile il danno economico nel settore turismo oggi come oggi totalmente azzerato dal coronavirus? E con i cinema chiusi, pure qui che danno economico ci sarà? Le risposte saranno importanti anche per il futuro della Roma, visto che l'investimento per l'acquisto della società giallorossa è di quelli che hanno un certo peso anche nei numeri di un grande gruppo come quello Friedkin.
Le previsioni delle banche
In questi casi, per avere risposte perlomeno affidabili, ci si affida alle banche alle quali si chiede di prevedere uno scenario da qui a uno, tre, sei, dodici mesi. È stato fatto anche per questo deal e le risposte che sono arrivate non inducono a uno sfrenato ottimismo. Le banche americane coinvolte nell'affare hanno fatto sapere che negli Stati Uniti c'è il rischio, nei prossimi mesi, che si possa arrivare a una cifra tra i cento e i centocinquanta milioni di contagiati; che in Germania potrebbe essere colpito circa il settanta per cento della popolazione; che in Inghilterra quasi se lo augurano (roba da pazzi); che si pensa che con l'aumento delle temperature il virus possa essere meno contagioso e pericoloso; che il tasso di mortalità è stimabile intorno al due per cento; che il danno economico sarà significativo e che per il recupero saranno necessari non meno di sei mesi; che il tasso di crescita del Pil mondiale sarà il più basso da trenta anni a questa parte; ma, anche, che non esiste rischio sistemico; che i governi stanno intervenendo sui mercati per stabilizzarli e che il settore del private banking è molto ben capitalizzato. La conclusione? Sembra più l'undici settembre che la crisi economica del 2008. Sarebbe, nelle intenzioni, una risposta positiva. Tutto questo Dan e James lo stanno analizzando. Continuando ad aspettare e sperare.
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