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The Show Must Go Off: si va verso lo stop della Serie A

Ieri botta e risposta tra Spadafora e Dal Pino, domani il consiglio federale. Recuperate le gare della ventiseiesima giornata del campionato in un clima surreale

PUBBLICATO DA Fabrizio Pastore
09 Marzo 2020 - 10:51

Un altro giorno nel caos. L'emergenza Coronavirus non dà tregua, anzi cresce col passare delle ore, e il calcio italiano si trova a fronteggiarla senza fornire risposte certe. Al contrario, aumentano i dubbi. Sul prosieguo del campionato, sugli Europei, sulle misure da adottare. Su tutto. Con uno scontro totale che coinvolge istituzioni politiche e sportive, dirigenti e protagonisti di campo. Nonostante il recupero delle restanti gare della settima giornata di ritorno disputate ieri a porte chiuse. Nella navigazione a vista attuale in questo mare burrascoso, il primo porto sarà raggiunto domani, quando si svolgerà il consiglio federale straordinario, che dovrebbe rappresentare lo spartiacque per stabilire se e come proseguire la stagione in corso. Si va verso uno stop del torneo fino a data da destinarsi. 

La giornata di ieri è servita intanto per rendere chiari gli schieramenti. La prima presa di posizione netta è arrivata con la lettera aperta del presidente dell'Assocalciatori Damiano Tommasi, che ha chiesto a tutti un passo indietro. «Il calcio deve seguire le indicazioni sanitarie, fermandosi e dando l'esempio», il senso del suo messaggio. Che è arrivato poco prima che si giocasse il lunch match fra Parma e Spal, scatenando un vespaio. Con il Ministro dello Sport Spadafora schierato a favore dello stop, la Lega Serie A intenzionata a rispettare il calendario dei recuperi e i calciatori in mezzo, attori un po' spaesati di una contrapposizione ai limiti del surreale. Quando Tommasi ha paventato il blocco delle partite - interpretato come uno sciopero da parte dell'Aic - la prima gara di giornata si è bloccata, i giocatori delle due squadre emiliane hanno fatto ritorno negli spogliatoi e il fischio d'inizio è arrivato soltanto dopo una lunga mediazione fra le parti, 75 minuti più tardi. Ma le polemiche non si sono fermate. È stata durissima la reazione di Spadafora, che ai microfoni della Rai non ha lesinato riferimenti: «È vero che il decreto governativo prevede le porte chiuse, il nostro era soltanto un invito a fermarsi. Però nessuno di loro si prende responsabilità: il mondo del calcio, e in particolare della Serie A, si sente immune dal contagio, come se dovesse andare avanti a ogni costo. La situazione qui evolve ora dopo ora, quello che conta è la salute pubblica. La Lega non si assume le proprie responsabilità, Dal Pino rimanda sempre le decisioni ad altri. Questa gestione, da molti considerata insoddisfacente e anche da me, mi sembra che non sia consapevole della gravità della situazione. Aspetta che anche in A ci siano i primi casi di contagio? Cosa deve succedere ancora nel Paese?». Anche sulla trasmissione televisiva delle partite, il ministro ha utilizzato la sciabola più del fioretto: «Fatti salvi i diritti di Sky, avevamo chiesto di dare la possibilità agli altri soggetti di trasmettere almeno le differite in chiaro, così la gente non si sarebbe assembrata nei locali. Davanti a questa richiesta, l'a.d. di Sky e il presidente della Lega Serie A finivano il loro discorso sempre così: cosa ci perdiamo e cosa ci guadagniamo? Si è parlato solo di soldi. Come se questo mondo vivesse fuori dalla realtà. A questo punto metterò mano alla Legge Melandri. Il mondo del calcio si è chiuso a riccio, non pensa al Paese. Pandev si è abbracciato dopo un gol. Stanno dando un pessimo esempio, spero che martedì venga decretato lo stop. Se poi dovremo prenderci noi le responsabilità perché non lo fanno Lega e Figc, vorrà dire che faremo anche questo. Aspettiamo martedì, confido molto nell'equilibrio del presidente Gravina».

Pronta la replica di Dal Pino, che non si è limitato a "toccarla piano", acuendo anzi il livello dello scontro e richiamando alle responsabilità politiche il rappresentante dell'esecutivo: «Le affermazioni del ministro Spadafora sono sbagliate nel merito e nella sostanza - ha tuonato il numero uno della Lega - il ministro ignora le norme e rifiuta la responsabilità del suo ruolo. Invece di fare demagogia, sia coerente con le proprie azioni di governo e se necessario emani un decreto assumendosi responsabilità che sta scaricando su altri». Il provvedimento emanato dal governo nella notte precedente aveva previsto esplicitamente la possibilità di disputare le partite, purché a porte chiuse. Detto fatto, con altrabenzina su un fuoco già alto. 

Lo stesso Tommasi, chiamato in causa nel botta e risposta a distanza in collegamento telefonico con 90° Minuto, ha confermato di non aver cambiato idea rispetto alla lettera pubblicata poche ore prima. «La situazione è grave e seria, oggi non si può giocare a calcio in Italia. È un'amara constatazione, e gli insulti nei miei confronti lo confermano. Il Paese deve cambiare abitudini. Il messaggio è "cambiamo vita": in più posti d'Italia la gente si ritrova a vedere le partite nei locali. Abbiamo già casi di contagio nelle squadre professionistiche, serve maggiore attenzione. Non si può giocare a calcio in questo Paese, i giocatori non si possono toccare. E questo deve uscire martedì». Si sono fermati altri sport,  non (ancora) il calcio. Parlare di sciopero dei calciatori per  Tommasi sarebbe però paradossale. Il numero 1 dell'Aic ha spiegato le proprie motivazioni. «Il messaggio che il calcio doveva e che deve ancora continuare a dare è che non si può giocare, le direttive dicono che non ci si può toccare, ma i giocatori sono costretti a farlo. Lo sciopero era e sarebbe un messaggio diverso, il messaggio corretto è che non si deve giocare, non perché non lo vogliano i giocatori, anche perché sarebbe preoccupante se dovessero deciderlo i calciatori, sono i responsabili a dover decidere. Il punto è che tutti noi italiani nelle prossime settimane dobbiamo condurre una vita diversa, il Paese ha bisogno di un messaggio di questo tipo, non di altri che mettano in dubbio quello che dice la comunità scientifica». 

Le prime gare a porte chiuse

Il turno di campionato è però andato avanti regolarmente (sempre che di regolarità si possa parlare con stadi vuoti e classifica ancora piena di asterischi). Fino al big match serale fra Juventus e Inter. Anche a Torino controlli serratissimi con i termoscanner per i cinquecento presenti, fra steward, personale di servizio e operatori dell'informazione. Prima del match si sono espressi anche i dirigenti dei due club di vertice.  «Abbiamo riunito velocemente il consiglio - ha rivelato l'ad interista Marotta - prendendo spunto dalla sollecitazione del sindacato dei calciatori. Non eravamo giuridicamente nella situazione di poter sospendere le partite perché non c'erano i tempi per assumere questa decisione. Nella notte è stato emanato un nuovo decreto: la Lega e le società hanno rispettato queste indicazioni. Si respira clima di disagio nei calciatori di qualsiasi squadra, il pensiero va anche ai loro cari. Di sicuro sono certo che le società hanno adottato tutte le cautele per garantire a loro e ai loro cari tutte le garanzie del caso. Poi martedì ci sarà un nuovo consiglio e ci atterremo alle nuove indicazioni». Diversa la questione relativa alle coppe europee: «Sono aspetti giuridici diversi - ha spiegato Marotta - La Uefa è fatta da dirigenti responsabili e terrà conto della situazione italiana. Saranno valutazioni che verranno prese dal nostro governo e in subordine dall'ente che sovrintende a queste competizioni, cioè l'Uefa». Sulla stessa lunghezza d'onda il direttore sportivo della Juventus, Fabio Paratici, ai microfoni di Sky Sport prima della sfida: «Il clima è surreale e un po' triste, giocare in queste condizioni dispiace. La Juve rispetterà quello che le autorità ci imporranno di fare. I calciatori ovviamente vorrebbero giocare, ma capiscono che la situazione è quella che è e dobbiamo fare di tutto per adottare comportamenti responsabili»

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