Società, l'effetto Coronavirus non ferma Friedkin
Il gruppo crede fortemente nell'acquisto della Roma nonostante l'immagine dell'Italia di oggi: la volontà resta ancora quella del 30 dicembre
Che il coronavirus e il suo impatto sulla società, prim'ancora che su una società di calcio, sia un elemento da considerare e da non sottovalutare lo sanno bene anche oltre Oceano. Che si rifletta - eccome - sull'economia e sul sistema-Paese ne è una logica conseguenza. Che l'immagine dell'Italia dalle parti di coloro i quali hanno deciso fermamente di fare un investimento importante in una delle società più importanti del campionato nostrano sia ridotta maluccio, specie negli ultimi giorni a causa delle vicissitudini da Covid-19, è tutt'altro che un mistero. Anzi, basta essere italiani per rendersene tutto sommato conto. Se aggiungiamo che sempre a partire dal sopracitato virus si è scatenata anche una bufera di politica pallonara sul campionato e su come, dove (con tutti i problemi di accessi agli stadi) e quando dovrà e potrà proseguire, con gli stracci volati e non ancoracaduti in terra fra esponenti dell'alta dirigenza del nostro calcio, risulta quanto meno umano che qualche domanda in più qualcuno se la stia anche facendo. Ma se la domanda è: il Gruppo Friedkin ha dei ripensamenti sull'acquisto della Roma? Allora la risposta è no. Non è dato sapere se Dan, Ryan e tutti quelli coinvolti nel deal che porterà la famiglia di imprenditori di Houston a rilevare la Roma si siano fatti una risata davanti a certe indiscrezioni (e a una certa isteria che consegue spesso questo o quel cinguettio) di uno slittamento del signing causato in special modo dagli eventi delle ultime settimane, ma è induttivo ritenere che un'operazione che dura da mesi ed è arrivata alle battute conclusive non si possa fermare piuttosto all'improvviso sulla base di eventi temporanei e comunque in continua evoluzione e - si deve ritenere - in via di soluzione. Il coronavirus è finito nella due diligence per il passaggio di proprietà della Roma? Nì. Perché la decisione che spetterà a Dan Friedkin al termine di questa "benedetta" fase di verifica è stata già valutata e il gentleman agreement del 30 dicembre scorso è piuttosto vincolante tra uomini d'affari. Le volontà sono più che chiare, il venditore vuole vendere e l'acquirente vuole acquistare, nel più breve tempo possibile, ma con le migliori condizioni possibili. È finanza, oltre tutto. Nessuno ci perderà la faccia, nessuno ci perderà un euro, anzi un dollaro e dieci centesimi. Perché ogni valutazione è parte integrante della due diligence e ogni integrazione (ogni criticità, per intenderci anche un'eventuale crisi da coronavirus, può essere incorporata nel prezzo) si riflette sui dodici contratti da siglare.
I tempi dell'affare
Non ci sono tempistiche, però, o non così stringenti: 24, 72, 168 ore. C'è un signore che colleziona aerei vintage in America che crede nel sistema Italia e al momento appare tutt'altro che frenato nelle intenzioni, nonostante uno sguardo attento - e ci mancherebbe, con quello che sta per spendere - su ogni minimo dettaglio dello stesso. E poi, corsa all'annuncio per corsa all'annuncio, come recita il vecchio principio di Wall Strett no news good news. Anche se, probabilmente lo stesso Dan Friedkin l'ha intuito, all'ombra del Colosseo c'è un'attesa quasi spasmodica ormai di cambiamento.
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