Roma-Juventus dalle panchine: tutti i dubbi di Fonseca
Può schierare la stessa formazione delle ultime due oppure cambiare tutto. Contro Sarri ha già giocato due volte in Champions, qui la Juve ha perso 3 volte in 5 anni
La stima tra i due tecnici è solidissima: Fonseca non ha mai nascosto di avere Maurizio Sarri tra le sue fonti di ispirazione e lo juventino ha sempre parlato bene del collega e così farà anche oggi, nella conferenza stampa di presentazione della gara. Sentirete quanti dolcissimi complimenti si scambieranno, pronti al confronto di domani, il terzo della serie, dopo quella doppia sfida nei gironi di Champions nel 2017: andata il 13 settembre a Kharkiv (clamoroso 2-1 per lo Shakhtar di Fonseca, reti di Taison e Facundo Ferreira e Milik), ritorno il 21 novembre a Napoli, senza storia (3-0, Insigne, Zielinski e Mertens). Il portoghese cominciò così a farsi conoscere dal mondo del calcio, eliminando quel Napoli dalla Champions League e poi facendo tremare anche la Roma di Di Francesco (2-1 in casa all'andata degli ottavi e 1-0 per i giallorossi al ritorno) con il suo gioco brillante, aggressivo, offensivo, con quel gruppo misto di brasiliani e ucraini che riuscì ad assemblare perfettamente. Il regista di quel Napoli nel doppio confronto con lo Shakhtar fu Diawara e a dispetto di un paio di imperfezioni stilistiche, fu proprio in quelle sfide che il portoghese si innamorò calcisticamente del guineano, cogliendo l'opportunità di portarlo questa estate alla Roma nelle pieghe della trattativa per Manolas.
In settimana Fonseca si è fatto prendere dai dubbi: ha analizzato le ultime prestazioni della Juventus, deve aver pensato che la doppia vittoria della Lazio tra campionato e supercoppa aveva una matrice riconoscibile dal punto di vista tattico, così ha ragionato sull'opportunità di affrontare i bianconeri cambiando qualcosa rispetto alla squadra con cui ha prima battuto la Fiorentina (con il trionfale 4-1 di fine anno) e poi perso con il Torino (con il deludente 1-2 di inizio 2020). E se non ha troppe alternative dalla rosa, viste le defezioni persistenti di tanti giocatori alle prese con infortuni di varia natura, un'alternativa se l'è inventata lui immaginando uno schieramento con tre difensori, quattro centrocampisti, due trequartisti e una punta. Così in questi giorni ha provato Cetin al fianco di Smalling e Mancini, tenendo larghi e meno vincolati alle marcature degli attaccanti di Sarri Florenzi e Kolarov, rinunciando a un attaccante (Perotti), mantenendo la struttura del centrocampo imperniato su Diawara e Veretout e lasciando Pellegrini e Zaniolo alle spalle di Dzeko.
C'è poi un'ipotesi più estrema con Zaniolo nei quattro di metà campo (fuori Florenzi), con Perotti a trequarti con Pellegrini, ma significherebbe costringere il biondo talento di Massa a svolgere anche funzioni da terzino nei ripiegamenti che forse non gli appartengono. Chiara l'idea di non lasciare centralmente ai soli Smalling e Mancini la responsabilità del contenimento di Ronaldo e Dybala, probabilmente i due attaccanti scelti da Sarri quali terminali offensivi di una formazione che dovrebbe prevedere Ramsey sulla trequarti, con Higuain non al meglio destinato alla panchina. Inzaghi ha imbrigliato Sarri due volte proprio non lasciando la parità numerica ai suoi attaccanti, aspettando bassi con i quinti di metà campo, senza troppe pressioni estreme, con ripartenze fulminee esaltate dalla qualità dei suoi interni di metà campo. Forse Fonseca ha preso spunto proprio da Inzaghi, anche se poi non è ancora detto che sia questa la sua scelta.
La via maestra resta quella della squadra tatticamente impostata come da inizio stagione, sul 4231 che da sempre è l'alchimia preferita dal portoghese. Se scegliesse ancora di seguire il suo mantra, schiererebbe per la terza volta consecutiva la stessa squadra, quella con Florenzi e Kolarov esterni, il quadrato di guardiani Smalling-Mancini-Diawara-Veretout, Perotti e Zaniolo esterni offensivi, Dzeko e Pellegrini incursori centrali. L'altra ipotesi un po' sporcherebbe la sua ispirazione, ma sarebbe un compromesso rispetto all'esigenza risultatista: si va un po' meno all'attacco, si pensa un po' di più al valore degli avversari, ma magari si porta a casa più facilmente il risultato. È una specie di bivio, è il suo dubbio, è un dilemma.
Battere la Juve significherebbe rinsaldare le ambizioni di podio, oltretutto si giocherà già conoscendo i risultati di Lazio-Napoli e Inter-Atalanta. I precedenti più recenti autorizzano anche ulteriori speranze: nelle ultime cinque sfide all'Olimpico, due sono finite in parità (l'1-1 a marzo 2015, lo 0-0 di maggio 2018), ma per tre volte la Juve ci ha rimesso le penne. Dal 2-1 di agosto 2015, con reti di Pjanic e Dzeko (alla sua prima rete in giallorosso), al 2-0 dello scorso anno, con Ranieri in panchina, e Florenzi e ancora Edin nel tabellino dei marcatori, passando per il 3-1 del 2017, con De Rossi, El Shaarawy e Nainggolan a segno. Bello sarebbe allungare questa striscia positiva. Con tre o con quattro difensori.
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