AS Roma

Impostazione e interdizione: così Diawara sta conquistando Fonseca

Preciso in cabina di regia e prezioso in fase difensiva: i numeri promuovono Amadou, 22 anni e già una sicurezza da veterano al centro del campo

PUBBLICATO DA Fabrizio Pastore
09 Dicembre 2019 - 09:17

Il regista che non deve chiedere mai si chiama Amadou, ha appena 22 anni, ma una sicurezza da veterano al centro del campo. Non chiede il pallone ai compagni, lo calamita: recuperando preziosissimi possessi in fase difensiva e fungendo da catalizzatore della manovra in fase offensiva. Nemmeno a diciassette anni, arrivato da poco in Italia dalla Guinea, si rivolgeva ad altri per risolvere problemi. «Non chiedeva mai nulla per paura di disturbare», rivelò tempo fa l'ex direttore del San Marino, squadra in cui il talento dell'africano è sbocciato fino a catturare l' attenzione di Corvino, che poi lo portò a Bologna.

Educazione prima, personalità poi. Uguale risultato. Non chiede mai anche ora che è nella Roma, al fianco di Veretout, a formare una coppia mediana che meglio assortita non potrebbe apparire. Lui, Diawara, sicuro e preciso nella costruzione della manovra, forte di una tecnica individuale invidiabile che gli fa raggiungere vette elevatissime di precisione.

Il compagno di reparto dedito alla corsa e al dinamismo. Eppure entrambi sostengono il compito dell'altro: il francese si aggiunge ai compiti di impostazione, sfruttando la sua straordinaria capacità di capovolgere il fronte palla al piede; mentre il guineano certo non si sottrae quando si tratta di ripiegare o intercettare passaggi avversari. Nella sfida contro l'Inter guida tutte le speciali classifiche: nove palloni recuperati a fronte di uno solo perso, tre contrasti vinti (il cento per cento), sessantaquattro passaggi effettuati (l'86 per cento andati a buon fine), dei quali nove lunghi e sei di questi andati a buon fine.

Cifre relative soltanto all'ultima partita, ma che si attestano sulle medie stagionali di Diawara. Un centrocampista totale il guineano, che non a caso non ha mai fatto mistero di ispirarsi a Yaya Touré, dal quale ha ripreso anche lo storico numero di maglia, il 42. Rispetto all'ex campione di Barcellona e Manchester City, il romanista ha un fisico meno imponente (anche se di tutto rispetto), una minore propensione agli inserimenti in area avversaria e più in generale al tiro. Ma ha tutto il tempo per migliorare la lacuna più evidente, che per ora lascia il suo score a sole due reti da professionista, entrambe con la maglia del Napoli, dove pure non è stato utilizzato con la necessaria continuità.

Proprio l'esperienza con Ancelotti è quella che ha frenato una carriera per il resto in continua ascesa. Arrivato al Bologna appena maggiorenne, ha conquistato la titolarità dopo appena quattro gare senza mollarla più, fino al trasferimento sotto il Vesuvio, alla corte di Sarri, che lo ha utilizzato più del suo successore in azzurro. Ci si è messo anche un infortunio muscolare a rallentarne la crescita. Fino al trasferimento a Trigoria. Fonseca lo ha fatto debuttare dal 1' in Europa League, rimandando l'esordio da titolare in A col Lecce, dove ha disputato una grande partita. Poi la lacerazione del menisco che lo ha tenuto fuori per un mese. Ma da quattro gare si è ripreso il centrocampo. E alla grande. Come certifica il tributo pubblico del tecnico a San Siro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

CONSIGLIATI