AS Roma

Fonseca, il segreto del successo in due punti: chiarezza e calcio offensivo

Anche allo Shakhtar la ricetta era la stessa: il tecnico portoghese pretende coraggio dai suoi e per ottenerlo sa rendersi credibile ai loro occhi

PUBBLICATO DA Daniele Lo Monaco
09 Dicembre 2019 - 08:42

Sentite Fonseca: «Non appena cala la loro prestazione, dobbiamo ricompattarci. Questo riguarda la nostra fase offensiva e non la nostra fase difensiva. Se abbiamo l'opportunità di aggredirli, proviamo a riguadagnare velocemente la palla, o a fare fallo. Aggrediamoli, allentiamo la pressione e ci ricompattiamo. Teniamo la squadra sempre corta e facciamo attenzione al controllo della profondità. È fondamentale che noi riusciamo ad allentare la pressione quando loro prendono palla. Facciamo attenzione dietro alla profondità. Ci deve essere disponibilità completa da parte di tutti e una ricerca costante dello spazio e delle linee di passaggio. Non dobbiamo assolutamente conformarci al loro ritmo di gioco, cerchiamo momenti in cui accelerare, momenti di aggressività in termini offensivi. Dov'è l'ambizione? L'ambizione deve essere costante in questa squadra, in ogni singola partita, a prescindere dal fatto che giochiamo contro il City, il Lione, il Desna o lo Zorya. Siete principalmente voi che dovete parlare con voi stessi e dirvi che volete vincere, che volete arrivare alla fine del campionato ed essere primi. Buona partita a tutti, andiamo!».

Potrebbe essere il discorso fatto negli spogliatoi prima della partita di Milano con l'Inter, magari cambiando i nomi delle squadre avversarie, invece è il discorso reale riportato testualmente che Paulo fece ai suoi giocatori dello Shakhtar negli spogliatoi più o meno un anno fa, alla vigilia di una partita di campionato ucraino, davanti alle telecamere di una televisione portoghese che stava realizzando su di lui un suggestivo documentario trasmesso ad inizio 2019. Il lavoro, "O Futebol é um Mundo", prodotto e trasmesso dal giornalista Carlos Daniel di Canal 11, è visibile anche su Youtube. Descrive, anzi fotografa con le telecamere in presa diretta il metodo Fonseca che ha conquistato in tre anni l'Ucraina e che in meno di sei mesi sta affascinando anche l'Italia, e di sicuro lo ha già fatto con Roma.

Il pensiero di Fonseca si poggia su alcuni architravi di facile comprensione: la squadra deve giocare un calcio offensivo e spettacolare, i rapporti con i giocatori devono essere improntati alla massima chiarezza e nel pieno rispetto reciproco, con la società ci deve essere una comunicazione interna chiara e leale (e lui mai metterà in difficoltà il lavoro dei suoi dirigenti), con la stampa non ci si sottrae ad alcuna domanda ma le risposte resteranno sempre sul generico e in ogni caso tutto ciò che riguarda lo spogliatoio resterà vincolato dal segreto tra le parti.

Era così a Donetsk, è stato così nelle precedenti esperienze portoghesi (illuminante, in tal senso, il documentario del Romanista girato dai colleghi Fasan e Curcio sulle tracce del primo Fonseca), è così alla Roma. A sentire le dichiarazioni dei giocatori della Roma sul tecnico concordano tutti su due punti: «Il mister vuole che giochiamo sempre all'attacco; il mister dice sempre chiaramente quello che vuole». In poche parole il Fonseca style.

Lui e il gruppo sono dalla stessa parte, sempre. La letteratura è già piena di dettagli che raccontano l'evoluzione dei rapporti con diversi giocatori della sua rosa, emersi perché non gravati da segreti reciproci e magari raccontate dagli stessi protagonisti. E chissà quante altre storie ci sono non ancora conosciute. L'ultimo a beneficiare della schiettezza del tecnico portoghese è stato Santon che la scorsa estate s'era sentito dire che non era nei programmi della Roma, ma che se avesse deciso di restare sarebbe stato preso in considerazione come gli altri, magari partendo solo da più dietro. E quando Santon, con la forza del lavoro in allenamento, si è meritato l'attenzione dell'allenatore è stato chiamato in causa, fino a diventare il titolare nel ruolo (al netto dell'ultimo infortunio).

Il contraltare in questo caso è Florenzi, che invece quel posto l'ha perso (e con esso inevitabilmente la fascia da capitano) e che però ha ascoltato i motivi direttamente dalla bocca di Fonseca e per questo nulla ha potuto eccepire (e si è comportato di conseguenza, senza mai fare polemica né mostrare smorfie sul volto così diffuse tra i suoi colleghi).

Ma si potrebbe parlare di Dzeko, convinto a suon di discorsi solenni a restare alla Roma a togliersi quelle soddisfazioni che non era sicuro di potersi levare all'Inter, o di Kluivert, gratificato della fiducia quando nessuno ormai sembrava riporla in lui e subito pronto a ripagarla, o di Diawara, che Fonseca ha espressamente richiesto a Petrachi (altro che scarto del Napoli), o di Pellegrini, ormai il leader di trequarti della Roma, o di Pastore che solo con Fonseca era tornato a dare il meglio di sé o di Pau Lopez, uno degli acquisti che erano sulla lista del tecnico ancora prima di firmare con la Roma e poi capace di ambientarsi subito facendo in fretta dimenticare i patimenti di Olsen.

Il pareggio di Milano è l'ultima tappa del percorso tecnico che ha portato Fonseca a conquistare la stima di dirigenti, giocatori, tifosi. Si era partiti con un esaltante precampionato, chiuso con tanti gol e zero sconfitte, si era passati attraverso un derby che invece aveva avuto un sapore decisamente diverso (una sconfitta avrebbe finito per farlo finire sulla graticola), ci sono state tre vittorie consecutive culminate con la prima sconfitta in assoluto, con l'Atalanta, poi il periodo buio dei quattro pareggi consecutivi conditi di errori arbitrali e il riscatto, nel pieno dell'emergenza prima del nuovo doppio tonfo tra Moenchengladbach e Parma, fino all'ultima risalita. Ora c'è da chiudere in bellezza il girone europeo e affrontare gli ultimi ostacoli del girone d'andata. Tutti ordinati dietro alla saldissima guida portoghese. Andiamo...

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