Florenzi e la maglia
La squadra viene prima di tutto e tutti, ma ciò non autorizza strumentalizzazioni. Il suo è stato finora un comportamento esemplare. W Alessandro, W Paulo, W la Roma
Florenzi è una pippa, si sa. C'ha i piedi quadrati, quando fa un cross s'arricchiscono i vetrai, le punte si disperano e una stella in cielo si spegne. Se gioca terzino, è un'ala. Se gioca ala, un terzino. Se Florenzi firma il rinnovo è perché non lo voleva nessuno, se aspetta per farlo perché è un mercenario e preferisce la Juventus o l'Inter alla ROMA. Non è, recita: se sorride ironico verso un avversario è perché non gli interessa nulla della sua squadra. Così come quando batte le mani al pubblico non c'è nessuna forma di gratitudine, finge.
Come dopo ogni gol della ROMA in cui esulta come se avesse segnato lui. Ma tutto questo, sia chiaro, va detto se gioca. Anzi no, anche quando non gioca. Basta che si vinca. Perché l'istante dopo ogni vittoria ottenuta senza Florenzi in campo scatta, tipo la sigaretta dopo il caffè, il consueto rosario dall'apertura scontata: "Lo vedi, quando manca lui è tutta un'altra musica".
Sì, forse sarà pure musica ma queste frasi fatte sono solamente rumore. Ed il rumore dà fastidio, sempre. E figurarsi, allora, ad un ragazzo che dentro questa maglia c'è cresciuto attraversando verticalmente tutte le giovanili dalla scuola calcio fino ad arrivare in prima squadra. Si critica continuamente il calcio moderno per poi riservare lo stesso trattamento a chi, del calcio moderno, ne è l'antidoto in movimento. Ma non è questo il solo cortocircuito di questa storia qualunquista come le chiacchiere di chi l'ha generato e viscida come i pettegolezzi delle comari che l'hanno alimentato. Di cortocircuito, infatti, ce n'è un altro ancora… goffo come una balena che tenta un carpiato su sé stessa.
È quello di chi, dopo aver recitato per mesi il vademecum del "Florenzi pippa", ne recrimina l'assenza in campo a Parma per delegittimare Paulo Fonseca. Io rido, tu ridi, Florenzi non ride. Perché Florenzi alla ROMA vuole bene per davvero e chissà, allora, cosa mai gli passerà per la testa nel sentirsi prima preso per il culo e poi strumentalizzato (dalle stesse persone) per riservare al tecnico, seppur con declinazione differente, lo stesso trattamento che prima era stato dedicato a lui. Mistero.
Al contrario del suo comportamento durante tutte queste partite passate in panchina ad osservare i suoi compagni giocare. Incitandoli. Protestando con l'arbitro. E correndo ad esultare con la squadra dopo ogni gol. Piccole cose, certo. Il mondo si salva in altri modi. Ma qui stiamo parlando di calcio e il calcio, quello che piace a me così come a tutti voi, si tiene anche su queste manifestazioni di naturale attaccamento alla causa. Sulla professionalità di chi antepone gli interessi del gruppo a quelli personali: è il capitano, ha vestito questa maglia per più di duecento volte donandole due crociati ed è un giocatore della nazionale che, a giugno, sarà impegnata negli europei… Potrebbe bastarne solamente una di queste motivazioni per fare polemica o storcere il naso. Ed invece no. Nessuna telefonata a qualche radio amica, nessuna imbeccata ad un giornalista compiacente: si allena, in silenzio. Aspettando la sua occasione. Non è un santo eh, è semplicemente un professionista. Serio.
Così come mister Fonseca che, allenamento dopo allenamento-partita dopo partita, ha fatto e farà sempre le sue scelte cercando di ottenere, ogni volta, il meglio per la ROMA. Quello che un allenatore di livello deve fare: scegliere. Senza lasciarsi condizionare da niente e da nessuno. Perché la ROMA viene prima di tutto, di tutti. Anche se Alessandro Florenzi come tutti non sarà mai. Pronto a dimostrarlo fin dal primo allenamento a Trigoria subito dopo il rientro dalla nazionale: a tirare il gruppo per tornare a convincere il mister che ovunque, in campo, ci sarà bisogno… lui sarà lì, ad aiutare la ROMA. La sua ROMA. Dando tutto, come sempre.
© RIPRODUZIONE RISERVATA