Juan, ancora insulti social: minorenne salvato dal padre
Il brasiliano: "Pronto anche a fare gesti forti in caso di manifestazioni razziste durante la partita". L'agente: "È una battaglia di civiltà"
Pronto a un gesto forte in caso di razzismo «durante le partite». Juan Jesus prosegue la sua lotta contro una piaga del nostro tempo e purtroppo anche del nostro calcio. Dopo gli ultimi episodi che lo hanno visto protagonista, il difensore brasiliano ha voluto lanciare un messaggio a tutti coloro che subiscono discriminazioni, confermando che, fresco del nuovo ruolo di "ambassador" della Roma, andrà avanti nella battaglia per far punire chi si macchia di razzismo: «Lo faccio non solo per me - ha detto a Calciomercato.com, dove è intervenuto insieme al suo agente Roberto Calenda - ma per tutti quelli che subiscono offese per il colore della pelle e devono chinare la testa. Non abbassatela. Tenetela alta, perché l'unica razza che esiste è quella umana. Siamo tutti fratelli. E se domani mi chiedessero di stare in prima fila in questa lotta ci andrei di certo e con orgoglio. Così come sarei pronto, per primo, a un gesto forte in caso di manifestazioni razziste durante una partita».
I due hanno svelato anche un retroscena del caso "Pomatinho". Non era la prima volta che da quell'account partivano offese verso il numero 5 romanista. I messaggi di insulto, infatti, si stavano accumulando da circa un mese nella casella postale del profilo suo Instagram ufficiale. Così, a fine settembre, ha deciso di reagire e denunciare tutto, sia alla Roma che alle forze dell'ordine. Questo non è il solo episodio che ha segnato Juan Jesus: il centrale difensivo era stato insultato anche da un minorenne, salvato dalla denuncia solo dal padre che si è scusato.
Il suo agente ha spiegato le sensazioni del brasiliano: «Juan ci è rimasto male. Per l'appunto non è la prima volta che gli capita di subire questi insulti schifosi. Ci tiene tantissimo a questa battaglia. Non solo per lui, che comunque ha le spalle grandi, ma soprattutto per tutti quelli che nella vita di tutti i giorni devono sopportare epiteti schifosi senza avere le possibilità di difendersi».
«L'ultimo episodio - ha spiegato Calenda - è razzismo allo stato puro, non è un ragazzino che scrive cose che nemmeno conosce. E non voglio così giustificare tutti quegli haters minorenni che passano le giornate a ricoprire d'insulti persone famose. Anzi. Se non ci fosse stato quel padre così deciso a punire il figlio, noi saremmo andati avanti anche in quell'occasione. Perché serve dare un segnale. E quello di Juan e della Roma è bellissimo. Si è fatta giurisprudenza. Da oggi in poi nulla sarà più come prima. Perché mi espongo così tanto? Per me i miei giocatori sono come dei fratelli minori. Vanno affiancati in tutto e per tutto. Legalmente e umanamente. Vedere un ragazzo così per bene come Juan soffrire perché qualcuno gli ha scritto "devi tornare allo zoo, negro" mi ha indignato non solo come agente ma come uomo e come italiano. Non tutti gli italiani sono come questo ignorante. Non è un problema di città, di nazione o stadio. È una battaglia di civiltà. Ovunque ci può essere odio e ignoranza. Ovunque bisogna combattere. Da oggi poi abbiamo le armi per colpire anche chi si nasconde dietro a un nickname e insulta in via privata sui social. È un passo gigante nella lotta al razzismo e all'odio in generale».
Infine un Juan Jesus ha voluto ringraziare chiunque gli sia stato vicino: «Dal Premier Conte, alla sindaca di Roma Virginia Raggi, a tutti coloro che hanno avuto un pensiero per me. Questa simpatia e gli attestati che ho ricevuto li giro a tutti quelli che subiscono insulti quotidianamente in ogni parte del Mondo. Non siete soli, siamo tutti uniti contro l'ignoranza e l'odio».
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