In fondo al Var
Le due gare in trasferta sono state condizionate da altrettante direzioni discutibili. Dopo Pairetto a Bologna, anche Abisso a Lecce non ha mai fatto ricorso alla tecnologia
C'è un abisso fra l'introduzione del Var e il suo attuale utilizzo. C'è stato sulla strada verso la vittoria della Roma in Salento un Abisso - con la maiuscola - che ha pensato bene (si fa per dire) di non rivolgersi allo strumento tecnologico nemmeno in occasione dell'episodio più evidente dell'intera partita: un macroscopico tocco di mano di Lucioni in piena area leccese dopo pochi minuti di gioco. A braccia larghe peraltro, come visibile da ogni immagine. Eppure l'arbitro palermitano non soltanto non è stato sfiorato dal dubbio, ma non ha nemmeno ritenuto opportuno avvalersi dell'ausilio dalla sala video, dalla quale operava il collega Guida. O più precisamente: dalla quale l'altro fischietto delegato al Var avrebbe dovuto operare. Perché anche in una gara densa di episodi quantomeno controversi (eufemismo), di interventi diretti all'auricolare del direttore di gara non si scorge traccia.
La tabella di marcia stagionale della Roma distante dall'Olimpico è ancora tutta da scrivere, eppure ha già vissuto i due capitoli iniziali secondo le stesse modalità. Prima dell'arbitro protagonista - in ogni senso - al Via del Mare, il suo predecessore al Dall'Ara Pairetto era riuscito se possibile a fare anche peggio. Penalizzando la Roma fin dall'inizio del match con una grottesca gestione dei cartellini (ribadita anche dal collega a Lecce) e con altri possibili rigori non concessi ai giallorossi e mai rivisti nemmeno al Var. Al contrario di uno fischiato a favore del Bologna, molto più che discutibile ma decretato senza esitazioni. Atteggiamento che presuppone la certezza assoluta delle decisioni. Poi puntualmente smentite dalle immagini televisive, al di là di qualche surreale interpretazione o di imbarazzati e imbarazzanti silenzi dei vari commentatori.
In entrambe le trasferte è stato Dzeko con le sue prodezze a mettere a tacere sul nascere ogni polemica. Quantomeno pubblica. Perché poi al riparo da occhi indiscreti il club si è fatto sentire. Con il garbo necessario a dirimere questioni di carattere "politico", ma anche con la fermezza di chi è consapevole di essere stato penalizzato nell'andamento delle partite in questione. Da ciascuna delle due sono arrivati tre punti d'oro, ma le paradossali ammonizioni ricevute rientreranno nel computo complessivo che peserà nell'arco del campionato, incrementando possibili diffide e squalifiche. E la stessa squadra ha sudato molto più del dovuto per portare a casa successi che il campo avrebbe ampiamente legittimato, con direzioni di gara impeccabili o interventi del Var puntuali. Sempre meglio farlo notare quando i risultati sono positivi, per non dare l'impressione di allegare la questione arbitrale alla futile lista degli alibi. Le rimostranze in questi casi possono essere percepite nella loro legittima sostanza.
Il punto nodale della faccenda prescinde però dalle ultime controversie e va ricercato alla base dello strumento tecnologico che dovrebbe coadiuvare gli arbitri. Nei due anni trascorsi dalla sua istituzione ufficiale nel campionato italiano, il Var ha palesemente depauperato il proprio contributo. Le modifiche apportate nel corso dei mesi dal protocollo imposto dall'Ifab (International Football Association Board) lo hanno depotenziato, riportando ogni decisione alla discrezionalità di chi arbitra in campo e spogliandolo di fatto della sua funzione iniziale: dirimere i dubbi dell'occhio umano, correggere i suoi possibili errori sviscerando ogni fotogramma a velocità differenti. Affidare all'arbitro la possibilità di non chiamare in causa alcun aiuto dalla sala video, anche nelle dinamiche più incerte, equivale a conferirgli lo stesso potere unilaterale che deteneva fino a due anni fa. Con il passare dei mesi gli interventi del Var si sono diradati fino quasi a scomparire. Dalle ultime due trasferte che hanno impegnato la Roma, senza "quasi".
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