Toni: «Scudetto? Che rimpianto. Voto Dovbyk»
Intervista esclusiva all'ex calciatore: «Non aver vinto nel 2010 la delusione più grande della mia carriera. Artem mi piace, lo terrei ancora»

(GETTY IMAGES)
Intercetto Luca Toni mentre torna da Milano a Modena, dove vive con la famiglia. Quando ha smesso di giocare nel 2016 dopo 650 partite e 301 gol, ha detto “Vedo colleghi in panchina che invecchiano cinque anni alla volta, non fa per me”. È stato di parola: lavora in televisione come commentatore conosciuto e rispettato, visto che ha alle spalle una carriera eccezionale coronata dal titolo di campione del mondo nel 2006. Cinque volte capocannoniere tra Serie A, Bundesliga, Coppa Uefa e Serie B, ovunque è stato ha lasciato gol, professionalità e bei ricordi, compresa la Roma dove è stato solo da gennaio a giugno 2010. Sei mesi vissuti a perdifiato che per i tifosi giallorossi sono stati un sogno meraviglioso finito in un rimpianto, quello di un altro scudetto dissoltosi nelle bandiere come nel 1986. Luca Toni ha giocato 15 di quelle 38 partite, le più indimenticabili: gli ho chiesto di raccontarle a Il Romanista.
Il tuo terzo anno al Bayern arriva Van Gaal e decidi di andartene, come nasce l’opportunità di venire alla Roma?
«Ero in contatto con Totti e De Rossi, parlavano del fatto che alla Roma mancava la punta forte fisicamente, la classica prima punta. A me la piazza di Roma era sempre piaciuta, avevo litigato in maniera pesante con Van Gaal così, nonostante i dirigenti mi dicessero di aspettare e vedere cosa sarebbe accaduto, andai da Rummenigge e gli dissi che volevo andare alla Roma. Lui mi rispose che avrebbe cercato di accontentarmi perché me lo meritavo e così è stato, ovviamente parlai anche con Ranieri e con il direttore Pradè, ma Daniele e Francesco sono stati molto importanti nel convincermi che fosse la scelta giusta».
Quando arrivi la Roma è in un buon momento, però è una stagione non dico compromessa, ma complicata. Che obiettivo ti eri posto?
«Nessuno in particolare, volevo dare una mano. Sapevo che la Roma stava migliorando e ho detto ai ragazzi: “Cerchiamo di vincere il più possibile e vediamo dove arriviamo”. Chiaro, non avrei mai immaginato di poter giocare per lo Scudetto fino all’ultimo e invece è nata una cosa fantastica: sono stati solo sei mesi, ma per intensità è come aver giocato più di un anno».
Tu arrivi dopo Roma-Parma ed entri a Cagliari sul 2-0 per noi, poi prendete due gol al novantesimo e oltre: il secondo di Daniele Conti, come ha reagito suo padre Bruno?
«Sai, lì per lì era meglio evitarlo perché si conosceva il rapporto tra padre e figlio. Bruno è un grandissimo tifoso della Roma, anzi penso che ne sia il primo tifoso, però dall’altra parte c’era suo figlio quindi credo si sentisse un po’ in imbarazzo. E secondo me anche Daniele è tifoso della Roma».
Roma 29 punti, Inter 42 prima dell’ultima di andata in casa con il Chievo, la tua prima da titolare.
«Me la ricordo bene, una partita di grande sacrificio come facevo quando eravamo in difficoltà. Perché dopo il gol immediato di De Rossi siamo rimasti in dieci, quindi dovevo cercare di far respirare la squadra, di farla salire. Ma queste in fondo erano le mie caratteristiche».
Inizia il giorno di ritorno e fai una doppietta in Roma-Genoa 3-0.
«Il primo gol Vucinic mette palla dentro, io taglio sul primo palo e segno di destro. Il secondo sempre su assist di Vucinic su punizione, faccio gol di destro: bello, bellissimo! Quando vai in una squadra nuova non vedi l’ora di rompere il ghiaccio e segnare, anche perché è quello che la gente si aspetta da un attaccante: i gol. Quella doppietta mi ha dato serenità e ho pensato che fosse solo l’inizio».
Invece la partita dopo con la Juve a Torino ti fai male subito.
«Sì, dopo due o tre minuti mi sono stirato il polpaccio, un dolore incredibile. Quello stadio non mi ha mai portato fortuna, gli infortuni peggiori mi sono sempre capitati lì».
Comunque, o perché stavi male tu, o perché stava male Totti, avete giocato poco insieme.
«Quando abbiamo giocato la prima amichevole al Flaminio, il giorno della mia presentazione, era strapieno di gente che non aspettava altro che vedere la coppia Totti-Toni. Francesco aveva bisogno di uno con le mie caratteristiche che gli tirasse via qualche difensore e lo facesse giocare un po’ più libero, purtroppo la sorte non è stata dalla nostra parte».
Era una Roma forte?
«Sì, c’erano tanti grandi giocatori ma la cosa più importante è che eravamo un gruppo fantastico: in sei mesi non ho visto un litigio, si stava insieme e si lavorava alla grande».
Torniamo all’infortunio: salti Fiorentina, Siena, Palermo, Catania e Napoli. Dopo quattro vittorie di fila al San Paolo vi fate rimontare un’altra volta da 2-0, poi col Milan e a Livorno arrivano altri due pareggi che sono una brutta frenata.
«Sì, un vero peccato, specie a Livorno potevamo fare meglio. Ho fatto gol di testa dopo una punizione deviata da Perrotta sul primo palo, poi è finita 3-3. Secondo me quella è stata una delle due partite che ci sono costate lo Scudetto, dell’altra immagino parleremo tra un po’».
Per forza, ma prima c’è il tuo quarto gol in giallorosso in Roma-Udinese 4-2, mentre l’Inter pareggia e siete a meno 4: a quel punto avete cominciato a pensare che potevate diventare campioni d’Italia?
«Assolutamente, anche perché sapevamo di avere lo scontro diretto all’Olimpico e da giocatore pensi che in casa le vinci sempre tutte, qualunque squadra arrivi. Poi se giochi nella Roma davanti al tuo pubblico, non c’è nessuna squadra che ti può mettere sotto. Intorno a noi stava crescendo un entusiasmo pazzesco e non avevamo paura di nessuno: c’era la curva tutta unita, quando tornavamo col pullman a Trigoria era pieno di gente ad aspettarci, stessa cosa prima e dopo gli allenamenti. Ovunque andassimo si respirava entusiasmo, vedevi solo gente che diceva: “ci crediamo”, un calore unico».
Vincete anche a Bologna e arriva Roma-Inter, la partita che vale il campionato.
«Sapevamo che potevamo regalare un sogno a tutti: a noi e al popolo della Roma, volevamo fare un’impresa. L’avevamo preparata molto bene, Ranieri è molto bravo, riesce a caricarti senza metterti pressioni inutili, eravamo convinti di vincere».
Hai dormito la notte prima?
«Sì sì, io ho la fortuna di riuscire sempre a dormire, poi il giorno dopo volevo essere al top».
Lo sei stato e hai segnato il gol della vittoria.
«Me lo ricordo bene, mi ricordo tutto. Eravamo andati in vantaggio con Daniele su una palla che viaggiava in area piccola, ero lì vicino anche io. Poi dopo il loro pareggio non abbiamo mollato: Taddei ha fatto un tiro cross e io andavo sempre, perché ho sempre pensato che qualunque cosa facesse col pallone un mio compagno, dovevo attaccare la porta. Così quando ho visto quella palla che arrivava, mi è venuto tutto d’istinto: l’ho stoppata in area, mi sono girato e ho tirato talmente forte che ho anche zappato il terreno. Correre sotto la Curva Sud è stato incredibile, eravamo consapevoli di esserci avvicinati ad un sogno».
Dopo la vittoria a Bari, battete l’Atalanta il giorno che l’Inter pareggia a Firenze ed è sorpasso: avete pensato “È fatta”?
«No, avevamo fatto questa grande rimonta ma sapevamo che non avevamo ancora vinto nulla. Però intorno a noi sentivamo che la gente era pronta per festeggiare, sai benissimo cosa succede a Roma quando le cose vanno bene ed è di grande aiuto perché ti fa lavorare in condizioni ideali. Sta ai giocatori essere intelligenti, non farsi trasportare troppo dall’entusiasmo e restare concentrati sull’obiettivo finale».
Arriva il derby.
«Mamma mia, iniziato malissimo. Davanti giocavamo io, Totti e Vucinic ma non siamo entrati in partita e ci siamo ritrovati sotto. Nell’intervallo Ranieri sostituisce Francesco e De Rossi…».
Come l’hanno presa?
«Ah, secondo me non bene, però sono stati bravi a mettere come sempre la squadra al primo posto. Noi abbiamo pensato: “Speriamo che sia la scelta giusta”, perché per Daniele e il Pupone il derby era qualcosa di diverso, di speciale e poi erano due campioni. Eppure, Ranieri ha visto qualcosa, non so perché ha sostituito proprio loro perché eravamo tutti in difficoltà, ma alla fine siamo riusciti a ribaltarla con i due gol di Vucinic».
Eccoci all’altra partita che vi è costata lo Scudetto, il patatrac con la Sampdoria: tu prima mi hai detto che in quei sei mesi non ci fu mai un litigio…
«Sì, dai, si sa che ci fu una lite tra Vucinic e Perrotta. Io ero in panchina e mi ricordo che facemmo un primo tempo spettacolare, potevamo stare tre o quattro a zero. Invece il primo tempo finisce 1-0 e c’è questa discussione tra i due che inizia in campo e va avanti per un po’. Però non abbiamo perso per questo, ma perché siamo letteralmente crollati: il gol dell’uno pari ci ha uccisi, dovevamo stare 3-0 e ci siamo ritrovati ad essere obbligati a buttarci avanti, ci siamo sbilanciati ed abbiamo addirittura perso, ma se potessimo rigiocarla altre mille volte, vinceremmo sempre noi. Non avere vinto quello Scudetto dopo quella rincorsa straordinaria sono la delusione e il rimpianto più grandi della mia carriera, anche perché so che vincere a Roma è diverso che farlo altrove».
Perché poi non sei rimasto?
«Ah, lì è stato il direttore (Pradè, ndr). Io sinceramente pensavo che mi riscattassero, non so cosa possa essere successo o meglio, credo decisero di puntare su Adriano. Nessuno mi disse nulla, per me era sottinteso che restassi. Invece dopo sono andato al Genoa dove non mi sono trovato bene e sono passato alla Juve, ho girato un altro po’ finché ho ritrovato serenità, voglia di giocare e divertirmi che mi hanno aiutato a diventare capocannoniere e vicecapocannoniere col Verona a 38 anni segnando altri 60 gol in Serie A».
C’è qualcosa della Roma di quest’anno che ti ricorda la tua?
«Ranieri è bravo a mettere le cose al suo posto, non si inventa niente: è umile e pratico. Adesso che abbiamo tutti questi allenatori che pensano di inventare il calcio, lui porta ovunque la sua tranquillità, il modo di gestire da persona buona ma con personalità. Io l’ho visto trattare tutti alla stessa maniera: ha le sue idee, le porta avanti, ha rispetto di tutti i giocatori, di chi gioca e chi no. E alla fine gli torna indietro tutto perché è una persona che si fa voler bene».
Qual è l’allenatore giusto per la Roma l’anno prossimo?
«Io non punterei su un giovane perché è una piazza troppo importante, serve qualcuno che è già stato in club di livello. Roma ti dà tempo ma devi portare anche i risultati: ci sono tante radio, giornali, un pubblico passionale, serve un allenatore con personalità ed esperienza, uno che ti faccia iniziare un percorso, lottare per la Champions l’anno prossimo sarebbe già tanta roba. Con due o tre innesti di qualità e personalità ci si può provare: la maglia della Roma pesa, nel bene e nel male. Ti dà tanto quando le cose vanno bene e ti toglie nel senso che ti mette pressione, quando vanno male».
Dovbyk lo terresti?
«Sì, a me piace. Secondo me avrebbe bisogno di un altro attaccante vicino. De Rossi mi ha detto che è un ragazzo forte, che dà profondità, che ha potenza. Quindi io lo terrei perché secondo me può solo migliorare»
De Rossi che allenatore sarà?
«Nonostante la delusione con la Roma, tornerà in pista tra poco, l’ho visto, ci ho fatto una chiacchierata e l’unico suo pensiero è dimostrare che può diventare un tecnico importante. Secondo me ne ha tutte le qualità, però ci vuole anche la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto».
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