AS Roma

Capitano in pectore: tutto il resto è Mancio

Non solo l’amore con la Sud, ma anche la difesa di Dovbyk nel momento del gol

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Mauro De Cesare
19 Marzo 2025 - 07:30

Vetrina poca. Sostanza tanta. Tantissima. Gianluca Mancini, 29 anni tra un mese, è alla sesta stagione con la maglia giallorossa. Non ha mai giocato, a cominciare dal suo arrivo a Roma, meno di 40 partite l’anno: in totale 265 presenze, accompagnate anche da 17 reti, alcune particolarmente belle e significative.

Eppure è/era stato inserito nella terna di “capipopolo” dello spogliatoio, con Lorenzo Pellegrini e Bryan Cristante. Salvo poi essere stati “reintegrati” dall’ambiente giallorosso. Non ancora completamente il capitano, perché sempre in lotta con la sua difficile condizione, più psicologica che tecnica e fisica.

Mancio, il giocatore (uno dei capitani) al quale si appoggia Claudio Ranieri e tutto lo spogliatoio. Domenica, dopo la vittoria con il Cagliari, la squadra ha salutato e applaudito la Curva Sud. Quasi dal centro del campo. No, Gianluca Mancini ha fatto venti passi in più, si è avvicinato al Cuore del Tifo, per applaudire ancora, la mano a battere sul petto. Girarsi per tornare indietro, per poi guardare ancora la Curva e accennare un bacio. Certi gesti hanno un significato. Profondo.

Nato a Pontedera, cresciuto nelle giovanili della Fiorentina con Vincenzo Montella allenatore, due stagioni e l’affermazione nell’Atalanta, nell’estate del 2019 arriva a Roma. Nato centrocampista arretra lentamente il suo raggio d’azione. Difensore, aggressivo, forte fisicamente, un po’ troppo falloso. E l’arrivo di Sir Claudio Ranieri, che tanto ha curato la Roma “malata”, ha trasmesso a Gianluca un po’ della sua calma, senza intaccare il suo fondamentale agonismo.

Ma domenica, da Mancini, non solo un abbraccio tutto personale alla Sud. Ha voluto anche dire in mille modi che la squadra è con Artem Dovbyk. Non facile, per il centravanti, ambientarsi a Roma. Atteso al varco dopo la splendida stagione con il Girona. Atteso con gioia, ma ora circondato da una esagerata diffidenza. Certo non è un giocoliere e forse non ha nelle corde quello che aveva Edin Dzeko: saper retrocedere a centrocampo e fare il centravanti boa, “pulire” il pallone e ripartire.

Artem Dovbyk ricorda uno dei centravanti della Roma Anni Sessanta: Paolone Barison, il “bisonte”. Ma se un attaccante che ancora non appare particolarmente brillante, segna alla sua prima stagione già 15 reti, forse qualcosa saprà fare. E ricordiamo che è il terzo attaccante nella storia della Roma che va in doppia cifra alla prima stagione (10 gol in serie A).

Ecco, Artem sbaglia clamorosamente un gol contro il Cagliari, ma sul calcio d’angolo successivo segna e risolve una partita per mille motivi delicata. Ecco che riappare Gianluca Mancini. Dopo l’abbraccio di gruppo a Dovbyk, va incontro all’ucraino, prende il suo viso tra le mani, gli parla, avvicina la sua fronte a quella del compagno. E insieme tornano a centrocampo. Così, semplicemente? No. Gianluca percorre almeno trenta metri con il suo braccio intorno al collo del compagno. Non parla più. A che servirebbe? Il calore di quel braccio intorno al collo ha dato probabilmente molto ad Artem. I compagni lo stimano, perché sanno cosa significhino momenti difficili in campo e soprattutto un guerra nel suo Paese che risuona drammaticamente nei pensieri, tutti i giorni.
E allora ecco il gesto da capitano. Artem, tutti per uno, uno per tutti.

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