Di Bruno ce n'è uno
Bruno Conti è stata la Roma felice, quella che ha vinto, portandoci da una storia antica in un'epoca di sogno, correndo sulla fascia capelli al vento

(GETTY IMAGES)
Andava al mare con Di Bartolomei. Fra le immagini di quei migliori anni della nostra vita si vede spesso il Capitano sorridere quando è accanto a Bruno Conti. Una delle più belle è nella notte del suo addio al calcio, poco prima di entrare in campo, sotto le scalette che portano al prato, con Di Bartolomei che si stringe forte Conti - nervoso con la gomma americana in bocca come se stesse per giocare una finale - da dietro tirandoselo al petto. Stretto stretto. Come a non volerselo lasciar scappare via, ancora a frenarlo prima dell'addio... Bruno Conti è stata la Roma felice. E' stata la gioia dell'essere romanista. Se c'è appunto un'estetica romanista questa ha i tratti, i contorni, i capelli a caschetto al vento, i calzerotti, i pianti, i menti tremolanti, le corse ragazzini in campo e sotto la Sud di Bruno Conti. Bruno Conti è il romanista. E' lo scatto, sulla fascia, di un'epoca da sogno. La Roma dello Scudetto, la Roma delle Coppe Italia, la Roma della finale della Coppa dei Campioni, la Roma dei primi Anni 80, la Roma degli Anni del Mundial, è stata la Roma di Bruno Conti.
Erano anni in cui sembrava potessimo vincere veramente. Gli anni delle bandiere per strada, dei primi orologi al quarzo alle elementari, delle collanine con le ossa e con le perline d'estate, dei motorini, di “Vacanze in America”, delle prime televisioni a colori, delle tute jeans, del “Tempo delle mele” e della “Storia Infinita”, dei mangiadischi arancioni, di “Fantastico” con Corrado, di Goldrake, di un'Italia che scendeva per strada e di una Roma che beveva alla fontanella sotto casa e si buttava a Fontana di Trevi: noi romanisti stavamo in tutto questo con Bruno Conti. E lui quando segnava veniva da noi. Bruno Conti ha segnato il primo gol dell'Italia campione del Mondo in Spagna nel 1982 e l'ultimo gol della Roma Campione d'Italia nel 1983. Dentro le parentesi delle sue gambe arcuate (quasi come quelle di Littbarski, il suo corrispettivo tedesco) tutti noi eravamo storditi dentro i suoi dribbling infiniti. Bruno Conti era il nostro piede sinistro. Un buon titolo. Lo usavamo per strada: "Oh ma chi sei Bruno Conti!?" quando non passavi la palla perché Bruno Conti ci faceva l'amore col pallone; "Oh ma chi sei Bruno Conti?!" quando non gliela toglievi mai perché a Bruno Conti la palla non gliela toglievi. Bruno Conti è un'Enciclopedia di gesti di un'epoca romanista. La mano fasciata per un periodo, il colpo di tacco a centrocampo all'ultimo minuto contro il Colonia, il gol al Goteborg in un'eterna notte di concerto. Stavamo a Woodstock tutte le volte con la Roma. Avevamo in campo Jimi Hendrix, Janes Chaplin, i Rolling Stones, i Pink Floyd, David Bowie... Eravamo noi il Brasile dell'82. Bruno Conti in quegli anni era il popolo. Era tutti i figli nostri. Figlio del popolo, Capitano e bandiera. Bruno, nettuno, centomila. C'è solo un Bruno Conti perché ne bastava uno per rappresentarci. Di Bruno ce n'è uno anche perché pure di Giordano Bruno per noi ce n'era uno (quello che c'ha la statua a Campo dei Fiori), eravamo noi quando vincevamo, siamo stati lui quando abbiamo perso quella notte in cui ha tirato il calcio di rigore alle stelle. D'altronde è lì che avevamo mirato tutti quel 30 maggio.
Oltre l'orizzonte, oltre una traversa, oltre il dolore. Non abbiamo smesso di farlo nemmeno il giorno dopo di un'altra finale europea persa contro l'Inter. Bruno Conti è stato il nostro giorno più bello e il suo saluto, è andato oltre il giorno di dolore che un romanista ha: lui popolo e figlio del popolo è tornato a noi proprio un 30 maggio sul muretto dei Boys in Curva Sud a tifare la Roma in finale di Coppa Italia contro la Sampdoria nel 1991. D'altronde era tutto iniziato lì, con quelle coppe e coccarde a casa nostra vinte col Torino, era iniziato ed era continuato sempre lì: sotto la Sud, a baciarla, in ginocchio. A pregarla, mentre noi gli dicevamo grazie. A pregarla, mentre noi gli dicevamo grazie. Una settimana prima il 23 maggio, il giorno dopo della finale di Uefa persa, Bruno Conti ha finito la sua carriera lanciando alla curva il suo scarpino. Altro che Cenerentola. Era appena riuscito a riempire tutto l'Olimpico nuovo a far registrare il primo tutto esaurito, era riuscito soprattutto a far riunire per la prima volta tutta quella Roma di sogno, la squadra dell'83, coi figli suoi, con Falcao, con Prohaska, con Liedholm, con Di Bartolomei che se lo abbracciava stretto stretto come a dire non andare via, come a dire non deve finire così questa carriera questa squadra, quest'epoca, questa Roma nostra che ci ha fatto solo sorridere. (…) Bruno Conti è stata la nostra epoca di sogno, di giorni intensi e di sole. Di marmo bianco e attese fragili, di notte elettriche e di lupetti, è stata la Roma che se ti guardi indietro trovi solo la Roma. Bruno Conti è stato la Roma quando Agostino sorrideva e se lo stringeva come a dire a tutto un mondo: non andare via.
(Tratto da “Il grande romanzo della Roma”, 2024, Newton Compton)
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