La canzone di Dibba
Si chiama “Undici metri”, l’ha composta Filippo Andreani, un ultras del Como due anni fa. È un dialogo d’amore tra il Capitano e Roma anche in quel suo ultimo momento
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«È come se gli avessi voluto dare l’opportunità di esprimere proprio in quel momento quanto amore avesse per Roma, anche in quel momento». Filippo Andreani sta parlando di Agostino Di Bartolomei e quel momento è quel momento che per pudore deve restare tale. L’attimo finale. Il tiro sbagliato di Ago (o forse anche questo è un giudizio sbagliato). L’opportunità che ha potuto dare ad Ago è “solo” in una canzone che ha composto per lui nel 2023 che si chiama “Undici metri”. Lo capite tutti perché può essere un titolo: la distanza di un calcio di rigore, la distanza fra la quella notte e il sole, la distanza fra un dischetto bianco che diventa un pozzo e una curva al buio che aspetta di uscirne, prima del silenzio. “Undici metri” è la più bella canzone mai scritta per Agostino Di Bartolomei, forse una delle cose più belle scritte in assoluto per lui.
La cosa strana, solo per chi non conosce l’ermeneutica (scusate la parolaccia), è che l’ha scritta un ultras del Como come Filippo, 50 anni, che ha iniziato a fare musica nel ‘93 prima in un gruppo punk, poi come cantautore. Sul calcio ha scritto anche di Vendrame, del Como ovviamente di Borgonovo e Meroni. La canzone su Di Bartolomei non ha un verso sbagliato, non ha un passaggio che non sia insieme fortissimo e delicato, non una parola che non scavi dentro quel pozzo del dischetto (o nelle profondità dove negli undici metri di mare Agostino ogni sera annega, e nessuno lo va a salvare) senza rinunciare a dire la cosa più importante: l’amore. È un dialogo immaginato, un dialogo pensato fra Ago e Roma. “Perdonami, Roma ragazza, la mia faccia diversa e l’abitudine alla nostalgia”. È quella faccia “diversa” che ha incuriosito Filippo anche da Como: una faccia non da tronista ma da uomo. E quella vocazione alla nostalgia nel cipiglio di Ago… In tempi in cui è un problema essere seri o “pesanti” divorati da fast food, tik tok, X, messaggi binari che vincono le elezioni ma non spiegheranno mai una realtà che è fatta di miliardi di atomi per una gocciolina: pensa quando hai l’oceano dentro o “l’acqua con il sale di quell’unico minuto” ed “è il maremoto che ti scrive l’ultimo saluto”.
Roma che ridi e che vivi dietro alla traversa, perdonami la poca fantasia – anche tu Flippo se finisco solo con le tue parole – “perdonami il rumore devastante di un silenzio all’improvviso e l’aria da tagliare in tribuna popolare il giorno che parlava inglese l’ultimo sorriso! il vento se ne andava abbandonando le bandiere e le preghiere ad annegare nelle acquasantiere io, pieno di vuoto, in un buio che abbaglia, il cuore fermo dietro alla scudo sulla maglia, con la faccia di chi butta gli occhi fuori dalla cella ti guardavo che piangevi ma eri ancora bella! Sì com’eri bella. E il tuo pianto lo porto addosso come se fosse il mio perché penso ancora a te se dico amore mio”. È stato sicuramente così. Forse è ancora così.
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