AS Roma

Quegli attimini di felicità in 90 minuti più recupero

Una partita è fatta di 90 minuti più recupero, voglia, tecnica, approccio, compattezza. Ma ci sono quegli attimini, che sono attimini di felicità

(GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Mauro De Cesare
29 Gennaio 2025 - 08:00

Frammenti di calcio. O di pallone. Di una partita di calcio, quella vinta dalla Roma contro l’Udinese. Perché, naturalmente, il giudizio deve essere completo, perché come dicono gli esperti… “una partita dura 90 minuti più recupero”.

Ma fermarsi su episodi, che solo episodi marginali non sono, spesso aiuta a capire cosa ci sia nei rapporti di un gruppo, nelle pieghe di moduli, ripartenze, transizioni, unità di uno spogliatoio o errori del singolo.

Togliamoci il dente, mettiamo in evidenza quattro momenti (ma ce ne sarebbero tanti altri) della sfida in Friuli, partendo da quello “negativo”. Il gol dell’Udinese. Fallo e ammonizione di Pellegrini inesistenti. Punizione calciata verso l’area giallorossa, si vede il momento in cui Lucca (201 centimetri e prima punta) solo come Robinson Crusoe, calcia a botta sicura, dopo una scivolata di Pellegrini. Ma la Roma difende a uomo. Ci sono otto giocatori giallorossi in area, ma non riesco a vedere o non è certamente in posizione Gianluca Mancini, il centrale che dovrebbe marcare proprio Lucca. Nel fermo immagine non si vede. Pellegrini scivola, alle sue spalle un liberissimo centravanti, quello che andrebbe marcato da due difensori, completamente solo. Libero di controllare il pallone e, senza alcuna opposizione, tirare a botta sicura

Ma ci sono, poi, tre “scatti” che dicono quanto la Roma sappia fare. E bene. Il rigore conquistato e trasformato da Pellegrini. Lancio di 40 metri dal centro del campo di Koné a tagliare in campo e cambiare fronte. Come Guglielmo Tell che ha centrato la mela sulla testa di Gualtiero, suo fiducioso figlio, così Manu mette la palla sulla testa di Angelino. La nostra “formica atomica” non deve fare altro che prolungare senza saltare o fare torsioni, il pallone in profondità, nel cuore dell’area di rigore avversaria. Nello spazio libero dove si è catapultato capitan Pellegrini. Stop, tentativo di sombrero, fallo di mano del difensore bianconero. Rigore. Tirato in maniera perfetta, perché basta un decimo di secondo per capire l’angolo in cui va il portiere. Poi, la puoi toccare facile. Ma c’è anche chi ha detto che ha sbagliato la conclusione.

E sul rigore una delle cose più belle del gruppo giallorosso. Mentre Lorenzo va al tiro, al limite dell’area Koné si segna tre volte con la croce. Cerca un aiuto divino? È scaramanzia? È sfiducia? No, quello è un gesto nel segno della Roma. Fatto spessissimo da molti calciatori al momento di entrare in campo. E’ un attimo nel quale sei con te stesso, con gli altri, con il compagno.

Chiusura con Eldor Shomurodov. Tanta buona volontà, ma tanti limiti tecnici. Così recitano i giudizi unilaterali. Non sempre. Rivedere il passaggio che ha portato al rigore su Elsha. Corre in contropiede, vede il compagno, ma la linea di passaggio non c’è. Un difensore dell’Udinese copre. Eldor il disponibile corridore e basta, tocca il pallone come il miglior Dybala, paragonabile a un fine dicitore. Esterno destro con effetto, per far passare la palla, a giro, davanti l’avversario e pescare Elsha. Il resto è 2 a 1.

Una partita è fatta di 90 minuti più recupero, voglia, tecnica, approccio, compattezza. Ma ci sono quegli attimini, che Totò regala a Oriana Fallaci in un loro incontro, che sono attimini di felicità. E’ quando riesci a “rapirli”, riesci a modificare un lungo romanzo: quello dei 90 minuti più recupero.

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